Sistemi elettorali in Italia – una sintesi

  1. Legge elettorale proporzionale per l’elezione dell’Assemblea Costituente, emanata col Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 74 del 10 marzo 1946; fu poi estesa alla Camera dei Deputati con Legge n. 6 del 20 gennaio 1948. Le si affiancò con Legge n. 29 del 6 febbraio 1948 la norma l’elezione del Senato, consistente in un proporzionale mascherato da uninominale.
    • Questo sistema elettorale fu applicato 10 volte dal 1948 al 1987.
  2. Modifica delle modalità di elezione della Camera con l’abolizione della preferenza multipla in seguito al referendum del 9 giugno 1991.
    • Questa norma fu applicata una volta, nelle elezioni del 1992.
  3. Modifica delle modalità di elezione del Senato con abolizione della quota proporzionale in seguito al referendum del 18 aprile 1993.
    • Questa modalità di elezione non è mai stata applicata.
  4. Nuove modalità di elezione della Camera e del Senato con Leggi 4 agosto 1993 n. 276 e n. 277 (cd. “Mattarellum”): sistema uninominale per il 75% dei seggi, con recupero proporzionale per il restante 25%.
    • Sistema elettorale applicato tre volte: nel 1994, 1996 e 2001.
  5. Cd. “Porcellum”, Legge n. 270 del 21 dicembre 2005: proporzionale con premio di maggioranza e liste bloccate alla Camera e al Senato, con modalità diverse per il calcolo del premio di maggioranza fra le due Camere.
    • Legge applicata nelle elezioni del 2006, 2008, 2013.
  6. Cd. “Consultellum”, sistema elettorale risultante dall’applicazione delle modifiche imposte al “Porcellum” dalla Corte Costituzionale con sentenza 4 dicembre 2013.
    • Sistema mai applicato.
  7. Cd. “Italicum” varato con Legge Legge 6 maggio 2015, n. 52. Capilista bloccati, premio di maggioranza assegnato con ballottaggio.
    • Sistema mai applicato.
  8. Legge “Italicum” modificata con sentenza della Corte Costituzionale del 25 gennaio 2017, che abolisce il ballottaggio per il premio di maggioranza, conserva il premio di maggioranza per la lista che raggiunge il 40%, conferma i capilista bloccati e le candidature multiple, ma impone il sorteggio per la scelta del collegio di elezione.
    • Sistema, fino ad oggi, non ancora applicato.

Hitler “al potere con elezioni democratiche”?

HitlerCircola da sempre il luogo comune di Hitler che “va al potere con elezioni democratiche”. Se non è proprio una bufala, certo è un’esagerazione.

Vediamo i dati – che chiunque può verificare:

Elezioni presidenziali del marzo-aprile 1932:
Primo turno: Hitler 30,1%
Secondo turno: Hitler 36,8%.

Soprattutto se guardiamo i dati del ballottaggio, il successo è modesto: solo Giachetti a Roma è riuscito a fare peggio – e non di molto.

Elezioni del Parlamento Federale:
Settembre 1930: NSDAP 18,3%
Luglio 1932: NSDAP 37,8%
Novembre 1932: NSDAP 33,1%

Dunque, nel momento in cui Hitler va al potere, il consenso elettorale del suo partito è addirittura in calo. Adesso che va di moda l’italico “maggioritario”, il 33% è un bolide che ti proietta sul tetto del mondo; ma in Germania allora c’era il proporzionale, e se ti votava un elettore su tre, avevi un deputato su tre.

Dopo due mesi, Hitler ottiene ugualmente il cancellierato per una serie di motivi che prescindono dal risultato elettorale: il favore del vecchio Hindenburg, l’appoggio dei “poteri forti”, una politica abile e spregiudicata di alleanze con le forze della destra “moderata”, le divisioni e le incertezze dell’opposizione, e soprattutto le continue violenze che destabilizzano i partiti democratici e creano un senso di fatale necessità.

Si tratta comunque sempre di un governo con maggioranza parlamentare vacillante. Hitler decide quindi di avere una vera legittimazione attraverso un nuovo voto popolare.

