1. Propaganda
Sappiamo che ogni grande evento storico lascia una traccia nella storia della lingua.
Inversamente, potremmo dire che l’importanza di un evento storico si può misurare dal suo lascito linguistico.
Oggi si sottovaluta il peso storico, che io invece credo sia stato fortissimo, della fondazione di Propaganda Fide nel 1622. Si tratta di un evento molto importante della Controriforma, o Riforma cattolica, una fase della storia che spesso viene interpretarta solo in modo negativo, come reazione alla Riforma protestante, quindi come un tentativo di fermare il corso della storia. Non è qui il momento di affrontare l’argomento, vi dico solo che invece, secondo me, la Controriforma è stata un passaggio fondamentale nella nascita dell’Europa moderna – e probabilmente, non solo nell’Europa cattolica.
Ma torniamo a Propaganda Fide, anzi, alla parola propaganda. È una parola che tutti conosciamo, e che si si trova, o per lo meno è comprensibile, in tutte le lingue europee: almeno così credo. È una parola di cui tutti sappiamo il significato: indica la diffusione di un’idea, di un progetto, un po’ in tutti i campi, anche in quello commerciale. Ed è anche una parola che oggi assume spesso una sfumatura negativa: propaganda = tutte balle.
Naturalmente propaganda viene dal latino, dal verbo propagare, che significa originariamente “diffondere”; secondo l’uso tipico del latino, in primo luogo in modo materiale: i Romani, si sa, erano agricoltori, e per loro la propago o propagatio era la diffusione delle radici di una pianta (ancora oggi in agronomia si usa il termine propaggine).
Quando, dopo una gestazione durata, tra mille difficoltà, più di mezzo secolo (ma non sto a raccontarvi perché), la Chiesa decise l’istituzione di una struttura centralizzata dedicata alla diffusione nel mondo della fede cattolica, pensò di utilizzare questo termine come il più efficace per esprimerne la natura. All’inizio, io ho parlato della fondazione di Propaganda Fide, usando una dizione abbreviata, ma il termine completo di quest’istituzione era
Sacra Congregatio de Propaganda Fide
E qui nasce la prima difficoltà, perché per noi propaganda è un nome, ma in latino non lo è – non lo è mai stato.
Propaganda in latino è quella forma verbale, che in italiano non esiste, ma che ha lasciato diverse tracce (agenda, faccenda, reverendo, esaminando…): un gerundivo. È un aggettivo verbale, che indica un’azione che deve essere fatta relativamente ad uno specifico oggetto. Quindi, al nominativo, propaganda fides significa “la fede che deve essere diffusa, propagata”. (In latino, il sostantivo che corrisponde a quella che noi chiamiamo propaganda l’abbiamo già visto, è quella propagatio che dal campo agricolo si estende metaforicamente molto in là.)
Vediamo quindi la traduzione del nome di quest’istituzione:
- Sacra congregatio… e qui è facile: “Sacra Congregazione”; Propaganda Fide nasce come una congregazione, noi oggi diremmo una “Commissione”, di cardinali, sotto la diretta presidenza del Papa.
- …de fide… complemento di argomento che sottintende “che si occupa”: di che cosa? “della fede”…
- …propaganda: “che deve essere diffusa”.
Piccolo pettegolezzo: conosco un prete, uomo di ottima cultura, e particolarmentre interessato alla storia delle missioni, che pronuncia propaganda fidei, equivocando completamente il latino, come se fosse “la propaganda della fede” (fidei è il genitivo di fides).
Quindi, riassumendo: in latino, propaganda non è un nome, ma una forma verbale: un gerundivo, declinato all’ablativo femminile singolare, perché concorda con fide.
Ho detto che in latino propaganda non è un nome, non lo è mai stato. Nei documenti redatti in latino, il nome ufficiale, un po’ lunghetto, viene fin dall’inizio abbreviato, ma mai come “Propaganda”, bensì come “Sacra Congregatio”, a volte solo con le iniziali: “S.C.”
È invece nei documenti in italiano, e nelle altre lingue europee (Propaganda Fide è ovviamente un’istituzione di carattere internazionale) che compare fin dall’inizio l’abbreviazione “la Propaganda” o “la Propaganda Fide”, o ancora più semplicemente “Propaganda”. La forma verbale latina, in italiano e nelle altre lingue europee moderne viene immediatamente sostantivizzata, ed indica non ancora un’attività, ma quell’istituto che la svolge: appunto la Sacra Congregazione.
Il resto è storia che sappiamo. Propaganda diventa un nome comune, ad indicare non l’istituzione, ma l’azione di diffondere qualcosa: una fede, religiosa, un’idea politica, addirittura un marchio prodotto commerciale. Si dimentica completamente l’origine del termine, tanto da pensa che lo stesso nome Propaganda Fide venga dal vocabolario comune, e non il contrario: appunto, la “propaganda della fede”.
Il peso della propaganda in campo politico, in età moderna, è stato così forte, da aver dato alla parola quella sfumatura negativa che oggi tutti avvertiamo. Più c’è propaganda, meno c’è sostanza.
In seguito al Concilio Vaticano II, l’istituzione ha cambiato nome, ed oggi si chiama Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Sicuramente questa decisione dipende dalla profonda trasformazione dell’attività missionaria in età contemporanea; ma ho il sospetto che abbia influito un pochino anche questa sfumatura negativa: forse non sembrava bello dire che la Chiesa Cattolica “fa propaganda”.
Se è così, me ne dispiace.
2. Missione
Altra parola di cui conosciamo perfettamente il significato, e che ci sembra sia sempre esistita. Invece no: anche questa parola ha una precisa data di nascita.
