Numeri, e stranieri

Dal rapporto INAIL pubblicato in questi giorni emerge che nel 2008 sono stati denunciati 44 casi di incidenti sul lavoro ogni 1000 lavoratori stranieri contro 39/1000 per gli italiani.

È probabile che il dato relativo agli stranieri sia sottostimato, a causa di una maggior frequenza di incidenti non denunciati. È quindi significativo il numero degli incidenti mortali, che sono molto più difficili da nascondere. Infatti, mentre per quanto riguarda il totale degli incidenti quelli a carico dei lavoratori stranieri sono il 16,4%, nel caso degli incidenti mortali il dato sale al 25%.

Da questi dati si può ricavare una conclusione molto chiara.

Gli stranieri sono molto più distratti degli italiani.

E non dite che questi sono discorsi razzisti: sono numeri, eh.

Germania 1933 Dialogo fra un nazista e uno sfigato di sinistra

Nazi: Visto le elezioni? Abbiamo vinto.

Sfigato di sinistra: Sì però…

N: Però che cosa? Abbiamo vinto perché avevamo il programma più concreto, più vicino ai reali interessi della gente.

Sds: Veramente non mi sembra…

N: Come non ti sembra? Perché, voi che proposte avete? Per esempio, quali sono le vostre proposte concrete per affrontare il problema ebraico?

Sds: Ma quale problema ebraico…

N: Ecco, lo vedi? Non avete proposte. Non vi rendete neanche conto del problema. Per questo la gente vi ha voltato le spalle.

Sds: Ma io non ho nessun problema con gli ebrei…

N: Ma certo, tu non lo vedi, perché sei un privilegiato, uno che vive a spalle del popolo, uno che ha lo stipendio garantito! Ma tu pensi che un poveraccio senza lavoro possa ignorare il problema ebraico? Pensi che la gente comune, la gente che lavora – non gli intellettualoidi che frequentate voi sfigati di sinistra – possano dire “ma per noi il problema ebraico non esiste” mentre l’ebreo stupratore gira indisturbato per le nostre città? Pensi che un onesto muratore che si alza alle quattro del mattino per andare sul cantiere possa fregarsene del piano giudaico di distruggere la razza germanica? Ma dove vivi? Voi di sinistra siete veramente fuori del mondo! E invece ecco che il nostro Führer ha trovato una soluzione concreta. Ed il popolo ha capito, il popolo che ha i piedi per terra, che capisce come vanno veramente le cose. Ed appoggia Adolf Hitler. Poi, risolto il problema ebraico, potremo passare al secondo punto del programma.

Sds: Quale sarebbe?

N: Ma è chiaro: la conquista del mondo.

Sds: Dunque volete un’altra guerra…

N: Ma sentilo, il radical-chic, l’intellettualoide da salotto! Ma certo, con un’altra guerra! Perché, tu pensi che si possa conquistare il mondo senza una guerra?

Sds: Ma la guerra… e poi ne abbiamo già persa una…

N: Razza di chiacchieroni senza palle, ma la volete capire che la gente è stanca delle chiacchiere, e vuole fatti? Certo, una guerra! Perché, voi siete contro la guerra?

Sds: Certo, noi siamo contro la guerra…

N: Aaaaaaa… ma allora siete proprio incorreggibili… siete davvero il partito del NO! Non avete soluzioni da proporre, siete solo capaci di dire NO a tutto! Il nostro Führer lavora giorno e notte per costruire le migliori guerre che si siano mai viste, e voi NO! Nient’altro che NO!

Sds: Ma la pace…

N: Eh, sì la pace! la paaaaace! la paaaaaaaaaaaaace! avete sempre solo questa parola in bocca! Parolai inconcludenti! Ma che cos’è la paaaaaaaaace che volete? Forse non fare più guerre? Ma non avete proprio nessun programma che non sia solo la negazione del programma del Führer! Il Führer dice “guerra” e voi sapete solo dire “paaaaaaace”! Ecco perchè più nessuno vi ascolta, più nessuno vi vota! Perché non avete un programma, non avete risposte, avete solo parole! Ma ora basta! Basta con le parole! Noi saremo il governo dei fatti, non delle parole! Una bella guerra, i piani sono già pronti, e Adolf Hitler sarà il Führer del mondo intero!

