L’Europa deve ritrovare le proprie radici culturali

Le radici culturali dell’Europa sono:

  • piena occupazione
  • welfare state
  • scuola per tutti
  • indifferenza religiosa.

Per secoli l’Europa è stata massacrata da spaventosi conflitti alimentati dalla fede religiosa e dall’estremismo identitario.

Le più grandi potenze europee si sono scontrate come titani per difendere una Messa.

Secoli di guerre tra papisti e antipapisti hanno provocato più morti di Auschwitz.

La cattolica Polonia e la Russia ortodossa hanno rappresentato, l’una per l’altra, l’incarnazione del Male assoluto, ed in entrambi i paesi una lunga tradizione epica celebra gli eroi ed i fasti di quest’odio disumano.

Sempre in Russia, farsi il segno della Croce con due oppure con tre dita è stato il detonatore di una tragica lacerazione.

Ancora pochi anni fa, nell’ex Jugoslavia, tra cattolici, ortodossi e islamici è stata una mattanza che ha fatto inorridire il mondo intero.

Eppure, già ai tempi di Re Luigi un uomo illuminato aveva pronunciato le parole della pace:

Certo, questi sono temi molto importanti, ma noi dobbiamo coltivare il nostro giardino.

Quest’Annuncio è stato per troppo tempo un germe dormiente, fin quando il benessere economico ha risvegliato la piantina – e c’è ancora molto lavoro da fare.

Anche i reietti d’Europa, gli Ebrei, hanno conosciuto questa liberazione.

Duemilacinquecento anni di persecuzioni non sono riusciti a far vacillare la loro fede. Chiusi nei ghetti, ridotti ad uno sparuto drappello di miserabili cenciaioli, hanno sopportati di buon grado torture spaventose pur di non rinunciare ad uno solo dei 613 precetti di Maimonide.

È bastato aprire le porte dei ghetti, permettere l’accesso agli impieghi pubblici, alle professioni, all’Università, perché gli Ebrei dimenticassero in una sola generazione di essere stati Ebrei. C’è voluto l’Olocausto, che ha riassunto in una mezza dozzina di anni venticinque secoli di pogrom, perché se ne ricordassero.

Finalmente tutta l’Europa s’è unificata in un unico Credo:

Ah che bello! Si va a sciare! Fai le valigie, mentre io preparo la macchina!
Ma caro, ti sei già dimenticato che c’è la Cresima / la Confermazione / il Bar Mitzvòth di tuo nipote?
Uffa che palle!


In molte regioni d’Italia, ancora due o tre generazioni fa, gli uomini giravano con la coppola in testa e la lupara in spalla, tenevano le mogli segregate in casa a figliare come coniglie, esibivano di fronte ai turisti i selvaggi rituali di una religiosità arcaica. La salvifica ala del Consumismo ha cancellato tutto ciò.

Oggi nelle nostre strade si aggira il Musulmano. Lo guardiamo con diffidenza, e ci guarda con diffidenza. Ha lo sguardo rancoroso, copre la moglie con pesanti scafandri, coltiva ostinati rituali. Chissà cosa pensa – chissà cosa sta per fare. E soprattutto, fa un mucchio di figli.

Dategli un lavoro fisso e ben pagato, una bella casa, l’automobile, la televisione, le ferie. In un battibaleno si trasformerà in un pacifico Consumista, la moglie vedrà nelle gravidanze solo un danno per la linea e la carriera, e tutt’e due celebreranno il Ramadan con grandi mangiate, avendo ancora in bocca il sapore dell’aperitivo con stuzzichini consumato al bar un’ora prima.


Purtroppo, non c’è mai una conquista per sempre. La Crisi, sapientemente alimentata da chi pensava che stessimo troppo bene, fa vacillare le nostre sicurezze.

Torna a soffiare il vento del fanatismo. Intere regioni d’Italia sono oggi in mano a Ciellini integralisti, a Padagnoli aggressivi. Vogliono convincerci ad agitare il Crocifisso, così come secoli fa il lebbroso agitava la sua campanella, gridando: “Attenzione! State alla larga! Non mi toccate!”

Sono un ottimista, e confido che le persone di buon senso sapranno respingere questa rozza offensiva.

Ma la minaccia più insidiosa viene dall’altra parte. Uomini dalla carità pelosa suggeriscono come rimedio il Dialogo Interreligioso. Guai a farci convincere. Significherebbe mettere ancora una volta il nostro futuro nelle mani di chierici più o meno barbuti d’ogni fede e d’ogni tonaca.

Teniamo alto il nostro vessillo:

Coltivate il vostro giardino!

E vivete in pace!

La maturità dei mediocri

Poiché stanno comparendo sulla stampa nazionale articoli che parlano della “severità” delle nuove norme sull’esame di Stato (l’esame di “maturità” non c’è più da una dozzina d’anni), desidero ripetere qui alcune considerazioni che ho già fatto in altre occasioni.