Il risultato è deludente:

Marzo 1933: NSDAP 43,9%

Queste ultime elezioni sono celebrate quando Hitler è già Cancelliere da due mesi, il Reichstag un mucchio di rovine fumanti, gli avversari politici aggrediti, perseguitati e uccisi, le città e i seggi presidiati da milioni di Camicie Brune in armi. Eppure anche in queste circostanze terribili oltre il 56% dei tedeschi ha avuto il coraggio di dire NO al nazismo.

Hitler capisce la lezione, e tre settimane dopo viene emanata la “Legge dei pieni poteri”. Per i successivi dodici anni non ci sarà più democrazia in Germania, non ci saranno più elezioni né “vinte”, né perse.

La verità sul terrorismo dell’ISIS

(A proposito delle incongruenze degli attentati suicidi, che danno spesso luogo a complicati ragionamenti)

anisUn attentatore suicida è, in primo luogo, un povero coglione.

Uno che sceglie come scopo supremo dell’esistenza farsi saltare in aria / schiantarsi con un camion è il più coglione dei poveri coglioni.

Tutti noi dobbiamo morire, prima o poi. Non ci vuole nessuna particolare capacità, non devi dimostrare nulla, non devi avere un motivo speciale per morire. Muori lo stesso. È l’unica cosa che rende tutti gli essere umani veramente uguali.

Solo il più coglione dei poveri coglioni può pensare che il fatto di morire lo renda in qualche modo speciale.

Detto questo, tutto il resto viene di conseguenza.

Il terrorista suicida non ha bisogno di nessun addestramento speciale. L’addestramento di un soldato normale consiste nell’imparare ad uccidere senza essere ucciso. O per lo meno, ad uccidere il maggior numero di nemici prima di essere ucciso. Il terrorista suicida è solo un soldato usa e getta. Non ha bisogno di una buona mira, non ha bisogno di particolari doti offensive, non deve maneggiare tecnologie complesse, non ha bisogno di nessuna capacità difensiva. L’unica cosa che deve fare è farsi ammazzare.

Il terrorista suicida non ha bisogno di una particolare astuzia, di un supporto di intelligence. Non deve entrare in un fortilizio nemico protetto da guardie armate, non deve superare raffinati sistemi di allarme, non deve indossare strani travestimenti. Deve solo individuare un posto qualunque pieno di gente e andare a farsi saltare in aria / schiantarsi con il camion.

L’unico requisito, è che non cambi idea all’ultimo momento. Ma per questo, occorre solo un po’ di lavaggio del cervello ideologico. E fare il lavaggio del cervello a un povero coglione è la cosa più facile di questo mondo.

Poiché non è previsto che il terrorista suicida sopravviva, non c’è bisogno di elaborare una tattica per il dopo. I terroristi suicidi che sono così coglioni da non riuscire neanche a farsi ammazzare nel corso della loro azione suicida, sono presi ed ammazzati dopo pochissimo tempo.

Non è previsto che un terrorista suicida abbia esperienza e impari dai propri errori. Un terrorista suicida, per definizione, NON fa errori. L’unico errore che può fare, è la sopravvivenza: ma a questo si rimedia quasi subito.

Dal punto di vista strategico, l’impiego dei terroristi suicidi ha una efficacia totale.

La centrale terrorista incarica cento poveri coglioni di compiere l’attentato. Novantanove di loro si fanno beccare nei primi giorni, e per i motivi più cretini: perdono i documenti, scrivono su FaceBook che stanno per fare l’attentato, si fanno prendere al posto di blocco perché mostrano i documenti veri, oppure tirano fuori la pistola mentre gli vogliono solo fare la multa per divieto di sosta… Uno di loro non si fa beccare: è un coglione come gli altri, e fa esattamente gli stessi errori, ma ha un gran culo, oppure viene fermato per strada da poliziotti coglioni come lui. Quell’unico terrorista superstite riesce alla fine a farsi saltare in aria / schiantarsi con il camion.

Uno su cento ce l’ha fatta, ma dal punto di vista della centrale terrorista, il tasso di successo è del 100%. Volevano l’attentato, e hanno avuto l’attentato.

A proposito di un governo “non eletto dai cittadini”

Siamo d’accordo. In una democrazia parlamentare i cittadini eleggono il Parlamento, non il Governo. È così nella Costituzione appena confermata a larga maggioranza, e sarebbe stato così anche con la Riforma appena bocciata.