Sds: Ma voi siete dei pazzi… Hitler è un pazzo…

N: Ecco, me l’aspettavo, i soliti insulti! Quando non sapete cosa dire, quando non avete proposte concrete da fare, sapete solo insultare! Ma noi ce ne freghiamo dei vostri insulti, anzi, ci fanno piacere! Ah ah ah! Perché più ci insultate, più la gente scopre il vostro gioco, e dà più fiducia a Hitler! Vi siete degli illusi, se pensate che l’antihitlerismo vi faccia guadagnare dei voti! Insultateci, insultateci quanto volete, e vedrete che Hitler sarà il Führer per i prossimi cinquant’anni!

L’economia della scuola. Capitolo primo.

Ragionare per metafore può essere efficace dal punto di vista espositivo, ma dal punto di vista logico è quasi sempre capzioso.

In ogni caso, anche le metafore possono essere più o meno efficaci.

Una delle metafore più sciocche è quella della "scuola azienda".

Ci sono tantissimi motivi per cui ragionamenti di tipo aziendale non possono essere applicati alla scuola, provo ad enunciarvene uno.

Nella scuola non si possono fare economie di scala. Si possono fare economie di scala nell’edilizia scolastica, ed in alcuni altri aspetti marginali, ma nella didattica no. Anzi, dal punto di vista dell’insegnamento vero e proprio, è più probabile che si verifichino delle diseconomie di scala.

In altri termini, nella scuola si possono ragionevolmente perseguire tre obiettivi:

  1. il miglioramento della qualità dell’istruzione
  2. l’allargamento del sistema scolastico, e quindi l’aumento del numero dei diplomati
  3. la riduzione dei costi.

Ma non si possono perseguire questi tre obiettivi insieme. Si deve fare una scelta. Si decide quale deve essere l’obiettivo prioritario, ed in conseguenza di questa scelta almeno un altro obiettivo deve essere completamente abbandonato, e anche il raggiungimento del terzo può incontrare delle difficoltà.

Com’è noto, quasi cinquant’anni fa la società italiana si avviò verso la scolarizzazione di massa. Il primo atto fu la riforma della scuola media. Seguirono altre trasformazioni, con una loro storia particolare, che però nel complesso corrispondevano ad un’evoluzione comune a tutti i paesi avanzati.

Com’è evidente, questa scelta comportò un aumento dei costi. Forse anche un peggioramento della qualità dell’istruzione, anche se in questo caso sicuramente bisogna fare la tara dell’effetto ottico per cui tutto quello che c’era una volta era meglio ecc.

Oggi la scelta è la riduzione dei costi. Certo, ognuno ha la sua lista personale di sprechi che si potrebbero eliminare nella scuola, come in ogni struttura organizzata, soprattutto se è molto grande. Ma la riduzione dei costi che ci viene proposta va ben al di là di una semplice razionalizzazione della spesa.

È possibile che una società decida un’operazione di questo genere, purché sappia a cosa va incontro. Ridurre i costi, significa rinunciare o alla qualità dell’istruzione, o all’aumento del numero dei diplomati, o a entrambe le cose insieme.

Chi dice che si può avere un maggior numero di diplomati, meglio preparati, ad un costo minore, è un millantatore.

Populismo

Su it.cultura.linguistica.italiano un mesetto fa qualuno ha chiesto una definizione di “populismo”. Io ho provato a dare questo piccolo contributo, che oggi ripropongo qui:

Come spesso accade ai i termini politici, anche “populismo” assume 
nell’uso corrente significati diversi da quelli originari (populismo 
russo).

Per me i punti caratterizzanti sono quattro:

  1. Si indica come “popolo” un’entità indifferenziata, che ha un unico 
carattere, un’unica identità, identici valori. Chi non condivide 
quest’identità e questi valori è “nemico del popolo” (con tutte le 
varianti possibili: ebreo, komunista, intellettuale, radical-chic…) 
Nei confronti del “popolo” sono possibili solo due atteggiamenti 
opposti: identificazione totale, oppure esclusione.
  2. L’esistenza di “nemici del popolo” non è occasionale, ma 
indispensabile. La categoria di “popolo” è così vaga che non può essere 
definita in sé stessa, ma si costruisce e si rafforza nella continua e 
forte contrapposizione contro gli “altri”. “Noi” e “loro” è categoria 
fondamentale del populismo. Se “loro”, i nemici, non sono a 
disposizione, il populismo non ha mai difficoltà ad inventarsene.
    Una variante del “nemico del popolo” sono i “ricchi”: sfuttatori, 
privilegiati… Questo non esclude d’altra parte che alcuni ricchissimi 
possano essere visti come amici, anzi, venerati come espressione 
dell’autentica natura del popolo e della sua forza creativa – nei loro 
confronti, i “nemici” sono sfigati invidiosi.
    (I veri populisti non si preoccupano mai della coerenza logica delle 
loro scelte. La logica è roba da intellettuali. Il “popolo” ragiona col 
cuore – o i coglioni – non col cervello.)
  3. Poiché il “popolo” esprime in modo uniforme ed immediato la propria 
volontà, le mediazioni politiche ecc. sono un ingombro insopportabile. È 
il principio dell’“anti-politica”, che privilegia azioni dirette: fatti 
e non parole, prima picchiare e poi domandare, datecelo nelle mani che 
facciamo giustizia noi… Estesa all’ambito nazionale, l’anti-politica 
si esprime nel disprezzo verso le istituzioni e le procedure della 
democrazia parlamentare, tutta roba da spazzare via con una sana e 
vitale ventata di rivolta.
  4. Poiché le istituzioni sono un inutile impiccio, e la politica è 
sempre una cosa sporca, il populismo si esprime nella delega totale 
della volontà del “popolo” ad un Capo carismatico, che da una parte è 
“uno come noi”, ma dall’altra anche un uomo eccezionale che ha sempre 
ragione ecc. È lui il politico anti-politico, che farà piazza pulita del 
vecchio e superato apparato dei parolai inconcludenti. Del Capo si 
ammira il “fare”: qualunque azione possa essere interpretata come 
manifestazione di una superiore capacità di azione o di dominio, viene 
ammirata, senza alcuno scrupolo di tipo morale. Fra le virtù del capo, 
spesso si annovera l’aggressività sessuale, che è oggetto di un 
autentico culto.(1)

Una caratteristica interessante del populismo è che si tratta di un 
atteggiamento che non coinvolge solo i ceti popolari e le persone di 
modesta istruzione, ma spesso esercita un irresistibile fascino anche 
presso settori colti. L’intellettuale si sente in colpa di essere tale, 
teme la “torre d’avorio”, prova un’irresistibile nostalgia verso la 
semplice purezza delle persone umili, nei confronti delle quali 
l’istruzione appare come una ignobile caduta ed una manifestazione di 
sordido egoismo. Questo senso di colpa e di inferiorità si manifesta 
nell’adesione fanatica al capo carismatico, agli ideali più scombinati; 
per l’intellettuale convertito al populismo il non dover più pensare, 
l’affidarsi con fede cieca al fabbricatore di slogan è un sollievo 
ristoratore; condividere gli stessi entusiasmi della folla osannante e 
sbavante è una macerazione che porterà alla fine l’anima purificata alla 
totale confidente adesione all’oggetto desiderato. 
I danni che questa categoria di intellettuali può provocare sono 
incalcolabili.

Prima versione: Maggio 2009



(1) Quando pubblicai la prima versione di questo articolo, qualcuno mi disse che era una descrizione troppo modellata sulla figura di Silvio Berlusconi.

In realtà avevo tenuto presente tutt’altro personaggio – e di ben diversa levatura: Benito Mussolini.

Ormai non ha giù nessun interesse un paragone tra queste due figure di leader populisti. Oggi ce ne sono altri, che – almeno – su questo punto – sembrano seguire modelli diversi.

Ma tutto il resto dell’analisi, sul populismo in generale, sul leader populista in particolare, mi sembra clamorosamente confermata.

Soprattutto oggi, che l’ultimo bastione dell’anti-populismo, il PD, è stato trionfalmente espugnato.

Aprile 2015

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Le chiappe di Noemi

“Enrico C” ha scritto su it.politica.sinistra:

Però, santi numi, parliamo di politica concreta, non delle chiappe di Noemi!

Dichiaro qui pubblicamente al mondo intero, a destra e a manca, che delle chiappe di Noemi non me ne frega una beata mazza.

Però ci sono dei casi personali che, oltre un certo limite, diventano dei casi politici. Quando questo succede, c’è una grave responsabilità del ceto politico in generale, non del personaggio in particolare.

Io non ho ancora l’età di Berlusconi, ma so per esperienza famigliare che cosa significa invecchiare. Si può invecchiare bene, o male. È un normale fatto della vita. Io spero comunque di non invecchiare *così* male. Però se capitasse anche a me di andarmene in giro con la bottega dei pantaloni sbottonata, spero che chi mi sta intorno avrà l’umanità di descrivermi con delicatezza i vantaggi di una certa palazzina tutta bianca e pulita immersa nella tranquillità della campagna.