Missione, naturalmente, viene dal latino mittere “mandare”: è quindi l’atto di mandare, l’invio, la spedizione; anche l’atto materiale di lanciare un’arma (un missile).
Assume anche un senso amministrativo specifico: inviare un funzionaro a svolgere un’attività in un una località diversa dalla sua normale sede di servizio. È un senso che abbiamo ancora noi, sia nelle amministazioni pubbliche, sia in quelle private. E quest’incarico deve essere ovviamente compensato con una specifica indennità di missione.
Tale modalità era presente anche nella chiesa cattolica: si mandava un ecclesiastico, in via provvisoria, presso un ente che era temporaneamente sprovvisto di personale. Ma non aveva ancora il senso che intendiamo noi: essere inviati in una nuova regione per evangelizzarla. Un’attività di questo genere esiste da quando esiste la chiesa. Si chiamava, con vocabolo greco di significato molto simile, apostolato. Il greco ha il verbo ἀποστέλλω /apostéllo/ di significato molto generico, che significa “io mando, invio”, con propri derivati, fra cui anche apostolo “colui che è inviato”. Nel linguaggio cristiano, l’apostolo è colui che si fa carico dell’evangelizzazione degli infedeli.
Quindi quella che noi chiamiamo attività missionaria, o apostolato, esiste da quando esiste la Chiesa. Con una precisazione, però: che i primi cristiani, fra i quali vi erano gli apostoli, vivevano ed operavano in un mondo che per loro era molto famigliare. Per i primi cristiani, bastava uscire dalla porta di casa per entrare in “terra di missione”; un modo che si doveva portare alla fede. Ma era un mondo perfettamente conosciuto; era il mondo in cui erano cresciuti loro stessi prima di diventare cristiani; ne conoscevano la lingua, le tradizioni, i costumi. È vero che l’apostolato si dirigeva verso tutte le terre conosciute; ma le terre conosciute appartenevano quasi tutte all’Impero Romano, la prima grande società globalizzata del mondo, una società omogenea su tutte le sponde del Mediterraneo. L’apostolato presso i “gentili” non richiedeva quindi l’elaborazione di una propria modalità specifica, diversa da quella della predicazione presso le comunità già cristianizzate.
È questa la grande novità di Propaganda Fide: l’apostolato presso le popolazioni non europee, popolazioni con lingue, storia, costumi tradizioni, radicalmente diverse, a volte incomprensibili per un europeo. Questa situazione obbligava a elaborare modalità specifiche di azione, quelle che noi chiameremmo “competenze professionali”, molto diverse da quelle di chi deve predicare ai propri parrocchiani. Fu un’elaborazione molto lunga e tormentata, non esente da gravi contraddizioni.
Ma torniamo alla parola “missione”. E incontriamo un importante personaggio, Saint Vincent de Paul (1581-1660). Lasciamo perdere la storia di questo prete di modeste origini, che si fa conoscere per la dottrina e la carità, entrando in relazione anche con importanti personalità del tempo. Nominato ad una parrocchia rurale, entrò in contatto con il mondo contadino più umile e diseredato. La Francia era allora alla fine di un periodo spaventoso di guerre, conflitti, devastazioni; Vincenzo rimase sconvolto dalle condizioni di miseria materiale e spirituale delle persone più umili; durante la confessione di un vecchio contadino moribondo si rese conto dell’abisso di ignoranza in cui si trovava la gran massa di un popolo che solo nominalmente poteva dirsi “cristiano”. Sentì quindi la necessità di uno sforzo di apostolato straordinario; molti lo seguirono, e nacque quindi la “Congregazione della Missione”, formata da preti i quali impegnavano parte del loro tempo, al di fuori delle loro normali occupazioni, per la predicazione e l’assistenza ai più poveri. Si trattava di quella “missione rurale”, che fu essenziale, sia per la formazione di un personale specializzato nella predicazione in quelle che oggi chiameremmo “parrocchie di frontiera”, sia per l’elaborazione di specifiche modalità di azione per l’assistenza materiale e spirituale di persone che, nonostante la vicinanza geografica, vivevano come in un altro mondo rispetto ai ceti sociali garantiti e civilizzati. La Congregazione della Missione solo in un secondo tempo si dedicò a quella che per noi è l’“attività missionaria” in senso proprio, cioè la predicazione in altri continenti; ma l’esperienza accumulata nelle più povere campagna d’Europa si rivelò preziosa anche in Sud America, in Africa.
Intanto nascevano istituti dedicati espressamente alla predicazione fuori d’Europa. Nel 1663 nasceva a Parigi la Société des Missions Étrangères: si sentiva ancora la necessità di specificare “straniere”, per indicare la funzione specifica di quelle “missioni”, per distinguerle da quelle “interne”. Queste missioni “straniere” si rivolgevano a realtà diverse: le popolazioni dell’Europa non cattolica (protestanti e greci ortodossi), e soprattutto le popolazioni dei continenti extra-europei.
Nel giro di pochi anni le parole “missione” e “missionario” vennero ad assumere universalmente il significato che hanno adesso: un’azione rivolta alla conversione di popolazioni con culture diverse da quelle dell’Europa cattolica. Fu una straordinaria avventura, in primo luogo di conoscenza, di realtà diverse da quella in cui per sedici secoli si era sviluppata la cultura cristiana.
Oggi, nelle lingue europee, la parola “missione” ha anche esteso il suo significato ad altri campi, indicando, spesso in modo molto generico, l’obiettivo finale di una certa istituzione o attività. La voce “Missione aziendale” della Wikipedia riporta alcuni esempi di “mission statement” di diverse aziende: Nokia, Ferrero, Ferrari, Walmart, Walt Disney…