Però adesso basta. Esistono le forme della democrazia, ma esiste anche la sostanza. È sbagliato contrapporre la sostanza alle forme istituzionali, poiché si rischia una deriva populista ed eversiva. Ma è altrettanto sbagliato contrapporre ostinatamente la forma alla sostanza. Alla fine, il rischio è lo stesso.

La sostanza è il consenso, ingrediente indispensabile di ogni forma di Stato, sia democratico, sia autoritario. Senza consenso, lo Stato non regge. Senza consenso, le forme della democrazia non reggono.

E non bisogna essere sondaggisti per rendersi conto che oggi esiste un enorme problema di consenso. E quando le forme sono troppo distanti dalla sostanza, quando le parole sono troppo diverse dai fatti, sono le forme e le parole che devono adeguarsi alla sostanza e ai fatti, non il contrario.

Questo governo non è “eletto” come non lo è stato nessun governo della Repubblica. Siamo d’accordo. Ma non basta continuare a ripetere beffardamente questa frase per cancellare la sostanza: a partire dal fatto che neanche la maggioranza del 54% alla Camera è mai stata votata dai cittadini: alle ultime elezioni politiche, il partito di maggioranza relativa è stato votato dal 29,5%; poi è intervenuto il barbatrucco del Porcellum che ha moltiplicato i voti e i seggi fino al 54%. E sappiamo tutti benissimo che la Corte Costituzionale ha detto che ecc., quindi quel miracolo incostituzionale non ha delegittimato il parlamento in carica; la forma è salva, ma rimane il fatto che considerare quel 54% come se fosse espressione di un 54% di consenso reale, significa coprirsi gli occhi con mezzo chilo di nduja per non vedere la realtà.

Abbiamo assistito ad un altro miracolo: un Presidente del Consiglio che alle 15 riceve un voto di fiducia da parte del Parlamento, e alle 19 va al Quirinale a dimettersi. Lo poteva fare? Certo che lo poteva fare: essere Presidente del Consiglio non è una condanna a vita. Però accidenti. Ci vuole come minimo una bella faccia di bronzo. E credete che la gente non se ne sia accorta?

Adesso stato nominato un nuovo Presidente del Consiglio, che andrà a ricevere la fiducia da quel famoso 54%. È corretto? Certo che è corretto. Però minchia, e scusate l’eufemismo.

In questo nuovo governo occupa un posto di altissimo rilievo quell’ex Ministro delle Riforme che non solo porta la principale responsabilità di una Riforma bocciata dai cittadini, ma anche la principale responsabilità della successiva situazione assurda, per cui oggi tutti (compreso quel 29,5… scusate: 54%) invocano nuove elezioni come unica via d’uscita da questa gravissima crisi, ma non abbiamo una legge elettorale. È corretto? Certo, il Presidente del Consiglio nominato porta al Presidente della Repubblica la lista dei nuovi ministri ecc. (Art. 92) Ma pensate che la gente non se ne sia accorta?

E a proposito del Presidente della Repubblica, nessuno mette in discussione l’altissima responsabilità di quella carica, che viene esercitata in totale autonomia, poiché “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni” (art. 90). Però uno non può fare a meno di rilevare che questo scempio, formalmente corretto, della sostanza (ed alla fine anche un pochino delle forme), della democrazia, si è compiuto sotto l’occhio a volte distratto, spesso addirittura benevolo di due eminenti, indiscussi e inattaccabili Presidenti della Repubblica. Che questa situazione, che ha creato una gravissima lacerazione nel paese, ha avuto la benedizione di colui che “rappresenta l’unità nazionale” (art. 87).

Insomma, potete continuare a trattare il 59% degli italiani come degli imbecilli che non sanno che “nessun governo è eletto”.

Però poi non stupitevi se vi diciamo che con questa arrogante sicumera non fate altro che soffiare sul vento dell’antipolitica, non fate altro che confermare il pregiudizio qualunquista che vede nelle istituzioni solo un “imbroglio” ai danni della “povera gente” (Promessi Sposi XIV).parlamentovuoto

I senatori con la valigia


senatorivaligia

La faccenda del nuovo Senato, che è veramente il pons asinorm della Riforma, non regge assolutamente sotto tutti i punti di vista.

