Del voto secondo coscienza

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In questi giorni si fa un gran parlare di quei partiti che lasciano libertà di voto “secondo coscienza”, ed un gran malparlare, perché se in un partito si vota “secondo coscienza” vuol dire che quel partito “si spacca”.

Io sono fatto all’antica, e vorrei che tutti i voti fossero “secondo coscienza” e non secondo gli ordini del Mister. S’intende, vi sono molte materie in cui prevalgono considerazioni pratiche, e la “coscienza” c’entra poco, e quindi è bene che si segua un certo progetto con un po’ di coerenza; ma per le grosse questioni, se il parlamentare non sa votare “secondo coscienza”, meglio che cambi mestiere.

Queste considerazioni non sono più attuali, come non è più attuale la nostra Costituzione. Secondo quel testo, ogni parlamentare “rappresenta la Nazione”, e poiché “tante teste tante idee”, nella Nazione c’è un’infinità di scelte, di posizioni e di sfumature, e poiché il Parlamento rappresenta la Nazione, ogni parlamentare deve poter esprimere “senza vincolo di mandato” la sua personale interpretazione di quell’arcobaleno di posizioni.

Si sta ora passando dalla democrazia rappresentativa ad una democrazia plebiscitaria, in cui sono possibili solo due idee: c’è un Capo, un Mister, e o si è pro, o si è contro. Quindi c’è “uno che vince”, e gli altri perdono (preferibilmente la gara si riduce a due, come nelle finali dei tornei sportivi: “uno che vince, l’altro che perde”, e nei casi dubbi si passa al secondo turno dei rigori). Poi ognuno dei Mister ha un suo pacchetto di voti, il pacchetto di voti del Mister che ha vinto sa in partenza di essere in maggioranza, il/i pacchetto/pacchetti dei voti di chi ha perso sa in partenza di essere in minoranza.

È un sistema spiccio, solamente non so spiegarmi perché per ottenere questo risultato si debbano stipendiare lautamente parecchie centinaia di marionette, che stanno lì solo per votare a comando, e guai a chi “gufa”, perché così facendo “spacca” il partito.

Ma sono tante le cose che non capisco.

Essere tedeschi a Istanbul

L’altro giorno su Facebook qualcuno si è chiesto perché la strage di turisti ad Istambul (12 gennaio 2015) non ha suscitato da noi nessuna particolare reazione.

Niente “siamo tutti …” boh, che cosa? Istanbuliti? Istanbulesi?

Io ho risposto: perché i morti sono in massima parte tedeschi, e i tedeschi sono antipatici a tutti.

Per questa mia affermazione sono stato pesantemente ripreso.

Ma chi mi ha attaccato non mi sembra che abbia offerto nessun’altra spiegazione.

Allora io insisto.


Il mondo è in fiamme. Una mostruosa creazione politico-militare a due passi da casa nostra sta cercando di ergersi a Stato, uno Stato teocratico e intollerante, e ha mosso guerra in primo luogo a tutti cittadini di quella regione, ma soprattutto ai valori di laicità, umanità e tolleranza che sono il vanto della storia europea.

Contro questo attacco, le istituzione europee, ma anche le forze politiche, la società civile e la cultura mostrano tutta la loro impotenza.

La costruzione di un’Europa veramente unita dovrebbe essere il vanto del XXI secolo, un passo avanti nella storia capace di dare la sua impronta a tutta la vita del resto del mondo.

Ma l’Europa in prima persona offre di sé uno spettacolo veramente degradante.

È evidente a tutti che l’Europa non ha una politica estera, e questo si deve imputare non solo all’inadeguatezza delle persone che di questo dovrebbero occuparsi, ma anche agli effetti di un disorientamento culturale e sociale che è sfociato in una vera e propria campagna di denigrazione verso tutto ciò che è europeo.

