Visto che si parla di diplomazia

Papale papale

La guerra si fa con i fatti. Nessuno si aspetta che George Smith Patton usi un linguaggio forbito.

La diplomazia si fa parlando. Quindi le parole sono la sostanza, non un accessorio.

Chi fa diplomazia, parla usando un linguaggio che è funzionale al risultato diplomatico che vuole ottenere.

Quando Biden ha definito “macellaio” Putin, sapeva benissimo di mandare un messaggio di non disponibilità al dialogo. Mandava questo messaggio a Putin stesso, alle diplomazie degli altri paesi del mondo, all’opinione pubblica del suo paese, all’opinione pubblica del mondo. Di sicuro non ha detto “macellaio” perché in quel momento era la prima parola che gli è venuta in mente. Avrà fatto bene, avrà fatto male, si può discutere, ma sicuramente era un messaggio meditato. E chi l’ha pronunciato se ne assume interamente la responsabilità.

Il Papa non è uno come noi, che a tempo perso cazzeggiamo sui social. Il Papa è un Capo di Stato, sia pure dello Stato più piccolo al mondo. È anche Capo di una Chiesa che riunisce centinaia di milioni di fedeli nel mondo. Ogni sua parola ha grandissima risonanza in tutto il mondo.

Il Papa ha deciso di usare una metafora animalesca per qualificare un’organizzazione internazionale che riunisce 30 Stati. Cani che “abbaiano”. Papale papale.

Tra l’altro, tra questi cani che “abbaiano”, vi sono paesi a maggioranza cattolica, e paesi che sentono questo conflitto molto vicino. Mi chiedo per esempio come l’abbiano presa in Polonia, paese ultracattolico, dove la terra trema ogni volta che un missile colpisce la città ex-polacca di Leopoli. Anche loro, cani che “abbaiano”? Aspettiamo una precisazione dalla diplomazia vaticana.

Inoltre, con questa metafora molto espressiva, il Papa ha mostrato di aver per lo meno una certa comprensione per le motivazioni addotte dal Governo russo a sostegno della sua invasione dell’Ukraina. La Russia è “circondata” dalla NATO, ed è entrata in guerra, pardon, in “operazione militare speciale”, come reazione a quest’assedio.

Tornando al punto iniziale, con quest’affermazione il Papa ha avvicinato, oppure no, una soluzione diplomatica del conflitto?

Il Papa si è presentato come possibile mediatore nel conflitto?

Vedremo presto.

… e tu non sei Sofocle (uffa…)

In tema di bufale letterarie, mi sembra abbastanza clamorosa quest’ultima:

Prendi tua figlia e insegnale lo splendore della disobbedienza. È rischioso, ma è più rischioso non farlo mai.

attribuita – non l’immaginereste mai – a Sofocle. Antigone. Proprio così.

Il problema non è tanto che uno possa sbagliare citazione. Ma mi sembra incredibile che una persona di buona cultura (chi ha condiviso questa bufala è, credo, persona di buona cultura) non riesca a non ravvisare in questa frasetta lo stile del femminismo mainstream, della cultura alternativa che più average non si può.

Stile. Perché la lingua è stile, prima che grammatica.

Stile.


Sullo stesso tema:

→ Hemingway

→ Borges

Parole e immagini

In tutta la faccenda della signora suicida, un elemento non mi sembra sia stato sufficientemente messo in risalto.

Una giratina sul web ci fa persuasi che il 90% dei messaggi è costituito da filmini porno amatoriali e autoprodotti, o altri contenuti di pari livello culturale.

Quello che ha reso quel particolare filmino così diffuso, non sono le immagini, che suppongo (non l’ho visto) non distinguibili da quelle di millanta miliardi di altri filmini porno autoprodotti; bensì una particolare invenzione linguistica.

“Stai facendo il video? Bravo!” è la frase che la protagonista ha pronunciato, rivolta al videomaker. Ed è questa frase, in cui si condensa tutta la saggezza di una generazione che vive con il telefonino in mano, che è diventata il messaggio universale.

Su questa frase sono state fatte infinite variazioni – alcune delle quali ho anche visto. Giovanotti e adulti si fanno filmare mentre compiono le operazioni più svariate, solo per avere un’occasione per pronunciare la frase: “stai facendo il video? Bravo!”

La sorpresa per la povera signora dev’essere stata tremenda.

Chiunque abbia più di 15 anni (e la signora ne aveva giusto il doppio) sa che un qualunque contenuto messo sul web potenzialmente raggiunge il mondo intero. Per questo è stato inventato il web! Per far circolare le informazioni, non per nasconderle. Per il resto, esistono i pizzini.

Quello che non poteva prevedere, è che l’elemento di particolare interesse non sia l’atto in sé (quello che definisce, appunto, quel prodotto come un film porno); ma la frase di commento. Un filmino porno fatto solo per far dispetto all’ex fidanzato, o per un qualunque altro motivo ritenuto all’occasione valido (in ogni caso l’autrice era abbondantemente maggiorenne) si esaurisce rapidamente nel ristretto giro dei pochi interessati personalmente alla vicenda.