In nome dell’“efficienza” e della “velocità”, l’articolo 70 è stato infarcito di termini perentori: “entro dieci giorni…” “entro quindici giorni…”

Ammesso che questi termini siano giustificati, presup­pongono un Senato di falchi con gli occhi acutissimi pronti a gettarsi alla preda, come i Minutemen della Rivoluzione Americana. Ma 74 consiglieri regionali più 21 sindaci, che dovrebbero occuparsi di tutt’altro, e lavorano da tutt’altra parte, ve li vedete? Entro 10 giorni devono decidere di riunirsi (chi li convoca? Il Presidente del Senato. Consigliere o sindaco pure lui?); lasciano a mezzo tutto quello che stanno facendo (immagino che qualche volta gli capiti anche di occuparsi di cose urgenti e importati, mica li han messi lì a scaldare la sedia); preparano la valigia; prenotano l’aereo o il treno; partono dal monte e dal piano per raggiungere la grande Babilonia; si sistemano in albergo; vanno in Senato e… “su, fammi vedere l’ordine del giorno…”

Ma gliela vogliamo lasciare una settimana di tempo per mettersi in ordine e cominciare a discutere con un minimo di cognizione di causa?

No. Paf, tempo scaduto. Grazie per aver giocato con noi.

Insomma, una totale dissennatezza.


E questa totale dissennatezza è stata messa in piedi per un banale fine propagandistico.

Anche mantenendo il sistema dell’elezione indiretta, bastava dire che i Consigli Regionali eleggono dei Senatori che fanno solo i Senatori. Non sindaci o consiglieri regionali. Senatori.

Ma bisognava pagarli.

Allora, solo per poter dire che su 3 milioni di dipendenti pubblici ce ne sono 100 che lavorano gratis – solo per quest’unico meschinissimo scopo propagandistico, si è messo in piedi un marchingegno complicatissimo che non potrà mai funzionare.

Trump e il 99%

Quando arrivarono le notizie del movimento “Occupy Wall Street”, trovai subito una nota stonata. A parte l’intollerabile maschera del terrorista cattolico (anche lui un “anti-establishment”, perché no!), lo slogan “We are the 99%” mi sembrò fin dall’inizio il suono di una campana a morte.

Dietro questo slogan c’è l’idea che la società sia formata, appunto, da un 99% di “gente comune” e un 1% di “establishment”.

we99

Il populismo non è solo una prassi politica, è anche una visione del mondo che qualche volta si sforza di essere metodo di analisi.

Da un punto di vista banalmente statistico, è vero che tra i redditi del 99% e quelli dell’1% c’è un abisso. Ma non si fanno le rivoluzioni con le statistiche.

Tutte le società sono strutture molto complesse, a maggior ragione le società contemporanee. La tendenza anglosassone a trovare dati numerici per ogni genere di fenomeni, spinge a ridurre la complessità a semplici valori di reddito; e la teoria del 99% è il massimo della semplificazione. Ma non è una descrizione sensata del funzionamento della società.

Fra i manifestanti c’erano sicuramente molte persone che avevano un buon livello di istruzione, quindi avevano accesso ad un’infinità di analisi economiche, sociologiche ecc. che descrivono la società moderna (non tutte buone analisi, s’intende). Gettare via tutto questo patrimonio di conoscenza possibile in nome di un numero, 99, significa essere spinti dall’emotività all’ideologia, e dall’ideologia all’analfabetismo funzionale.


clintontrump

È chiaro che c’è un establishment. È chiaro che chi si candida alla Presidenza degli Stati Uniti fa parte dell’establishment; non è sicuramente uno del 99%, non è sicuramente uno che manifestava proclamandosi parte di quel 99%. La Clinton fa parte dell’establishment, questo è un volgare truismo. Ne fa parte ovviamente anche Trump – ne fa parte dalla nascita, a dire il vero, molto di più della Clinton. Semplicemente i due occupano regioni diverse dell’establishment.

Dire che la Clinton e Trump fanno parte dell’establishment, non ci serve a niente se vogliamo capire come funziona l’establishment.

