Quel che ho capito della storia della Chiesa

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1.

La Chiesa nasce nella società più modernamente urbanizzata, organizzata, globalizzata del mondo antico: le città orientali dell’Impero romano. La Chiesa riconosce come sua suprema autorità l’Imperatore, e la sua organizzazione ricalca la struttura dell’Impero. La chiesa è organizzata in province o distretti (dioikesis) con a capo un prefetto o sovrintendente (episcopos). Tutta l’autorità e la vita della Chiesa è concertata nella persona del Vescovo e dei suoi diretti delegati, che si occupano direttamente della catechesi. Solo la sede vescovile ha un Battistero.

Quello che è al di fuori di questo sistema, è “paganesimo”: cioè in primo luogo il mondo rurale, che, indipendentemente dalla sua consistenza demografica, è una realtà totalmente marginale: un mondo di autentici selvaggi, che alle classi dominanti urbane interessano esclusivamente come animali da lavoro. Il termine “pagano” viene usato dileggiare (come, in epoche diverse, “villano”, “cafone” ecc.) anche quei membri dell’aristocrazia di così dura cervice da rendersi contumaci al richiamo della Vera Fede.

2.

Quando crolla la struttura imperiale ad Occidente, la Chiesa fatica ad adeguarsi alla nuova realtà, e continua a seguire il vecchio sistema. Il punto di riferimento privilegiato è sempre il Sovrano: non più l’Imperatore, ma il nuovo re di stirpe barbarica. Nel 496 il re dei Franchi Clodoveo è battezzato dal vescovo Remigio. Essendo ora il re cristiano, anzi, cattolico, si dà per scontato che il regno dei Franchi sia un regno cattolico, e che il popolo dei Franchi sia un popolo cattolico, anche se di fatto la conversione doveva interessare solo gli aristocratici più vicini al re. Non si pone grande attenzione alla diffusione del cristianesimo presso il popolo.

Ormai però la società dell’Europa occidentale è quasi totalmente ruralizzata. Alle porte delle vecchie città, dove sopravvive una minima percentuale dell’antica popolazione sotto l’autorità del vescovo, comincia un immenso territorio sconosciuto, ostile. Ancora nell’XI-XII secolo alcune cronache descrivono il mondo rurale al di fuori della sfera d’influenza delle città come un “deserto”: una natura terribile, abitata da bestie feroci, presenze diaboliche e pochi uomini selvaggi, i “pagani”, a volte chiamati anche “saraceni”, per sottolinearne la totale estraneità al mondo della civiltà cristiana.

Fin dai primi secoli del Medioevo, la Chiesa tenta di riprodurre la sua struttura nelle campagne servendosi di una vecchia istituzione nata per uno scopo completamente diverso: i monasteri. L’età romantica ha sopravvalutato la funzione dei monasteri come organizzatori della vita rurale, secondo il motto (che San Benedetto non ha mai pronunciato) “ora et labora”. In realtà la diffusione del monachesimo segue una logica di semplice occupazione del territorio: là dove non c’è una città, sorge un monastero; dove non c’è un Vescovo, ci sarà un Abate. Il territorio sotto diretto controllo del monastero può ora essere considerato terra non più pagana, ma cristiana.

Ma nessuna regola monastica assegna ai monaci il compito di evangelizzare il popolo; l’organizzazione agricola serve esclusivamente ad assicurare ai monaci l’indispensabile per la sussistenza, oltre alle risorse per la costruzione degli edifici sacri e per il culto. Il mondo contadino continua ad essere un grande animale da soma, senza voce, senza diritti, “bastonabile bastonabilissimo”.

L’unica altra presenza cristiana nei deserta delle campagne è rappresentata da alcuni santi eremiti, che vivono in totale isolamento, conducendo una guerra privata contro il Demonio, pregando incessantemente per la salvezza propria e delle anime dei defunti.

La presenza dei monasteri cresce, soprattutto nel paese che più di ogni altro può considerarsi il centro della cristianità occidentale, la Francia. Alla fine dell’Alto Medioevo la rete dei monasteri riunita intorno a Cluny ha assunto un prestigio ed un peso politico ed economico tale da poter rivaleggiare direttamente con la Chiesa di Roma.

3.

Intanto il potere politico si è riorganizzato e ha dato origine al sistema feudale, una forma di controllo del territorio che risponde in pieno alle condizioni di una società quasi esclusivamente rurale. Anche episcopati e monasteri si adeguano a questo sistema, ed entrano nella logica delle dipendenze, delle investiture, dei benefici. L’Europa si copre di un “bianco manto di chiese”, talvolta (come nota lo stesso Rodolfo il Glabro) “praeter necessitatem”, con un’edilizia trionfalistica che vuol rappresentare anche visivamente il predominio della Città di Dio sulle città e le campagne degli uomini. Sembra l’inizio di un Nuovo Ordine cattolico, destinato a durare per sempre.

4.