Purtroppo, nel centro destra s’è fatta una religione dell’accanimento terapeutico, e continuano a mandare avanti un personaggio ormai palesemente in rapido declino personale. Quel che indigna è, in primo luogo, la disumanità di questo trattamento, anche se è riservato ad una persona che ho sempre detestato. Ma non possiamo fare a meno di notare che Berlusconi, come ogni capo carismatico animato da uno smisurato delirio di onnipotenza, finirà divorato dal mostro che lui stesso ha creato: un movimento politico che si identifica con la sua persona, crollerà con il suo declino personale.

La sfiga è di destra

Su it.politica.sinistra si discute sul paradosso che la gente continua a votare a destra, anche se la destra non mantiene nessuna delle promesse miracolistiche su cui ha basato la propria immagine.

Non è certo imputabile solo ai governi di Berlusconi se da quasi una generazione l’unica graduatoria internazionale in cui l’Italia continua a scalare posizioni è quella della povertà; ma certo c’è una correlazione tra la profondissima crisi strutturale del nostro paese e lo spostamento dell’asse politico verso l’estrema destra populista e razzista.

Il fatto è che, nel corso delle vicende storiche, cause ed effetti non sono mai nettamente distinti, e tutto è strettamente correlato.

La storia dimostra (con moltissime eccezioni, certo: ma qui la faccio breve) che le grandi rivoluzioni non scoppiano nelle società disperate, ma là dove esistono chiare prospettive di progresso, e si può identificare nel vigente sistema di potere l’unico ostacolo che ci separa da migliori condizioni di vita.

In una parola: non si ribella il povero, ma chi pensa che la ricchezza sia a portata di mano.

La crisi dell’Italia è così profonda, e soprattutto, estesa a tanti settori diversi, che effettivamente non si sa come uscirne. Bassi salari, insicurezza del posto di lavoro, privilegi intoccabili, arretratezza tecnologica, scarsa cultura, informazione asservita, corruzione generalizzata, impunità per i grandi ladri, devastazione ambientale, un fisco che grava quasi esclusivamente sul lavoro dipendente, lusso ostentato, incapacità progettuale… Ognuno dei miei 2,5 lettori sarà capace di allungare di molto questa lista.

Il messaggio che stato lanciato, quindici anni fa, non è: votate per questo, perché risolverà i problemi.

O meglio, questo è il messaggio esplicito, ma assai più importante (come in ogni campagna pubblicitaria ben orchestrata) è il messaggio subliminale: non c’è più niente da fare, siamo in una notte in cui tutte le troie sono nere. Inutile sperare di migliorare la società. Il progresso è una favola per i bambini, chi dice di voler cambiare le cose o è un imbecille o è un impostore. Quindi: niente speranze, niente illusioni. Mettete dei sacchetti di sabbia alle finestre, compratevi una carabina, e state lì ad aspettare l’arrivo di un Capo che dia di nuovo un significato alla vostra vita di merda.


Non si uscirà dalla crisi finché avremo un governo di destra.

Ma continueremo ad avere un governo di destra finché non ci sarà la prospettiva di uscire dalla crisi.

Molte società della storia sono sprofondate così.

Piccola storia di sanità

“k**” ha scritto su it.istruzione.scuola:

Un’insegnante ieri sera a Annozero: “Beata lei che ha Papi, noi tutti vorremmo avere uno che ci può dare una mano, magari uno zio medico che ci fa fare le visite prima…..”

Lunedì 4 vado dal mio medico, mi faccio visitare, e ricevo le richieste per esami e visite specialistiche.

Martedì 5 sono all’Asl di Chieri (TO). Esami del sangue e delle urine: c’è una marea di gente, ma il Poliambulatorio è una specie di catena di montaggio. Entro alle 8, alle 8,30 sono fuori.

Quel giorno stesso prenoto la visita cardiologica: codice B (Breve), che non è U (Urgente), vuol dire prenotazione per giovedì 7, ore 9,30.

Giovedì arrivo qualche minuto prima, giusto per pagare il ticket al Punto Giallo. Alle 9,30 sono già sul lettino con gli elettrodi appiccicati alla pelle, alle 10 ho già fatto l’ecografia, la dottoressa si gira verso il compiùter e mi prenota in ospedale un ellettrocardiogramma sotto sforzo per Venerdì 15 (attenzione: dal Poliambulatorio mi fa direttamente la prenotazione in ospedale). Alle 10,15 sono fuori, con il referto. Ah, ho dimenticato la giustificazione per l’assenza. Torno, con la faccia contrita. Prima delle 11 sono a casa. Ho chiesto un permesso per un giorno intero, sono un po’ pentito, avrei potuto fare le ultime due ore.