Bocciare la Clinton perché fa parte dell’establishment, e quindi non può rappresentare il 99%, è come bocciarla perché ha 69 anni e quindi non rappresenta i “giovani”. Niente da fare, è una cazzata.

Forse la Clinton non avrebbe risolto i problemi del 99%. Forse è effettivamente troppo legata a quella parte dell’establishment finanziario-politico-industriale-militare che è responsabile della sofferenza del 99%. Ma non puoi fare una scelta che magari può anche essere giusta, per motivazioni stupide, senza capire di cosa stai parlando. Perché alla fine ti troverai a votare per un uomo che ha 70 anni ed appartiene a quella categoria di miliardari evasori che sono ancora più responsabili delle tue sofferenze – e che non esisterebbe se non ci fosse quell’altra metà.

Ma così è fatto il populismo. Dall’ideologia, conseguono le scelte.

Le rivoluzioni vere, non quelle per finta, devono partire da una comprensione sensata della società. Capire per cambiare. Se non capisci, non cambi. È inutile denunciare l’establishment se non capisci come funziona, quali sono i legami funzionali tra l’1% e il 99%. Anzi, non capirai niente finché non ti togli dalla testa questi due numeri del cazzo.

Puoi agitare i forconi, metterti la maschera del bombarolo papista e hackerare i computer delle multinazionali, oppure il passamontagna e sfasciare vetrine; tutto quello che fai non servirà ad altro che a perpetuare quel sistema che non cambi perché non capisci.

La democrazia dei Funny Few

Non sono tra quelli che esultano per le figuracce che stanno facendo sprofondare nel ridicolo l’amministrazione romana.

raggiboschi

Non ho mai avuto nessuna simpatia per quella formazione politica, nata dai VaffaDay – cresciuta con aggressioni verbali di esasperata violenza verso chiunque non rientri nei difficilmente comprensibili parametri politico-morali del suo fondatore – strutturatasi in un enorme Freak Show di capi carismatici, agenzie private, guru informatici e clickbaiter, “direttori” nominati non si sa da chi, blog di assatanati urlatori.

Tuttavia ogni conferma del peggio è una stilettata. Scoprire che il partito creato dall’“uomo nuovo che farà fuori la vecchia politica e i vecchi politici” (categoria, questa, degli “uomini nuovi”, quanto mai inflazionata in Italia) è del tutto incapace di costruire una struttura amministrativa dotata di un minimo di credibilità – questa, per quanto prevedibile e prevedibilissima conclusione, è non di meno deprimente.

E non è minore delusione dover riconoscere che la massima idiota “tutti uguali” è purtuttavia l’unica efficace descrizione del mondo idiota in cui viviamo.


Il più elementare buon senso ci dice che di fronte ai problemi ci possono essere solo due atteggiamenti. Uno, cercare di comprendere i problemi e affrontarli alla radice. Due, cercare delle scorciatoie. La via difficile, che espone al rischio di pesanti incomprensioni e critiche. La via facile, che assicura, almeno per  un certo tempo, l’applauso convinto dei cretini – ed anche di parecchi, che uno non avrebbe mai classificato fra i cretini.

Oggi viviamo (non solo in Italia, ma in Italia con caratteri di gravità, pervasività, e, ammettiamolo, comicità, tutti speciali), oggi viviamo una gravissima crisi della democrazia, e una gravissima crisi dello strumento ineliminabile della democrazia, i partiti.

No starò qui a dire come si potrebbe cercare una soluzione a questa crisi. Non lo dico, primo perché è abbastanza evidente che non lo so neanch’io, secondo, perché anche se lo sapessi, non servirebbe a niente scriverlo qui.

Mi sembra però evidentissimo che nessuno cerca una soluzione alla crisi; tutti cercano delle scorciatoie.