La nuova severità dovrebbe discendere da due nuove norme:

  1. si ammette all’esame solo chi ha la sufficienza in tutte le materie;
  2. nel calcolo della media per l’assegnazione del credito si tiene conto anche del voto di condotta.

Prendiamo ora l’allievo mediocre, “senza infamia e senza lode”, quello che arriva alla fine del corso di studi più per forza di inerzia che per vero merito.

Questo campione si presenterà allo scrutinio finale del quinto anno con una serie di valutazioni oscillanti tra la sufficienza e la “quasi sufficienza”, e forse un pochino meno.

In soldoni, i valori “grezzi”, comunicati dai docenti delle singole materie, saranno qualche sei, qualche cinquemmezzo, probabilmente almeno un cinque.

I voti finali (è così da sempre) vengono assegnati dal Consiglio di Classe.

Per prima cosa si dovrà quindi decidere se ammettere questo campione all’esame.

Lasciatevelo dire da uno che è nella scuola da più di trent’anni. Nessun Consiglio di Classe dello Stivale lo terrà fuori. Anch’io voterei per l’ammissione senza pensarci due volte. È giusto così. L’allievo non ha meritato, ma neppure demeritato troppo. Già essere arrivato all’ultimo anno, superando una lunga serie di selezioni annuali che nella scuola superiore sono sempre assai più severe di qualunque esame di Stato (in certi casi severissime, una vera decimazione) è cosa non da poco. A scuola è stato un mediocre, ma anche i mediocri hanno diritto a vivere la loro vita. Uscirà dalla scuola con una valutazione bassa, ma uscirà, e il resto dovrà giocarselo da sé. Profilo basso, e camminare.

Quindi, deliberazione finale del Consiglio di Classe: sei in tutte le materie.

Unanimità? Unanimità.

Passiamo al voto di condotta.

Il nostro eroe della mediocrità ha fatto di tutto per non farsi notare. Ha fatto baccano quando gli altri facevano baccano, è stato zitto quando gli altri stavano zitti. Non ha mai ricevuto una sanzione disciplinare grave – non l’ha mai meritata. Certo, non è mai stato un tipo particolarmente collaborativo, ma è difficile che uno così abbia meno di 8 come voto di condotta (la valutazione 6 è data in conseguenza di infrazioni gravi, ripetute e documentate, alla disciplina, la valutazione 7 a chi è sempre stato un turbolento, senza però meritare punizioni pesanti).

Bene, alla fine costui avrà una media superiore al 6, e il punteggio corrispondente di credito.

Con le norme precedenti, sarebbe stato ammesso lo stesso, ma con una media inferiore a 6, e quindi un credito minore.

La Commissione d’Esame sa perfettamente queste cose. Una volta, quando non c’erano i crediti, la Commissione andava a guardare anche le pagelle – ma non le valutazioni dell’ultimo anno, perché si sa che all’ultimo scrutinio dell’ultimo anno si nasconde sempre un bel po’ di spazzatura sotto il tappeto; bensì le valutazioni dei tri/quadrimestri precedenti: perché è lì che il Consiglio di Classe ha sempre nascosto i suoi messaggi cifrati, e chi ha orecchie per intendere intenda.

Anche adesso le pagelle sono a disposizione della Commissione; ma nessuno le guarda, perché tanto non servirebbe a niente. I giochi sono già fatti, e la Commissione si limita a prendere atto del punteggio di credito.

Insomma: questa è una formula d’esame in cui chi va bene va bene, chi va male va male, esattamente come prima. A differenza di prima c’è però qualcuno che ha un piccolo vantaggio: il mediocre.

Niente di male, s’intende. Basta dirlo.

Al Qaida lotta “in nome degli oppressi”?

Questo è il seguito di una discussione su it.politica.sinistra

Tutti dicono di lottare in nome degli oppressi, o del popolo…

eh, ma gli oppressi ci devono essere. E nei paesi in cui AQ fa proseliti, ce ne sono eccome…

dài, ci siamo passati anche noi, e da cent’anni abbondanti. Possibile che non abbiamo imparato la lezione.

Quando Giolitti decise la conquista della Libia, il povero Giovannino Pascoli (poeta che per altro amo moltissimo) se ne uscì con la più clamorosa cazzata del secolo: “la grande proletaria si è mossa”. E l’imperialismo fascista ha sbandierato per vent’anni la lotta contro la grassa Inghilterra che sfrutta i poveri popoli africani.

Trovami una differenza tra Mussolici che dichiara guerra alla plutocrazia degli Stati Uniti d’America, e Bin Laden che attacca le Torri “in nome degli oppressi”.