In quest’Europa la Germania non è solo la più grande realtà economica, dovrebbe anche essere il modello di quello che potrebbe diventare l’Europa se solo riconoscesse sé stessa. Uno stato sociale invidiabile, una amministrazione efficiente, un ordine che nasce da un diffuso senso civico e non dalla repressione. In Germania, caso ormai unico, i due più grandi partiti storici sono capaci di collaborare senza insultarsi, senza accusarsi reciprocamente di tutto quello che non va, senza che elettori e giornaletti d’ogni conformismo strillino all’“inciucio” e al “tradimento”.

Su questa Germania e sulla personalità che la guida il nostro politico più navigato ha espresso già da qualche anno un giudizio chiaro: “culona inchiavabile”; e questo Verbo è stato fatto proprio dalla folla di nullità a due gambe che da noi ha preso il posto di una classe politica.

Al di fuori della Germania, l’Europa non riesce a dare altro spettacolo di una rumorosa rissa da pollaio. Alcuni dei più grandi leader non propongono al popolo dei loro elettori altra prospettiva che non sia quella di tirare a campare all’infinito accumulando debiti su debiti, e molti di loro vantano in tutta serietà di voler riportare tutto il continente indietro di un’intera epoca storica, alla folla di bandiere, bandierine e banderuole nazionali, macro- e micro-regionali e di paese e di borgata: l’Inghilterra regina dei mari e Napoli borbonica regina della pizza, la Scozia regina dei gonnellini e la Grecia regina dei debiti.

Tutti si odiano, ma hanno un’unica idea chiara, declinata nelle molteplici lingue della Babele continentale: la Merkel è una culona nazista.


In questa grande cagnara una bomba esplode a Istanbul.

La Turchia è una delle porte dell’Inferno, una delle chiavi principali dell’attuale crisi, ma:

  1. la Turchia mostra tali e quali tutte le debolezze e gli squallori della politica europea; è stato rieletto a grande maggioranza alla massima carica un politico meschino e mediocre, che pensa solo a ottenere vantaggi a breve termine, ma è ossessionato da ridicole ambizioni (resuscitare il Sultanato già dominatore dell’Islam) e rancori atavici (l’odio verso il popolo curdo);
  2. l’Europa verso la Turchia non è riuscita a concepire altra idea se non quella di allungarle una qualche mancia di un due o tre miliardi di euro per non si capisce bene quale scopo.

Allora quella bomba ad Istanbul, quella strage di turisti tedeschi, ha mostrato tutta la debolezza di un’Europa che in questi ultimi anni non è riuscita a formulare altra idea se non questa: i tedeschi sono sommamente antipatici a tutti.

Se qualcuno ha un’altra idea, si faccia avanti.

Dobbiamo difendere la millenaria civiltà romana e cristiana

Partiamo pure dalla civiltà cristiana, anche se io non sono un cristiano.

Un punto fermo del cristianesimo, da sempre, per lo meno da San Paolo, è l’idea dell’unità del genere umano. L’idea stessa di “razza” è estranea al cristianesimo; vi sono sì diversi popoli, diverse culture, ma l’unico modo per affrontare il tema della diversità è riconoscere che le cose che abbiamo in comune sono più e più importanti di quelle che ci dividono.

Non mi credete? Allora andate a leggere un po’ di encicliche papali, a partire dalla Maximum Illud di Benedetto XV.

Parliamo adesso della civiltà romana, anche se non sono un romano, ma un torinese – ma anche Torino è una città romana, con le sue vie ad angolo retto, le due porte, una a nord e una ad est, i suoi licei classici e le sue grandi piazze d’armi.

I Romani hanno avuto tutti i difetti di questo mondo, tranne uno: non sono mai stati razzisti. L’Impero Romano è stata la più grande realtà multietnica e multiculturale della storia. E questa è stata la sua grande forza.

Lo strumento principale dell’espansione della civiltà romana è stata l’estensione sistematica della cittadinanza agli stranieri. La cittadinanza romana non veniva concessa per motivi di solidarietà e uguaglianza, concetti completamente estranei alla cultura romana (neanche il più balengo dei leghisti riuscirebbe a dare l’appellativo di “buonista” all’Impero Romano), ma era concepita proprio come mezzo per il rafforzamento dello Stato.