Ma una frase dall’involontaria e imprevista efficacia, capace di condensare in sé il senso profondo del 90% della comunicazione sul web, è un’invenzione clamorosa. Perché si fa un film porno (ci si scaraventa giù da un ponte, si viaggia all’incontrario sull’autostrada, si mangiano cento cannoli in una volta sola…)? Per farsi o farsi fare un filmino col telefonino! La realtà virtuale che filma sé stessa. Questa è una scoperta degna di un professorone di teoria della comunicazione.

La povera signora si è trovata proiettata in un ruolo che non era in grado di reggere. Ed è crollata.

Ci dispiace molto per lei. Non meritava di fare una così brutta fine per un motivo – soggettivamente parlando – così futile.

Ma ci dà anche una notizia importante. Le parole pesano più delle immagini.

Il grande No

Κωνσταντίνος Καβάφης

Kostantinos Kavafis, Alessandria d’Egitto 1863 – 1933

Il No di Metaxas a Mussolini il 28 Ottobre 1940. Il No al referendum del 5 Luglio 2015.

Senza entrare nel merito delle due vicende storiche, questa parola greca, ΟΧΙ, era entrata nella storia e nella memoria di quel paese attraverso i versi del suo più grande poeta moderno.

CHE FECE… IL GRAN RIFIUTO

Σὲ μερικοὺς ἀνθρώπους ἔρχεται μιὰ μέρα
ποὺ πρέπει τὸ μεγάλο Ναὶ ἢ τὸ μεγάλο τὸ Ὄχι
νὰ ποῦνε. Φανερώνεται ἀμέσως ὅπιος τὄχει
ἔτοιμο μέσα του τὸ Ναί, καὶ λέγοντάς το πέρα
πηγαίνει στὴν τιμὴ καί στὴν πεποίθησί του.
Ὁ ἀρνηθεὶς δὲν μετανοιώνει. Ἂν ρωτιοῦνταν πάλι,
ὄχι θὰ ξαναέλεγε. Κι ὅμως τὸν καταβάλλει
ἐκεῖνο τ᾿ ὄχι – τὸ σωστὸ – εἰς ὅλην τὴν ζωή του.

Per certi di noi arriva quel giorno
che c’è da dire il grande Sì, o il grande No.
Subito si fa avanti quello che il Sì ce l’ha già bell’e pronto,
in saccoccia: lo dice, e si fa strada
nella stima e nella considerazione di sé.
Chi s’è negato, non se ne pente. Gli chiedessero di nuovo,
ancora direbbe di no. Eppure lo manda in rovina
quel No – benedetto No! – per tutta la sua vita.

(Traduzione mia. Il titolo in italiano è nell’originale.)

Un commento pascoliano ad Orazio

[a proposito di: L’asclepiadeo maggiore [e l’arte di abbindolare i gonzi]]

da: Giovanni Pascoli, Lyra, 2ª edizione Giusti Editore 1899 p. 208

XXI. – Convivio intimo. – Il convivio è presso Leuconoe il cui animo non è sereno, come serena la bellezza. Così mi giova interpretare il nome della fanciulla, da λευκός e νοῦς, come valesse: se fosse anche nell’animo, candida sarebbe in tutto. Leuconoe è piena di suoi presentimenti e consulta i Chaldaei, i matematici che leggevano l’avvenire nelle costellazioni. Ha forse ella con sé i pinaces dove è computata la fine della vita di lei e di lui? Li mostra ella forse alla fine del simposio che non è riuscito a cacciare la nuvola dalla fronte candida? Nei simposii poteva aver luogo una specie di divinazione, per es., col cottabo e coi tali. E il parlare dell’avvenire con tristezza, abbiamo veduto nel prec. v. 131, e altrove, che era naturale e solito. E il simposio poteva essere nel natalizio o di Leuconoe o di Orazio, onde il discorso sui Chaldaei, poiché la loro arte consisteva (Cic. div. II, 87) in praedictione et in notatione cuiusque vitae ex natali die. Da tutto questo e dal verso 6, deduco che la poesia è conviviale come le precedenti, di cui la prima ([I-XVIII2]) ha lo stesso metro. « Non cercare con codesti illeciti computi sino a quando vivremo io e tu. Meglio è prendere quello che viene. O più d’un inverno ci sia serbato o l’ultimo sia questo, non ci pensare; filtra il vino e poiché la vita è breve non far lunga la speranza. Mentre parliamo è già passato un po’ della nostra parte di vita. Afferra l’oggi e non credere al domani ». Il convivio è d’inverno, anche questo; e figurato presso il mare che fa sentire il suo cupo brontolìo. Anche nel precedente si parla di burrasca. Anche nell’Ora tetra, Epod. [XIII3], mugghia il mare. Ciò deriva da Archilocho e Alcaeo, lupi marini? …


[Note mie]

1 Carm. I, 9 “Vides ut alta stet nive candidum…” al v. 13 “Quid sit futurum cras, fuge quaerere…”

2 Carm. I, 18 “Nullam, Vare, sacra vite prius severis arbore…”

3 Ep. XIII “Horrida tempestas caelum contexit et imbres…”

L’asclepiadeo maggiore

Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. ut melius, quidquid erit, pati.
seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam reseces. dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem quam minimum credula postero.