Ma è alle porte un Mondo Nuovo completamente diverso. Il popolo delle città cresce, si arricchisce, si differenzia in un’infinità di categorie, classi, “arti”; e quel che è peggio, vuole avere voce in capitolo. Lo sviluppo economico e demografico ripopola anche i deserta delle campagne, dove i contadini cercano di scrollarsi di dosso la loro condizione di bestie da lavoro. Nelle città la nuova borghesia si ribella ad un’aristocrazia arrogante e violenta, e ad una Chiesa pienamente e organicamente inserita nel mondo feudale. Nelle campagne i boni homines catari occupano quegli immensi vuoti di evangelizzazione che la Chiesa ha trascurato per secoli.

La Chiesa deve rapidamente correre ai ripari, ne va della sua sopravvivenza. Il modello monastico appare completamente superato, e l’istituto della Commenda è spesso l’eutanasia che sancisce la fine di un’antica istituzione completamente svuotata di aderenti e, soprattutto, di significato. Do per scontata qui la funzione degli Ordini Mendicanti, che è notissima: rovesciare la logica del monachesimo, dare una regola di vita religiosa volta all’esterno, alla predicazione e all’evangelizzazione, anziché all’interno, al perfezionamento della propria anima.

È dello stesso periodo la storia delle Pievi rurali. La pieve (plebs) era una struttura amministrativa, contemporaneamente religiosa e civile, basata sull’antica rete dei municipia, nelle aree di più profonda e diffusa urbanizzazione. Col Basso Medioevo nasce la Pieve rurale, come strumento di penetrazione in aree dove la cristianizzazione è poco più che nominale. Ogni Pieve è una agenzia decentrata dell’amministrazione vescovile, e dispone, come in origine solo le sedi cattedrali, di un proprio battistero. Dalla Pieve dipende una rete di chiese campestri, che nelle diverse villae portano la voce della Chiesa fino alle realtà più piccole e marginali. Quando la rete è compiuta, le chiese campestri possono essere elevate a Parrocchie, e quindi essere dotate anch’esse di un fonte battesimale; il Curato ora assolve di fronte alla popolazione contadina gran parte delle funzioni liturgiche e catechetiche prima riservate al centro vescovile.

Si tratta di una modalità di penetrazione capillare della Chiesa nelle campagne che può essere paragonato all’attività della Chiesa missionaria tra XVII e XIX secolo, quando in un’area da evangelizzare viene inviato prima un Prefetto, poi un Vicario apostolico con dignità episcopale, il quale stabilisce una sede centrale alla sua attività, quindi invia preti missionari, catechisti ed infine preti indigeni a fondare nuove missioni, in una progressiva occupazione del territorio che raggiunge gli angoli più sperduti del paese. Quando l’occupazione può dirsi compiuta, il Vicariato apostolico viene elevato a Diocesi, ed il nuovo Vescovo è a capo di una rete di parrocchie locali. Alla metà del ‘500 la rete delle Parrocchie è ormai estesa fin nei più sperduti angoli del mondo cattolico, e tra i doveri di ogni Parroco vi è la tenuta degli stati d’anime, che con i registri dei battesimi, dei matrimoni e dei funerali garantiscono il controllo nominale di ogni singolo membro della Chiesa universale.

È un processo che dura secoli, e può essere considerato compiuto solo con la Controriforma. Ma ancora ai primi del ‘600 San Vincenzo de’ Paoli, sconvolto dalla miseria materiale e spirituale delle campagne della pur cristianissima Francia, progetta l’estensione della pratica missionaria presso le plebi rurali della Vecchia Europa, le quali vivono in condizioni non molto dissimili da quelle dei “selvaggi” del Nuovo Mondo.

5.

Dopo la Chiesa imperiale dell’età antica, dopo la Chiesa feudale del Medioevo, nasce così la moderna Chiesa di massa. La trasformazione tocca ogni aspetto della vita ecclesiastica, compresa l’architettura. Poiché la Chiesa medievale era la Chiesa dei preti, non la chiesa del popolo, negli edifici sacri il clero si riservava il posto preminente. Al centro della navata centrale, di fronte all’altare, era collocato il Coro, dove gli ecclesiastici che a vario titolo facevano riferimento alla Chiesa (fosse essa monastero, convento, canonica o collegiata) sedevano più volte al giorno, in uno spazio rigidamente isolato, a celebrare una liturgia ermetica fatta di canti, inni e salmodie. Il popolo era del tutto in disparte, e seguiva in modo totalmente passivo un rituale di cui non capiva nulla; e questa condizione di inferiorità non muta neanche quando gli Ordini Mendicanti cominciano a diffondere pratiche devozionali “povere”, fatte di narrazioni e rievocazioni di miracoli e vite di Santi, rituali penitenziali un po’ paganeggianti, e soprattutto la diffusione della pratica del Rosario, una preghiera collettiva che può essere seguita anche dagli analfabeti, a differenza della lettura del Salterio, che richiede una completa conoscenza del latino.