Fin quando l’Impero Romano ha accolto nuove popolazioni nei suoi confini, ed ha trasformato gli stranieri in cittadini, è stato forte.

Ad un certo punto, ha cominciato a dire, ai Goti e ad altre popolazioni nordiche, “potete venire, ma non siete cittadini romani, rimanete stranieri in terra romana”. Tempo cinquant’anni, e l’Impero Romano non esisteva più.

Se i fasci non sono d’accordo, possono andarsene in Gotland, e rimanerci.

Chi è il vero Tsipras


Portrait_of_Niccolo_Machiavelli_by_Santi_di_Tito

Può darsi che mi sia fatto influenzare un po’ troppo dalle polemiche di casa nostra, ma questa è l’impressione che ho ricavato.

Esiste uno Tsipras vero, ed uno Tsipras immaginario.

Lo Tsipras immaginario è il piccolo Davide ellenico che con un preciso tiro di fionda ha messo in ginocchio la grossa e grassa Goliassa germanica. Che guida il risveglio delle Nazioni oppresse sotto il duro stivale della Finanza mondiale. Un po’ Pascoli di “la grande Proletaria si è mossa”, un po’ Duce in lotta contro le “demoplutocrazie”, un po’ Woody Allen del Ruggito del Topo, questo Tsipras immaginario da tempo fa sognare le piccole schiere della Sinistra sinistra italiana, ma in occasione del Referendum ha suscitato soprattutto sguaiati cori di consenso presso le diverse anime della Destra, sia quella che vorrebbe ridurre l’Europa ad un pollaio di repubblichette, sia quella che non ha perdonato all’antipatica Merkel e all’odioso Schultz di aver ridacchiato e arricciato il naso di fronte alle clownerie della politica italiana.

Poi esiste il vero Tsipras – che è esattamente quello che lui dice di essere.

Il vero Tsipras è un politico vero, un politico serio e responsabile.

Come ogni vero politico, punta al consenso, perché sa che il consenso è la benzina, anzi, la materia prima della politica.

Ma essendo un politico serio e responsabile – un genere di politico che da noi è estinto nel Cretaceo – sa che il consenso non è un dono gratuito e permanente. Il consenso, il politico lo riceve in prestito, come un capitale da far fruttare, e della cui buona gestione sarà tenuto a rispondere.

Questo Tsipras, politico serio e responsabile, si è esibito in alcuni machiavellismi, alcune mosse negoziali un po’ troppo “mediterranee” per essere comprese dalla diplomazia nordica; ma ha detto con chiarezza, soprattutto in occasione del recente referendum, che il suo unico obiettivo è cercare ad ogni costo un accordo in modo da tenere la Grecia nella zona Euro. Questo è il mandato che ha ricevuto dal popolo greco, col 61% dei consensi. E questo è il risultato che noi, soprattutto per rispetto verso la volontà democratica dei greci, vorremmo vedere realizzato.

Può darsi che mi sia fatto influenzare un po’ troppo dalle polemiche di casa nostra, ma questa è l’impressione che ho ricavato.

Esiste uno Tsipras vero, ed uno Tsipras immaginario.

Lo Tsipras immaginario è il piccolo Davide ellenico che con un preciso tiro di fionda ha messo in ginocchio la grossa e grassa Goliassa germanica. Che guida il risveglio delle Nazioni oppresse sotto il duro stivale della Finanza mondiale. Un po’ Pascoli di “la grande Proletaria si è mossa”, un po’ Duce in lotta contro le “demoplutocrazie”, un po’ Woody Allen del Ruggito del Topo, questo Tsipras immaginario da tempo fa sognare le piccole schiere della Sinistra sinistra italiana, ma in occasione del Referendum ha suscitato soprattutto sguaiati cori di consenso presso le diverse anime della Destra, sia quella che vorrebbe ridurre l’Europa ad un pollaio di repubblichette, sia quella che non ha perdonato all’antipatica Merkel e all’odioso Schultz di aver ridacchiato e arricciato il naso di fronte alle clownerie della politica italiana.