Se le insegnanti che vanno da Santoro invece di strillare Papi e Zio pretendessero di avere quello che è normalissimo avere e che è possibilissimo avere, le cose andrebbero un po’ meglio per tutti.


Se i politici, invece di strillare “ah, i mali della sanità…” solo per far finanziare la clinica del cognato, si preoccupassero di far funzionare le cose come è normale che funzionino e come è possibile che funzionino, le cose andrebbero un po’ meglio per tutti.


Sono imbecilli come quell’insegnante che ci regaleranno altri vent’anni di Berlusca.

Spegnete quella maledetta televisione e uscite a conoscere il mondo reale!

Spegnete quella maledetta televisione, dove la notizia sono quattro imbecilli che fanno le ronde, e uscite a conoscere il mondo reale, dove la notizia sono milioni di famiglie di precari ridotti alla disperazione!

Spegnete quella televisione, dove gente che non si è mai occupata di violenza sulle donne oggi scopre gli stupri solo per chiedere le leggi razziali, e andate nel mondo reale, dove interi settori produttivi vivono del lavoro di migliaia di schiavi reclutati da tutte le parti del mondo!

Spegnete quella televisione, dove pregiudicati e avanzi di galera cercano di convincervi che la più grave minaccia alla libertà sono le intercettazioni telefoniche, e andate nel mondo reale, dove la Mafia è un’azienda che fattura il doppio della Fiat, mentre la corruzione dilaga in modo sempre più pervasivo in tutte le articolazioni della nostra società!

Spegnete quella televisione, che vuole far scendere la gente in piazza schierata in tifoserie contrapposte perfino sui temi delicati e privati del rapporto fra medico e paziente, e rendetevi conto che ormai nella società italiana c’è un’unica divisione reale: quella fra chi paga le tasse, e chi le evade!

Mentre in televisione si discute di federalismo fiscale e di presidenze della RAI, l’Italia è ormai un paese in declino, che riesce a scalare una sola graduatoria internazionale, quella che misura le disuguaglianze nella divisione del reddito: lì noi siamo ormai al sesto posto nel mondo, e la barriera che separa la minoranza ricca dalla maggioranza povera aumenta sempre di più!

Ci hanno fatto credere per anni che i vecchi schemi e le vecchie idee, a partire dalla differenza tra destra e sinistra non erano più attuali, e che dovevamo accettare nuove idee più moderne – e intanto il ceto medio spariva, la parola “operaio” diventava un nome impronunciabile, i lavoratori diventavano precari e i precari diventavano disoccupati!

Ci hanno detto che le classi non esistono più, che la lotta di classe è un mito ottocentesco, e intanto la lotta di classe divampava con una violenza senza precedenti, e l’hanno vinta loro!

Spegnete la televisione, guardate e cercate di capire il mondo reale, perché capire le cose è il primo passo per cambiarle!

La libertà non è uno spazio in TV

L’errore che molti hanno commesso è stato quello di sottovalutare la forza e la pervasività della dittatura televisiva. È inutile dire che in questo modo si trattano gli elettori come dei deficienti. Mussolini aveva consenso. Hitler aveva consenso. Nelle zone di mafia la mafia ha consenso. Sono dati di fatto, non eliminabili con il luogo comune che “non puoi trattare gli elettori come dei deficienti” e cose del genere.

La modernità della dittatura televisiva è quella di non distruggerti con le camere a gas o il tritolo. Ti stritolano e ti ridicolizzano con il palinsesto. Dopo mezz’ora di scene terrificanti di stupri accompagnati da folle inferocite che reclamano il linciaggio, compare l’oppositore, che in pochi secondi deve dire la sua sul contratto del pubblico impiego ecc. Basta, abbiamo ascoltato anche troppo, torniamo alle cose serie: il matrimonio della tale, la partita di pallone ecc.

L’errore dell’opposizione è stato quello di pensare di dover mendicare qualche spazietto in più nelle trasmissioni televisive. Ma è come il condannato alla pena della gogna che chiedere di poter stare qualche secondo in più a prendersi le sberle in faccia.