È una scorciatoia l’esasperata personalizzazione della politica, la ricerca dell’“uomo nuovo che farà fuori la vecchia politica e i vecchi politici”, ricerca che, per nostra disgrazia, arriva sempre ad uno stesso esito: da una generazione buona, di “uomini nuovi” ne abbiamo avuti a bizzeffe, alcuni più fortunati, altri meno, tutti comunque destinati a passare, presto o tardi, nella categoria degli “uomini vecchi” che il successivo “uomo nuovo” prometterà di spazzar via. E questo, a partire dal primo prototipo di “uomo nuovo”, quel “Ghino di Tacco”, all’anagrafe Benedetto Craxi, che per quasi un decennio, con quel suo partito del 10%, fu il vero dominatore della scena italiana, fino ad una drammatica uscita di scena – uscita di scena che determinò con lui la scomparsa di un vecchio partito dalla storia gloriosa.

È una scorciatoia l’idea che, con un sistema politico frammentato, con le trombe del giudizio universale che proclamano “tradimento! inciucio!” ogni volta che si parla di possibilità di un accordo tra le forze politiche, la soluzione sia istituzionalizzare le minoranze, trasformando per legge il 29% in un bel 54% – uno vince, signore e signori, e tutti gli altri perdono! E poiché non c’è limite al peggio, un giorno forse ci diranno che è normale che un 19%, magari un 9% si possano amplificare ad un bel 54% garante della “governabilità”. La mancanza di consenso come legittimazione del potere, o, con slogan vagamente orwelliano, “la debolezza è forza”.

È una scorciatoia trita e logora l’appello alla democrazia diretta, alla “gente”, quella gente di cui però si coglie una rappresentazione caricaturale, il popolo dei social e dei commentatori di quotidiani on-line ecc., con i loro giudizi grotteschi, le loro faziosità ottuse, il loro linguaggio sgangherato e sgrammaticato che conosce soltanto il lessico dell’insulto e del turpiloquio. Quello, insomma che una volta si chiamava il “popolo del Bar Sport”, che oggi si è webbizzato, e assedia con il suo assordante vociare quelli che si terrebbero volentieri alla larga dal Bar Sport.

A Roma, uno degli ultimi politici rispettabili che c’erano rimasti è entrato in rotta di collisione col suo Capo (l’“uomo nuovo” del PD), il quale l’ha bellamente scaricato, additandolo al sadismo sanguinario del Popolo del Colosseo. I 5* hanno subito abboccato all’amo, non si sono lasciati sfuggire l’occasione di linciare davanti alla folla plaudente un uomo in evidente difficoltà (la collaborazione di Casa Pound al linciaggio è un piccolo dettaglio in un quadro già di per sé  ripugnante), di lanciare l’assalto al Palazzo che tutto il mondo conosce per la statua di Marco Aurelio e per la piazza disegnata da Michelangelo.

Il Comune di Roma dovrebbe essere (e non è detto che non continui ad essere) il passo decisivo per la scalata ad un altro palazzo romano. Forse ci arriveranno, forse no, in ogni caso, se il buon giorno si vede dal mattino, avremo di che piangere.

Altro che comici.

La riforma della Costituzione spiegata da Eraclito

È venuto a trovarmi un mio vecchio amico, il filosofo Eraclito.

È un filosofo greco della vecchia scuola, cresciuto al sole della Ionia.

In realtà “filosofo” non so se è il termine giusto, lui non si è mai occupato di grandi sistemi di pensiero. La sua “filosofia” è fatta di frasette strane, apparentemente insignificanti, un po’ misteriose, che però sotto sotto lasciano scorgere un grande buon senso.

Stavamo parlando del più e del meno, ad un certo punto dice:

— Sono andato a nuotare nel fiume. Ma l’acqua non era quella di una volta. —

— Stai attento, nei fiumi succedono sempre disgrazie, sembra una cosa da nulla, lo so che tu sei un bravo nuotatore, ma ci sono i mulinelli, le correnti… —

— Sì sì, ma l’acqua non era quella di una volta… —

— Eh sì, l’inquinamento… —

— No no, non è quello, l’acqua scorre… —

— Certo, scorre perché è un fiume, se no sarebbe un lago… — Ma non mi dava retta, continuava a bofonchiare la stessa frase.

Per cercare di toglierlo da quest’idea fissa, ho cercato di cambiare argomento.

So che non avrei dovuto, a lui queste cose non interessano, ma è il tema del giorno, ad un certo punto mi sono messo a parlare della riforma di Renzi, Italicum e Costituzione. Mi sono accalorato un po’ troppo, ho parlato di quest’enorme pasticcio, norme confuse, disordinate, a volte contraddittorie, probabilmente inapplicabili. Un testo, anche linguisticamente, scritto con i piedi.