Poi esiste il vero Tsipras – che è esattamente quello che lui dice di essere.

Il vero Tsipras è un politico vero, un politico serio e responsabile.

Come ogni vero politico, punta al consenso, perché sa che il consenso è la benzina, anzi, la materia prima della politica.

Ma essendo un politico serio e responsabile – un genere di politico che da noi è estinto nel Cretaceo – sa che il consenso non è un dono gratuito e permanente. Il consenso, il politico lo riceve in prestito, come un capitale da far fruttare, e della cui buona gestione sarà tenuto a rispondere.

Questo Tsipras, politico serio e responsabile, si è esibito in alcuni machiavellismi, alcune mosse negoziali un po’ troppo “mediterranee” per essere comprese dalla diplomazia nordica; ma ha detto con chiarezza, soprattutto in occasione del recente referendum, che il suo unico obiettivo è cercare ad ogni costo un accordo in modo da tenere la Grecia nella zona Euro. Questo è il mandato che ha ricevuto dal popolo greco, col 61% dei consensi. E questo è il risultato che noi, soprattutto per rispetto verso la volontà democratica dei greci, vorremmo vedere realizzato.

Il grande No

Κωνσταντίνος Καβάφης

Kostantinos Kavafis, Alessandria d’Egitto 1863 – 1933

Il No di Metaxas a Mussolini il 28 Ottobre 1940. Il No al referendum del 5 Luglio 2015.

Senza entrare nel merito delle due vicende storiche, questa parola greca, ΟΧΙ, era entrata nella storia e nella memoria di quel paese attraverso i versi del suo più grande poeta moderno.

CHE FECE… IL GRAN RIFIUTO

Σὲ μερικοὺς ἀνθρώπους ἔρχεται μιὰ μέρα
ποὺ πρέπει τὸ μεγάλο Ναὶ ἢ τὸ μεγάλο τὸ Ὄχι
νὰ ποῦνε. Φανερώνεται ἀμέσως ὅπιος τὄχει
ἔτοιμο μέσα του τὸ Ναί, καὶ λέγοντάς το πέρα
πηγαίνει στὴν τιμὴ καί στὴν πεποίθησί του.
Ὁ ἀρνηθεὶς δὲν μετανοιώνει. Ἂν ρωτιοῦνταν πάλι,
ὄχι θὰ ξαναέλεγε. Κι ὅμως τὸν καταβάλλει
ἐκεῖνο τ᾿ ὄχι – τὸ σωστὸ – εἰς ὅλην τὴν ζωή του.

Per certi di noi arriva quel giorno
che c’è da dire il grande Sì, o il grande No.
Subito si fa avanti quello che il Sì ce l’ha già bell’e pronto,
in saccoccia: lo dice, e si fa strada
nella stima e nella considerazione di sé.
Chi s’è negato, non se ne pente. Gli chiedessero di nuovo,
ancora direbbe di no. Eppure lo manda in rovina
quel No – benedetto No! – per tutta la sua vita.

(Traduzione mia. Il titolo in italiano è nell’originale.)

Germania e Grecia, ovvero Destra e Sinistra

Roosevelt Reagan

La Germania è forse l’ultimo grande paese che rimane fedele al principio fondamentale della sinistra riformista: i ricchi pagano le tasse per mantenere lo stato sociale. La conseguenza è che l’economia tedesca è fortissima, i salari il doppio dei nostri.

La Grecia è un paese che vive di navigazione e turismo, e ha deciso che albergatori e armatori non devono pagare le tasse.

Ovviamente, quando si trovano a corto di soldi, li devono prendere ai pensionati. È il principio fondamentale della reaganomics: i soldi meglio lasciarli ai ricchi, loro sanno meglio di tutti gli altri cosa farne. È una dottrina che ha fatto discreti danni nella più forte economia del mondo, figuriamoci quand’è applicata ad una società fragile come quella greca.