Hor. Carm. I 11

Non chiederti, Leucy, quale sorte toccherà a me, e quale a te. E non stare a fare i tarocchi di Babilonia. Non è cosa che ci è dato sapere. Meglio prendere la vita come viene.

Forse conosceremo altri inverni. Forse questo, che manda il mar Tirreno a sbattere contro i sassi, è l’ultimo che ci ha dato il Padreterno. Fatti furba. Versa il vino, e nel giro di pochi attimi taglia il lungo filo della speranza. Mentre ci perdiamo in chiacchiere, il tempo dispettoso se ne va. Vivi alla giornata, non fare nessun conto sul domani.


Questo è, evidentemente, un maldestro esercizio di traduzione, di cui sono tutt’altro che soddisfatto, e che spero riuscirò a migliorare.

Nella primissima versione avevo tradotto Leuconoe con Bianchina: e sono stato giustamente impallinato.

Non che Bianca mi entusiasmi…

[var. 29 gennaio 2015]

Ho deciso: tolgo Bianca, e metto Leucy.

Esiste, giuro.


Nella prima versione il titolo del post era L’asclepiadeo maggiore, e l’arte di abbindolare i gonzi.

Il banale fatto di cronaca che lo aveva ispirato ormai è totalmente dimenticato.

[var. 27 febbraio 2015]

Ho rimosso, su richiesta dell’autore, alcuni commenti. Riporto qui una delle mie risposte a questi.

Il nome della signora mi ha dato molti problemi.
Non so se lei segue it.cultura.linguistica.italiano, riporto qui un mio messaggio in riposta a chi, giustamente, criticava la mia scelta:
“Hai ragione, Bianchina sembra un’utilitaria degli anni ’60.
Non so come si possa tradurre Leuconoe, la lettura usuale leukos “bianco” + nous “mente” non è sicura, in ogni caso intraducibile.
Leuconoe in greco è un demo dell’Attica, ma non c’entra niente. In latino leukon significa “airone bianco”, e prima di Bianchina avevo pensato a “Gabbianella”: scartato. Pensi che “Garzetta” funzionerebbe?
Un nome greco oggi sa di liceo classico; ma all’epoca era una moda banale, come oggi i nomi (pseudo)inglesi. Leuconoe all’epoca era giusto un nome da olgiattina. Che ne dici di Whitney?
No, non va. Non si capisce neanche se è un nome da maschio o da femmina.”

[var. 4 agosto 2017]

Allora diciamolo che se la sono voluta

“… Neutralità disarmata in tutte le guerre che scoppiavano intorno a lui… fino alle questioni tra due contadini, nate da una parola, e decise coi pugni, o con le coltellate… Il battuto era almeno un imprudente; l’ammazzato era sempre stato un uomo torbido. A chi, messosi a sostener le sue ragioni contro un potente, rimaneva col capo rotto, don Abbondio sapeva trovar sempre qualche torto; cosa non difficile, perché la ragione e il torto non si dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell’una o dell’altro…”

I Promessi Sposi I

In memoria di Margaret Thatcher (Jannacci style)

Quelli che… quelli che lavorano sono solo dei rompicoglioni.

Non quelli che lavorano e pretendono diritti.
Non quelli che lavorano e pretendono un salario.
Non quelli che lavorano e pretendono una pensione.
Non quelli che lavorano e ogni tanto scioperano.
Non quelli che lavorano e si iscrivono ai sindacati.
Non quelli che lavorano e lasciano sporco in giro.
Non quelli che lavorano e si alzano alle cinque di mattina, “perché io sono uno che si alza alle cinque di mattina, io lavoro, mica come tanti…”
Non quelli che lavorano e puzzano di sudore.
Non quelli che lavorano e la sera guardano la partita.
Non quelli che lavorano e “quello lì chissà che lavoro fa…”
Non quelli che lavorano e dicono ai figli “studia, perché io lavoro, e per te studiare è il tuo lavoro”.
Non quelli che lavorano e “quando sarò vecchio tornerò a coltivare la vigna di mio padre”, ma quando sono vecchi guardano la partita come quando lavoravano.
Non quelli che lavorano “ma se vinco al Totocalcio smetto di lavorare”.

No.

Quelli che … quelli che lavorano sono dei rompicoglioni, perché lavorano. Anche se lavorano e non fanno nient’altro, sono dei rompicoglioni. Perché lavorano. Tanto basta per essere dei rompicoglioni.

E basta.

Trovata su un gnus grùpp

«È in atto una campagna d’odio contro di me, il fascismo e l’Italia»

(Benito Mussolini, discorso al Senato, 1932).

«Gli ebrei alimentano una campagna di odio internazionale contro il governo. Gli ebrei di tutto il mondo sappiano: questo governo non è sospeso nel vuoto, ma rappresenta il popolo tedesco. Chi lo attacca, offende la Germania»

(Adolf Hitler, programma nazionalsocialista, 1933).

da: news:it.arti.fotografia