Quelli della mia generazione

La mia generazione manifestava per il Vietnam.

Voglio dire, noi manifestavamo PER il Vietnam, e CONTRO gli USA.

Viet Cong

Certo in queste nostre manifestazioni c’era molta ingenuità, un grande manicheismo ideologico, spesso qualche eccesso. Non si sentivano parole oggi alla moda: “complessità”, “geopolitica”.

Nessuno ci spiegava che quella guerra non era una vera guerra, che l’aggressore non era un vero aggressore, che l’aggredito non era un vero aggredito, che le stragi non erano vere stragi, che non ci sono “buoni” e “cattivi”.

Per noi era la lotta dei popoli contro l’imperialismo, e tanto ci bastava.

Era ancora viva la generazione che aveva fatto la Resistenza, ma nessuno che fosse stato Partigiano si sentiva autorizzato a dare patenti di “Resistenza” a chicchessia. Sapevano benissimo che la situazione dei resistenti è, quella sì, “complessa”, ma non per questo si sarebbero mai sognati di criticare la Resistenza altrui, di alzare il sopracciglio e andare a cercare i difetti, gli errori, perché no, le ambiguità di chi si trovava sotto le bombe, e rischiava ogni momento la vita contro i carri armati che devastavano le città, incendiavano i villaggi, facevano stragi di civili. Nessuno di loro avrebbe mai detto che non ci sono “buoni” e “cattivi”. Loro, i cattivi, li avevano visti. E sapevano bene qual è la differenza.

Nessuno si sarebbe sognato di dire che i vietnamiti, che tutti quelli che lottavano per la libertà, in fondo, se l’erano voluta.

I partigiani – quelli veri – sapevano che la guerra partigiana è una guerra. Che si fa con le armi. Con le armi di quello che rimaneva dell’esercito regolare italiano, con quelle prese al nemico, con quelle paracadutate dagli inglesi. Si uccide e si viene uccisi.

I partigiani speravano nell’arrivo degli Alleati, cercavano di coordinarsi con loro, ed era una sventura quando il coordinamento mancava. Per loro, nei momenti di disperazione, era un conforto sapere che tutto il mondo libero era dalla loro parte. Combattevano contro i nazifascisti, non si sognavano minimamente di pensare che l’aggressione nazifascista era stata provocata dagli americani, dagli inglesi. Quella era la propaganda fascista, non la loro battaglia. Per loro, l’aggressione nazifascista l’avevano fatta i nazi, e i fascisti.

No, non mi vergogno di aver manifestato per il Vietnam. In quel momento, era la cosa giusta da fare.

Una profezia terrificante

La coppia Mozart Da Ponte ci ha lasciato capolavori di bellezza assoluta, ma c’è un punto in cui dimostra autentiche doti profetiche.

Il Don Giovanni è rappresentato per la prima volta nel 1787. Col senno del poi, diciamo tutti: “due anni prima della grande Rivoluzione”.

Ma all’epoca di questo non c’era la minima consapevolezza. L’Ancien Régime appariva saldo come una roccia, destinato a durare per sempre.

L’opera ci presenta il potere nella sua forma più brutale. Don Giovanni è un tiranno che usa il suo potere per il proprio piacere, e glorifica il proprio piacere come massima espressione del proprio potere.

Ed è proprio lo spietato tiranno amorale che nel momento del suo trionfo lancia un urlo che ghiaccia il sangue:

“Viva la libertà!”

Del Boca: la storia come coscienza civile

Angelo Del Boca
Novara 23 maggio 1925 – Torino 6 luglio 2021

Il 2 ottobe 1935 alle 18,45 Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia annuncia l’inizio della guerra di conquista dell’Etiopia.

Il discorso è trasmesso per radio, e in parecchie città italiane nella notte si svolgono manifestazioni popolari di giubilo.

A Novara la folla si riunisce intorno ad un manichino con le fattezze di Hailé Selassié che viene dato alle fiamme. In mezzo a questa folla, c’è un bambino di dieci anni. Si chiama Angelo del Bosca, è stato portato lì dai genitori, e partecipa con entusiasmo infantile al rito incendiario.

“L’autore di queste pagine”, scriverà parecchi anni dopo nel secondo volume della sua Storia degli Italiani in Africa Orientale, “non esclude che uno dei motivi che lo hanno spinto a occuparsi dell’aggressione fascista all’Etiopia, con l’intento di ristabilire la verità sui fatti, sia proprio il ricordo della bottiglia di benzina con la quale, la notte del 2 ottobre 1935, ha irrorato il manichino in cartapesta di Hailè Selassiè.”

È una bellissima dichiarazione che spiega esattamente il senso della storia come impegno civile.

Non è la storia che si limita ad un semplice elenco “oggettivo” di fatti; ma neppure la storia costruita a sostegno di un’ideologia.

È una storia che cerca di formare, attraverso la lettura critica del passato, la coscienza civile di una Nazione.


Angelo del Boca Gli italiani in Africa Orientale, Laterza 1979-1986, vol 2° tomo 2° p. 392 n. 10.

Lo strano primato di Donald Trump

Il sistema elettorale degli Stati Uniti d’America è molto complicato, e quasi del tutto incomprensibile all’estero.