La cosa paradossale, è che da noi la sinistra più sinistra giura sulla Grecia, e tratta la Germania come l’Impero del Male.

Αλέξης Τσίπρας detto Tsipras

Prima ipotesi. Tsipras è un formidabile negoziatore, potrebbe guadagnare una fortuna come giocatore di poker. Ha tirato la corda finché ha potuto, facendo bene attenzione a fermarsi sempre un attimo prima del punto di rottura. Arrivato ad un passaggio molto difficile della trattativa, ha lanciato il bluff del referendum, per gettare nel panico la controparte, sapendo benissimo che i greci voteranno sì; immediatamente dopo avrà le mani libere per trattare un nuovo accordo, dopo aver fatto passare più di una notte insonne ai responsabili delle istituzioni europee, e soprattutto senza più correre rischi di essere sconfessato dalla fazione antieuro del suo stesso partito.

Seconda ipotesi. Tsipras ha veramente creduto di poter ottenere dilazionamenti senza fine del debito, senza risolvere i problemi strutturali del suo paese (che sono gli stessi dell’Italia, a partire dall’intollerabile evasione fiscale: e che sarebbero ugualmente intollerabili anche senza euro). Alla fine ha mollato, e, perso per perso, ha scelto di immolare sé stesso, il suo governo e tutta la Grecia nella Götterdämmerung dell’uscita dall’euro.

Se è vera la prima ipotesi, Tsipras è un grande statista, la sua azione farà un gran bene alla Grecia e a tutta l’Europa.

Se è vera la seconda, adieu.

Costituzione degli Stati Uniti, XVII Emendamento (1913)

La Costituzione Americana prevedeva originariamente due Camere (Art. I, I), la Camera dei Rappresentanti, eletta a suffragio universale (Art. I, II, 1), e il Senato, eletto dalle asssemblee legislative dei singoli Stati (Art. I, III, 1).

Fra i Padri Costituenti l’unico che propose fin dall’inizio l’elezione diretta dei Senatori fu James Wilson. La proposta non passò, in quanto si intendeva fare del Senato una istituzione fortemente federalista, e quindi i senatori dovevano essere i portavoce delle istanze delle singole assemblee legislative.

In seguito però l’esperienza dell’elezione indiretta lasciò molti scontenti, vi furono diverse proposte di riforma, e tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX alcuni Stati decisero autonomamente di procedere ad elezione diretta. Nel 1912 33 Stati avevano introdotto elezioni primarie dirette per la scelta dei Senatori.

Quello stesso anno, approfittando della spaccatura del Partito Repubblicano provocata da Theodore Roosevelt, che aveva fondato un suo “Partito del Progresso”, i Democratici non solo ottennero la Presidenza con Woodrow Wilson, ma anche una solida maggioranza (290 seggi su 435) al Congresso. Fecero quindi passare il XVII Emendamento, che introduceva l’elezione diretta dei Senatori. L’emendamento fu approvato a larga maggioranza dal Senato, e fu ratificato dalle assemblee legislative di 41 Stati (5 più del richiesto). Entrò quindi in vigore il 31 maggio 1913.

Non cambiò però la composizione del Senato, con due senatori per ogni stato, indipendentemente dalla popolazione. In questo senso, si tratta sempre di un’Assemblea Legislativa in cui i singoli Stati, grandi e piccoli, hanno uguale dignità.

Allora diciamolo che se la sono voluta

“… Neutralità disarmata in tutte le guerre che scoppiavano intorno a lui… fino alle questioni tra due contadini, nate da una parola, e decise coi pugni, o con le coltellate… Il battuto era almeno un imprudente; l’ammazzato era sempre stato un uomo torbido. A chi, messosi a sostener le sue ragioni contro un potente, rimaneva col capo rotto, don Abbondio sapeva trovar sempre qualche torto; cosa non difficile, perché la ragione e il torto non si dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell’una o dell’altro…”

I Promessi Sposi I