L’importante non sono le risposte, ma le domande

L’altro errore capitale è stato quello di lasciarsi trascinare a combattere sul terreno dell’avversario. Abolizione dell’ICI? Ma sì, l’ICI è una seccatura, vogliamo anche noi togliere un pochino di ICI. L’ordine pubblico? Certo, non è più come una volta, che tutti uscivano di casa lasciando la porta aperta, ci sono troppe brutte facce in giro, dobbiamo intervenire sull’ordine pubblico. La magistratura? Eh già, bisogna ammettere che la magistratura qualche volta sbaglia, troppe intercettazioni, sentenze discutibili, ecc. Interveniamo sulla magistratura. Federalismo fiscale? E come no, il centralismo ormai ha fatto il suo tempo, vogliamo partecipare anche noi alla discussione del federalismo fiscale.

Con il redditi da lavoro dipendente che in meno di una generazione sono passati da oltre il 60% al 40% del PIL, ci siamo messi a discutere di federalismo fiscale! Cos’e pazz’!

La destra ha sempre vinto imponendo la propria scaletta di priorità. La sinistra ha sempre perso perché ha accettato di discutere la scaletta di priorità della destra. È necessario rovesciare questo rapporto. Ognuno di noi sa che cos’è urgente, che cos’è necessario. Si faccia un elenco di pochi punti comprensibili – in primo luogo, i diritti del lavoro – e su questo si vada avanti a pestare.

Poi, pretendere una legge elettorale che permetta ai cittadini di scegliersi i propri rappresentanti. Perché senza democrazia non c’è niente.

Poi, si dica chiaro e tondo che, così come nella Costituzione c’è una norma che proibisce la ricostituzione del Partito Nazionale Fascista, si dovrà emanare una legge che vieta al proprietario di una rete televisiva di presentarsi candidato alle elezioni.

La libertà è partecipazione

Bersani ha sicuramente fatto male a non candidarsi alle primarie dell’anno scorso. Probabilmente, ha fatto male a candidarsi in questo modo un po’ inatteso al di fuori di ogni formalità decisionale. Ma fra i motivi di disagio dell’elettorato c’è sicuramente la sensazione di immobilità comunicata da tutto il gruppo dirigente. Le stesse facce bolse di abbonati alla trombatura, di sopravvissuti ad ogni tempesta, di naufraghi col salvagente.

Primarie! Primarie! Vogliamo contare! Vogliamo poter scegliere i nomi, e magari anche il programma!

Voglio vedere chi indicherà tra i primi posti il federalismo fiscale! 

Il modello CLN

Non si tratta solo di ricostruire una sinistra, ma di mettere in piedi un’opposizione democratica al progetto eversivo della destra piduista. Su tante cose si può non essere d’accordo, all’interno della sinistra, ed anche fuori, ma sulla difesa della Costituzione e dei principi liberal-democratici non ci può essere compromesso. Anche agli amici dell’UDC, così abili a spostarsi da una parte e dall’altra, si deve dire chiaro che è indispensabile una presa di posizione. Non si possono fare sconti all’avversario; non si può lasciare la trasformazione della Repubblica in una dittatura populista nel campo dell’opinabile (parola un tempo cara a Casini, quand’era il portavoce di Forlani). Sull’antifascismo, o di qua o di là. Una sinistra unita, ed un Comitato di Liberazione Nazionale unito nella difesa della libertà.

Ripetiamo sempre in coro: NO 61%!

Gianfranco Fini, l’antisemitismo, la Chiesa cattolica

Ho un ricordo vago, risale alla scuola elementare (quindi fine anni ’50). Un prete ci faceva vedere delle filmine di argomento religioso. Mi sono rimasti impressi due fotogrammi.

Il primo mostrava l’immagine della morte, il teschio con le tibie, (il peccato mortale) rafforzata da un cerchio nero. Ecco cosa succede se in confessione tieni nascosto un peccato! E ogni volta che ti confessi ma taci quel peccato, si aggiunge un cerchio nero!

Un’altra mostrava un ragazzino seminudo, crocifisso al muro, con due uomini dal naso adunco e una lunga palandrana nera che gli mettevano il Crocifisso davanti al volto. “Sputa sul tuo Dio, altrimenti morirai come lui!” Ma l’eroico fanciullo ha preferito morire per mano dei due Giudei piuttosto che rinnegare Cristo.

Gianfranco Fini è più giovane di me di quattro anni. Non so se ha visto le stesse filmine.

Ma se le ha viste, evidentemente non le ha dimenticate.


“Filmine”, nel linguaggio dell’epoca, erano delle sottili strisce di celluloide, con foto o disegni da proiettarsi su uno schermo. In altre parole, delle diapositive non intelaiate.

Il multimediale, insomma.