La democrazia dei Funny Few

Non sono tra quelli che esultano per le figuracce che stanno facendo sprofondare nel ridicolo l’amministrazione romana.

raggiboschi

Non ho mai avuto nessuna simpatia per quella formazione politica, nata dai VaffaDay – cresciuta con aggressioni verbali di esasperata violenza verso chiunque non rientri nei difficilmente comprensibili parametri politico-morali del suo fondatore – strutturatasi in un enorme Freak Show di capi carismatici, agenzie private, guru informatici e clickbaiter, “direttori” nominati non si sa da chi, blog di assatanati urlatori.

Tuttavia ogni conferma del peggio è una stilettata. Scoprire che il partito creato dall’“uomo nuovo che farà fuori la vecchia politica e i vecchi politici” (categoria, questa, degli “uomini nuovi”, quanto mai inflazionata in Italia) è del tutto incapace di costruire una struttura amministrativa dotata di un minimo di credibilità – questa, per quanto prevedibile e prevedibilissima conclusione, è non di meno deprimente.

E non è minore delusione dover riconoscere che la massima idiota “tutti uguali” è purtuttavia l’unica efficace descrizione del mondo idiota in cui viviamo.


Il più elementare buon senso ci dice che di fronte ai problemi ci possono essere solo due atteggiamenti. Uno, cercare di comprendere i problemi e affrontarli alla radice. Due, cercare delle scorciatoie. La via difficile, che espone al rischio di pesanti incomprensioni e critiche. La via facile, che assicura, almeno per  un certo tempo, l’applauso convinto dei cretini – ed anche di parecchi, che uno non avrebbe mai classificato fra i cretini.

Oggi viviamo (non solo in Italia, ma in Italia con caratteri di gravità, pervasività, e, ammettiamolo, comicità, tutti speciali), oggi viviamo una gravissima crisi della democrazia, e una gravissima crisi dello strumento ineliminabile della democrazia, i partiti.

No starò qui a dire come si potrebbe cercare una soluzione a questa crisi. Non lo dico, primo perché è abbastanza evidente che non lo so neanch’io, secondo, perché anche se lo sapessi, non servirebbe a niente scriverlo qui.

Mi sembra però evidentissimo che nessuno cerca una soluzione alla crisi; tutti cercano delle scorciatoie.

È una scorciatoia l’esasperata personalizzazione della politica, la ricerca dell’“uomo nuovo che farà fuori la vecchia politica e i vecchi politici”, ricerca che, per nostra disgrazia, arriva sempre ad uno stesso esito: da una generazione buona, di “uomini nuovi” ne abbiamo avuti a bizzeffe, alcuni più fortunati, altri meno, tutti comunque destinati a passare, presto o tardi, nella categoria degli “uomini vecchi” che il successivo “uomo nuovo” prometterà di spazzar via. E questo, a partire dal primo prototipo di “uomo nuovo”, quel “Ghino di Tacco”, all’anagrafe Benedetto Craxi, che per quasi un decennio, con quel suo partito del 10%, fu il vero dominatore della scena italiana, fino ad una drammatica uscita di scena – uscita di scena che determinò con lui la scomparsa di un vecchio partito dalla storia gloriosa.

È una scorciatoia l’idea che, con un sistema politico frammentato, con le trombe del giudizio universale che proclamano “tradimento! inciucio!” ogni volta che si parla di possibilità di un accordo tra le forze politiche, la soluzione sia istituzionalizzare le minoranze, trasformando per legge il 29% in un bel 54% – uno vince, signore e signori, e tutti gli altri perdono! E poiché non c’è limite al peggio, un giorno forse ci diranno che è normale che un 19%, magari un 9% si possano amplificare ad un bel 54% garante della “governabilità”. La mancanza di consenso come legittimazione del potere, o, con slogan vagamente orwelliano, “la debolezza è forza”.

È una scorciatoia trita e logora l’appello alla democrazia diretta, alla “gente”, quella gente di cui però si coglie una rappresentazione caricaturale, il popolo dei social e dei commentatori di quotidiani on-line ecc., con i loro giudizi grotteschi, le loro faziosità ottuse, il loro linguaggio sgangherato e sgrammaticato che conosce soltanto il lessico dell’insulto e del turpiloquio. Quello, insomma che una volta si chiamava il “popolo del Bar Sport”, che oggi si è webbizzato, e assedia con il suo assordante vociare quelli che si terrebbero volentieri alla larga dal Bar Sport.

A Roma, uno degli ultimi politici rispettabili che c’erano rimasti è entrato in rotta di collisione col suo Capo (l’“uomo nuovo” del PD), il quale l’ha bellamente scaricato, additandolo al sadismo sanguinario del Popolo del Colosseo. I 5* hanno subito abboccato all’amo, non si sono lasciati sfuggire l’occasione di linciare davanti alla folla plaudente un uomo in evidente difficoltà (la collaborazione di Casa Pound al linciaggio è un piccolo dettaglio in un quadro già di per sé  ripugnante), di lanciare l’assalto al Palazzo che tutto il mondo conosce per la statua di Marco Aurelio e per la piazza disegnata da Michelangelo.

Il Comune di Roma dovrebbe essere (e non è detto che non continui ad essere) il passo decisivo per la scalata ad un altro palazzo romano. Forse ci arriveranno, forse no, in ogni caso, se il buon giorno si vede dal mattino, avremo di che piangere.

Altro che comici.

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