Lui è stato ad ascoltarmi attentamente, poi ha detto: — L’acqua scorre… —

Aiuto, è di nuovo fuori, ho pensato. Ma lui ha continuato a parlare.

— Vedi, mi hai parlato delle elezioni politiche del 2013, di quel lunedì di febbraio quando Bersani ha detto “Siamo arrivati primi, ma non abbiamo vinto”… È vero? —

— Certo — ho risposto, stupito che avesse seguito questi discorsi che per lui devono essere insignificanti.

— Poi alle Europee, quando Renzi ha battuto Grillo per 40 a 20… —

— Proprio così! —

— Vedi, il fiume scorre. Non lo puoi fermare, non lo puoi far tornare indietro… —

Ci risiamo, ho pensato, ma non ho detto niente.

— Invece è quello che vorrebbe fare Renzi. Far tornare indietro il fiume. Perché questo è il suo pensiero. Se nel 2013 invece del Porcellum ci fosse stato l’ItalicumSe invece del Senato della Repubblica ci fosse stato il Senato dei consiglieri regionali… Se ci fosse stato il ballottaggio, e al ballottaggio fosse andata come alle Europee del 2014… e soprattutto se al posto di Bersani ci fosse stato Renzi… Renzi avrebbe potuto dire: Abbiamo vinto! Ma non è così! —

— Non è così — ho gridato. — Non puoi far tornare indietro il fiume! Non ti bagnerai due volte nelle stesse acque! Non voterai due volte alle stesse elezioni! —

— Ecco! Hai capito! —

Avevo capito. Questo è il senso delle riforme di Renzi. Per capirle, non dobbiamo guardare avanti, pensare a quali potranno essere le conseguenze in futuro. Dobbiamo guardare indietro, ad un passato che non tornerà mai più, a elezioni perdute che non saranno mai più rivinte. Allora tutto torna, tutto ha un senso, perfino gli arzigogoli di Sua Mediocrità il Ministro delle Riforme.

Un passato che non sarà mai più il nostro futuro. Questa è la prospettiva di quella Riforma.

Il resto della serata è trascorso in grande serenità, da vecchi amici. Gli ho fatto assaggiare il Freisa della nostra Cantina, una scelta di formaggi locali.

— Non mangerai un’altra volta una robiola come questa! — gli ho detto.

— Certo che no! —

Tu non sei Jorge Luis Borges

Il tema delle false attribuzioni letterarie sembra essere infinito.

Dopo la falsa poesia di Hemingway, un personaggio italiano piuttosto noto da noi e all’estero pare che abbia declamato questa poesiola, in uno spagnolo piuttosto maccheronico, di cui si sa solo una cosa: non è di Borges.

Poema a la amistad

No puedo darte soluciones para todos los problemas de la vida,
ni tengo respuestas para tus dudas o temores,
pero puedo escucharte y compartirlo contigo.
No puedo cambiar tu pasado ni tu futuro.
Pero cuando me necesites estaré junto a ti.
No puedo evitar que tropieces.
Solamente puedo ofrecerte mi mano para que te sujetes y no caigas.
Tus alegrías, tus triunfos y tus éxitos no son míos.
Pero disfruto sinceramente cuando te veo feliz.
No juzgo las decisiones que tomas en la vida.
Me limito a apoyarte, a estimularte y a ayudarte si me lo pides.
No puedo trazarte limites dentro de los cuales debes actuar,
pero si te ofrezco el espacio necesario para crecer.
No puedo evitar tus sufrimientos cuando alguna pena te parta el corazón,
pero puedo llorar contigo y recoger los pedazos para armarlo de nuevo.
No puedo decirte quien eres ni quien deberías ser.
Solamente puedo quererte como eres y ser tu amigo.
En estos días pensé en mis amigos y amigas,
entre ellos, apareciste tu.
No estabas arriba, ni abajo ni en medio.
No encabezabas ni concluías la lista.
No eras el numero uno ni el numero final.
Y tampoco tengo la pretensión de ser el primero,
el segundo o el tercero de tu lista.
Basta que me quieras como amigo.