Ho in mano il pomposo opuscolo di un pomposo ristorante astigiano. Hanno voluto mettere in risalto la loro piemontesità, ma non ne hanno azzeccata una.
Il ristorante si chiama Pióla & Cróta – proprio così, con l’accento al contrario. Non ci vuole una grande scienza; opuscoletti con le regole dell’ortografia piemontese si trovano a pochi euri sulle bancarelle, vocabolari di piemontese sono stati redatti da diversi illustri studiosi.
Oltretutto, se uno si limita a guardare sulla tastiera, c’è solo la ò, e la ó la deve costruire con faticose manovre (se usa Uìndos; se usa Mac è un po’ più semplice). Ma tant’è, anche in piemontese colpisce il tipico errore dei “semicolti”: l’ipercorrettismo, che consiste nel mettere la forma sbagliata, difficile, al posto della forma semplice, corretta: Piòla, Cròta.
Nell’elenco “Archeogastronomia” (ma che, si mangiano le mummie?) è un errore veniale pnansemmo per pnansëmmo. Ma la cosa tremenda è che in mezza pagina ci sono tre modi diversi per scrivere il suono u: è corretto in Batsoà, Bonet; c’è la forma col cappelletto, ormai abbandonata da decenni, Capônet; c’è la forma assurda (ma tanto cara ai compositori di insegne pseudo tipiche) Mitöna (che richiederebbe anche un accento sulla finale: Mitonà).
Il vertice arriva alla fine: un anglobarotto brush (sic), che per un po’ mi ha tratto in inganno, prima che riuscissi a decifrare Bross.