Con la Controriforma, vengono abbattuti i jubé in muratura che separavano la “chiesa dei preti” dalla “chiesa del popolo”; il Coro viene tolto da quella posizione privilegiata e viene spostato prima nel Presbiterio, ai due lati dell’altare, poi nell’abside, dietro l’altare: spostamento che non poche volte comporta importanti modifiche alle strutture architettoniche. La liturgia è ancora in latino, ma in un modo o nell’altro si cerca di ottenere la partecipazione corale di tutti i fedeli, e il “latino della messa” più o meno masticato diventa patrimonio anche dei ceti semicolti. Per questo motivo, e per contrastare lo sviluppo di una cultura laica, potenzialmente ostile, la Chiesa ora comincia a puntare sull’educazione dei laici, e l’antica identificazione del “chierico” con quello che modernamente si chiama l’“intellettuale”, rimane nelle lingue europee un curioso fossile medievale.

6.

È questa la Chiesa che affronta la tempesta del mondo moderno. Non ha ancora abbandonato uno dei capisaldi della Chiesa antica: considerare come interlocutore privilegiato lo Stato. Ed ora molti Stati europei l’abbandonano. La Riforma protestante non è un fenomeno come le eresia medievali, proprio perché viene fatta propria anche da alcuni importanti Stati: importanti Principati tedeschi, molte città svizzere, alcune nazioni settentrionali, come la Svezia, che per un breve periodo è una delle nazioni egemoni dell’Europa, l’Olanda, l’Inghilterra.

Quest’Europa, alla Chiesa, comincia a stare stretta. È questa una delle motivazioni che danno origine, tra XVI e XVII secolo, alla grande ondata missionaria. È un fenomeno troppo complesso e importante per parlarne qui, dico solo che dopo un periodo di grande incertezza la svolta decisiva si ha con la costituzione della Sacra Congregatio de Propaganda Fide (1622), un dicastero alle dipendenze dirette del Papa, che accentra sotto di sé la direzione di tutta l’attività missionaria. E la missione in Asia, Africa, America diventa la vera “nuova frontiera” del cattolicesimo.

7.

Gli ultimi due secoli di ancien Régime sono apparentemente un periodo di stabilizzazione. Con un calcolo che alla fine si dimostrerà disastrosamente miope, la Chiesa punta tutto sull’“alleanza tra il trono e l’altare”, che di fatto rappresenta un pesantissimo condizionamento da parte dello Stato. Subisce così, in nome della distruzione della residua resistenza ugonotta, la nascita di una “chiesa di Stato” gallicana ad opera di Luigi XIV e del suo fido consigliere Jacques-Bénigne Bossuet; ed anche in altri paesi d’Europa accetta dei Concordati pesantemente limitativi della sua libertà d’azione. Intanto le gigantesche rendite ecclesiastiche, eredi di istituzioni monastiche scomparse da secoli, appaiono sempre più scandalosamente ingiustificate. Agli occhi di gran parte dell’opinione pubblica il clero è un ceto parassitario di cui è indispensabile liberarsi, il più in fretta possibile, e ad ogni costo.

8.

L’età rivoluzionaria fa sprofondare troni ed altari. La prima ondata rivoluzionaria viene bloccata da un’alleanza internazionale delle potenze conservatrici; ma il mondo non sarà più quello di una volta. La perdita delle rendite ecclesiastiche è definitiva; ed altre soppressioni si avranno nel corso del XIX secolo. In Francia, viene mantenuto il Concordato napoleonico, che ricrea una Chiesa subordinata allo Stato come ai tempi del Re Sole. Quel che è peggio, l’opinione pubblica europea ha definitivamente voltato le spalle ai “colli torti”, simbolo di un conservatorismo tanto fuori dal tempo da scivolare nel ridicolo.

La Chiesa rimane, ufficialmente, ancorata al passato; la modernità è, in blocco, condannata come opera del Demonio. Ma bisogna muoversi. Proprio il Papa più ostinatamente reazionario, Gregorio XVI, è quello che negli anni ’30 e ’40 del secolo XIX dà il maggiore impulso alla ripresa dell’azione missionaria. Il Papa del Sillabo e del Concilio Vaticano I, Pio IX, approva incondizionatamente l’azione sociale dei cattolici. Venuto a mancare il sostegno dello Stato, la Chiesa, per proprie vie, e con linguaggio completamente diverso, scopre quella che cent’anni prima il pensiero illuministico aveva chiamato “società civile”: quell’insieme strutturato e organico di rapporti sociali che prescindono da, e alla fin dei conti fondano, la stessa struttura dello Stato. È alla società civile, non allo Stato, che ora la Chiesa rivolge le sue attenzioni, come al proprio interlocutore privilegiato. Questa è veramente la fine della Chiesa costantiniana e medievale. Occorrono altri quattro pontificati, e la Chiesa trova la lucidità per rinunciare senza rimpianti a ogni rivendicazione su quell’ultimo residuo di Medioevo che era lo Stato Pontificio.

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