Più o meno tutti sappiamo che il Presidente non viene scelto direttamente dai cittadini, i quali, con una votazione Stato per Stato, eleggono 538 “grandi elettori”. Poiché la rappresentanza dei singoli Stati non è proporzionale alla popolazione, e in genere tutti i “grandi elettori” di ogni singolo Stato votano il candidato che è risultato vincente in quello Stato, indipendentemente dalle proporzioni dei voti ricevuti dai diversi candidati, la composizione del “collegio elettorale” nazionale non riflette direttamente il risultato elettorale. Può capitale addirittura che un candidato che ha preso una minoranza di voti popolari si trovi ad avere la maggioranza dei voti dei “grandi elettori”. Così è capitato nel 2016, quando Trump ha avuto 304 grandi elettori, contro i 227 della Clinton, pur con uno scarto a favore di quest’ultima di quasi tre milioni di voti popolari.

Un caso del genere è piuttosto raro, l’ultima volta si era verificato nel 2000, quando Al Gore, con circa mezzo milione di voti popolari in più, era stato superato da George Bush: furono decisivi i 25 “grandi elettori” della Florida, dove lo scarto fra i due era di poche centinaia di voti, e il conteggio fu a dir poco tempestoso. Altri casi del genere si sono verificati nel 1824, 1876, 1888, ma mai con uno scarto in favore del perdente così forte come in quest’ultimo caso.

Solitamente, il Presidente uscente, se si ripresenta, ha buone probabilità di essere rieletto. È capitato solo otto volte (nel 1800, 1840, 1888, 1892, 1912, 1932, 1980, 1992), che un presidente in carica, presentatosi candidato per un secondo mandato, sia stato battuto.

Non è quindi mai capitato finora che un presidente abbia riunito nella sua persona queste due assai poco invidiabili caratteristiche: di vincere un’elezione con una minoranza di voti (con circa 3 milioni di voti in meno), e di essere battuto nelle successive elezioni (con oltre 7 milioni di voti in meno).

In una parola: Donald Trump è stato il Presidente meno votato di tutta la storia degli Stati Uniti d’America.

Seguito a “risposta dovuta”

Poiché la → discussione in proposito del libro di Tino Vittorio è proseguita un pezzetto, con l’intervento di un nuovo interlocutore, per completezza ne riporto alcuni momenti. Preciso che non mi sento minimamente autorizzato a interpretare il pensiero del mio interlocutore, che quindi indico con le sole iniziali, e di cui riporto alcune frasi solo come collegamento alle mie risposte. Qui mi limito ad aggiungere alcune mie riflessioni per completare il mio pensiero, che comunque, per una piena comprensione, richiederebbe la lettura dell’opera di Tino Vittorio.

→ Vai al seguito della discussione sul libro di Tino Vittorio

→ Vai alla prima discussione sul libro di Tino Vittorio

Risposta dovuta: Italian Serendipity di Tino Vittorio

In un social ero entrato in una discussione su un libro che ho letto in ritardo: Italian Serendipity di Tino Vittorio, ed. Bonanno 2012. Qui pubblico alcune considerazioni in proposito.

Siamo nell’ambito delle interpretazioni del Risorgimento, ed in questo caso, si tratta di un’interpretazione esplicitamente revisionista in chiave meridionalista. Non so se il tema interessa qualcuno; in ogni caso, tanto dovevo alla cortese corrispondente.

Vai alla discussione sul libro di Tino Vittorio →

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Intellettuali


La moderna Biblioteca di Alessandria è su eBay.
Da anni vado a cercarvi le più insolite realtà di nicchia, edizioni sconosciute di autori sconosciuti…
In seguito ad una sgradevole discussione di quelle che ci tocca subire oggigiorno (un intellettuale che accusa gli intellettuali di essere “intellettuali”), per esorcizzare il senso di déja vu, mi sono messo a cercare un classico sull’argomento, l’opera di un grande intellettuale non defezionista.
1927. Prima edizione, copia numerata.
Voi tenetevi i vostri ometti furbetti non politicamente corretti.
Io ho Julien Benda.

Destra, sinistra, e perché no, una destra “di sinistra” (o una sinistra di destra?)

Division Charlemagne
Volontario francese della 33. SS Panzer Grenadier Division “Charlemagne” sul fronte russo

Il fascismo può essere riassunto storicamente in tre punti.

  1. Si prende la teoria della storia di Marx (o per meglio dire, una sua semplificazione molto riduttiva) e si sostituisce alla “lotta fra le classi” la “lotta fra le nazioni” (i popoli, le razze ecc.).
  2. Si prende la teria economica di Marx (trascuriamo il fatto che parlare di “teoria economica di Marx” è molto impreciso, anche qui si va per grandi semplificazioni) e si sostituisce al termine “capitale” il termine “finanza”. Se per voi è la stessa cosa, vuol semplicemente dire che non avete letto il Capitale. Tranquilli, non è un problema, nessuno può leggere tutto, io non ho mai letto Guerra e Pace, per esempio. Ma credetemi: per Marx non è assolutamente la stessa cosa.
  3. Si prende il linguaggio e la prassi della Rivoluzione Francese, e al posto di “aristocrazia” si mette “sistema parlamentare”. E qui credo che abbiano capito tutti.

Bibliografia essenziale: Zeev Sternhell, Ni droite, ni gauche. Ma c’è anche tanta altra roba da leggere – solo che non si può leggere tutto ecc.

Che questo sia il fascismo dei fascisti d’oggi, Marine Le Pen in testa, non ci piove.

Però occhio: esattamente come novant’anni fa, è anche il fascismo di tanti fascisti “di sinistra” (sic.)

E proprio in questi giorni, spuntano come funghi dopo una bella pioggia.