Be’, una differenza c’è: Mussolini sull’America non è riuscito (fortunatamente) a spedire neanche un petardo. Bin Laden ha ammazzato tremila persone – “in nome degli oppressi”, s’intende. Ed ha provocato una reazione spaventosamente distruttiva nel paese in cui aveva stabilito la propria base, così come gli stupidi razzetti di Hamas hanno ammaccato qualche muro di cinta in Israele, ma hanno quasi raso al suolo Gaza. Non ci vuole molto a capire che proprio questo era l’obiettivo di Hamas: provocare una reazione che giustificasse la prosecuzione di una lotta suicida “in nome degli oppressi”.


Certo che in molti paesi islamici il fascismo ha una grande presa. È tipico delle società in preda ad una crisi di cui non si vede l’uscita affidarsi ad uno squilibrato che agita la bandiera “o noi o loro”.

Non c’è bisogno di essere islamici per questo, è capitato a quasi tutte le nazioni europee ottant’anni fa. Ancora oggi, nel nostro piccolo, nella nostra piccola crisi, è quello che fa la Lega.

Rimane il fatto che i più grandi danni il fascismo islamico continua a farli proprio nei paesi in cui maggiormente si estende la sua attività. Sono pazzi, ma non stupidi. Sanno benissimo che non distruggeranno mai l’America. Né è questo il loro obiettivo. Il loro obiettivo è conquistare il potere nei paesi più poveri, trascinando un miliardo di sfigati in una permanente guerra civile, sempre dietro la bandiera “o noi o loro”. Gli Stati Uniti sono sopravvissuti alle torri Gemelle; non so se i paesi musulmani riusciranno a sopravvivere all’antichissima feroce faida sunniti-sciiti, e a tutte le altre nobili cause “in nome degli oppressi”.

Facciamoci sentire

Le vicende della Puglia e del Lazio vanno ben oltre la dimensione locale.

Che l’opposizione (del PD e delle altre forze) sia ormai drammaticamente inadeguata alla situazione incombente, è evidente. Mentre da destra si parla ormai apertamente di cancellare la parola “lavoro” addirittura dalla Carta costituzionale, si cincischia con “bozze di riforma” completamente subordinate alle parole d’ordine berlusconiane. La sinistra estrema sembra ormai ridotta al suicidio di misteriosi rituali ad uso esclusivamente interno.

Dopodomani ci sono le elezioni regionali, e si fanno carte false per ottenere l’appoggio di un partito minore, l’UDC, che onestamente ha dichiarato ai quattro venti il proprio progetto: a lungo termine, sostituire la Lega nell’alleanza di centrodestra; a breve termine, fare da ago della bilancia in modo da tesaurizzare qualche moneta di scambio qua e là.

Per trovare voci di vera opposizione bisogna affidarsi alla supplenza esercitata da un personaggio, Di Pietro, che ha dietro di sé una storia completamente diversa dalla sinistra come l’abbiamo conosciuta nel corso della nostra vita.

Il PD aveva proposto un metodo, le primarie, che non è soltanto un formalismo procedurale, ma poteva rappresentare una straordinaria prospettiva di rinnovamento del gruppo dirigente e della linea politica. Oggi le primarie devono essere imposte con la forza ad un partito che vorrebbe decidere le proprie candidature in base esclusivamente alle preferenze di Casini.

Il PD ha paura dei propri elettori, e affida le sue scelte ad un partito ed un personaggio che si è ingrassato durante l’alleanza con il Capo piduista.

La spiegazione di questa follia è una sola: il gruppo dirigente del PD sa di essere inadeguato, e si affida ad una disperata tattica di sopravvivenza.

È necessario che gli elettori, i militanti del centro-sinistra – quelli che non subordinano il loro pensiero all’appartenenza a questa o quella cordata, a questo o quel lideruccio nazionale o locale – facciano sentire la loro voce, dicano chiaramente che così non si va da nessuna parte, anzi, si va verso l’autodistruzione, verso un sistema putiniano di partito unico e di lavoratori schiavi.

È necessario un grande movimento di opinione da parte di quella “società civile” che negli ultimi quindici anni tutti hanno corteggiato, salvo poi fottersene al momento delle scelte politiche.

Ceci tuera cela
La conoscenza nell’età dell’Internet

In un episodio notissimo di Notre Dame de Paris, il perverso monaco Claude Frollo, indicando da una parte un libro a stampa, dall’altra la grande cattedrale, mormora enigmatico: “Ceci tuera cela” (Questo ucciderà quello).

Il turpe arcidiacono voleva dire che la vecchia sapienza simbolica, incarnata nel grande “libro di pietra”, sarebbe stata sostituita dalla nuova scienza razionalistica, impressa dai caratteri mobili. Naturalmente non voleva dire che le cattedrali sarebbero state distrutte, né che la gente avrebbe cessato di frequentarle. Ma che il rapporto della società con la conoscenza, e la natura stessa della conoscenza, avrebbero visto un profondo cambiamento…

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