Differenza tra destra e sinistra

Uno di sinistra si riconosce perché dice “non c’è più differenza tra destra e sinistra, sono tutti marci allo stesso modo” con rassegnato disgusto.

Uno di destra si riconosce perché dice “non c’è più differenza tra destra e sinistra, sono tutti marci allo stesso modo” con trionfante soddisfazione.

Il latino? Inutile

Il latino? Inutile (*).

Ci voleva un’indagine approfondita di una grande organizzazione come TreeLLLe per arrivare a questa ardita ed innovativa tesi, che di sicuro aprirà un appassionato dibattito nel mondo della cultura.

“Latino e greco: il 75% degli intervistati li vorrebbe solo al classico”. Anche questa è una grande novità: siamo in attesa che il Prof. Gasperoni ci riveli in quali altre scuole (“… della terra, s’intende”), oltre appunto al liceo classico, si studia il greco antico.

Ma la cosa più sconfortante è che la musica, “compresa la sua pratica” (anche questa è un’acuta osservazione, non c’è che dire!) risulta essere di gran lunga la materia più “inutile”.

Non ho modo di verificare se le graduatorie stilate dai ricercatori della TreeLLLe siano attendibili. Ma il solo fatto che, in Italia, si discuta di musica e del suo insegnamento in termini di “utilità/inutilità”, è segno non solo di superficiale dilettantismo, ma diciamo pure, di penoso provincialismo.


 (*) Il Corriere della Sera, Mercoledì 13 Maggio 2009, p. 9

http://tinyurl.com/treellle

Fa media!

Alla fine dopo mesi di mal di pancia, il 7 maggio 2009 si è arrivati alla conclusione

Con riferimento all’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione, si conferma, pertanto, che il voto di comportamento, per l’anno scolastico corrente (art. 2, comma 1 dell’O.M. 8 aprile 2009, n.40), concorre alla determinazione della media dei voti ai fini sia dell’ammissione all’esame stesso sia della definizione del credito scolastico. Rimane, ovviamente, l’esclusione dall’esame finale di Stato degli studenti con un voto di comportamento inferiore a 6 decimi.
(Prot. AOODGOS/R.U./UN. 4777 Circolare n. 46)

Liceo scientifico: 5 di italiano, 5 di matematica, 5 di fisica, 6 in tutte le altre materie, 8 di condotta, media 6!

Complimenti Ministro Gelmini!

Piccola storia di sanità

“k**” ha scritto su it.istruzione.scuola:

Un’insegnante ieri sera a Annozero: “Beata lei che ha Papi, noi tutti vorremmo avere uno che ci può dare una mano, magari uno zio medico che ci fa fare le visite prima…..”

Lunedì 4 vado dal mio medico, mi faccio visitare, e ricevo le richieste per esami e visite specialistiche.

Martedì 5 sono all’Asl di Chieri (TO). Esami del sangue e delle urine: c’è una marea di gente, ma il Poliambulatorio è una specie di catena di montaggio. Entro alle 8, alle 8,30 sono fuori.

Quel giorno stesso prenoto la visita cardiologica: codice B (Breve), che non è U (Urgente), vuol dire prenotazione per giovedì 7, ore 9,30.

Giovedì arrivo qualche minuto prima, giusto per pagare il ticket al Punto Giallo. Alle 9,30 sono già sul lettino con gli elettrodi appiccicati alla pelle, alle 10 ho già fatto l’ecografia, la dottoressa si gira verso il compiùter e mi prenota in ospedale un ellettrocardiogramma sotto sforzo per Venerdì 15 (attenzione: dal Poliambulatorio mi fa direttamente la prenotazione in ospedale). Alle 10,15 sono fuori, con il referto. Ah, ho dimenticato la giustificazione per l’assenza. Torno, con la faccia contrita. Prima delle 11 sono a casa. Ho chiesto un permesso per un giorno intero, sono un po’ pentito, avrei potuto fare le ultime due ore.


Se le insegnanti che vanno da Santoro invece di strillare Papi e Zio pretendessero di avere quello che è normalissimo avere e che è possibilissimo avere, le cose andrebbero un po’ meglio per tutti.


Se i politici, invece di strillare “ah, i mali della sanità…” solo per far finanziare la clinica del cognato, si preoccupassero di far funzionare le cose come è normale che funzionino e come è possibile che funzionino, le cose andrebbero un po’ meglio per tutti.


Sono imbecilli come quell’insegnante che ci regaleranno altri vent’anni di Berlusca.

Scuola e povertà

Stando ad un corrispondente di it.cultura.sinistra, Franceschini a Ballarò avrebbe detto che “in Italia ci sono pochissimi laureati perchè il modello berlusconiano è di un successo fatto di soldi e tv e potere.”

Io ho risposto che quella frase mi sembrava una cagata – chi ha visto quella trasmissione mi farà sapere se Franceschini l’ha davvero pronunciata.

Richiesto di dare un mio parere sulla questione, prima ho detto che non me la sentivo di rispondere con una frase di due righe – i famosi cinque secondi televisivi. Poi ci ho pensato un po’ su, e in un paio di giorni ho messo insieme questa lunga sbrodolatura.

Non sono sicuro di saper dare una risposta esauriente. Ma tanto per cominciare metterei il fenomeno con relazione con il processo di impoverimento della società italiana, e l’esaurimento della classe media colta; processo di discesa sociale che dura ormai da quasi una generazione, e che secondo la Banca d’Italia ha avuto il punto più basso nel ’93, per poi stagnare fino ad oggi.

(L’indicazione di quella data, da parte della Banca d’Italia, è stata comprensibilmente suggerita dal desiderio di non entrare in una imbarazzante polemica; ma è vero che si tratta di una degenerazione sociale di cui il berlusconismo è molto più una conseguenza che una causa.)

La crisi del ceto medio e del lavoro dipendente qualificato, e l’emergere di quella che pomposamente si chiama Piccola Impresa, ma più propriamente sarebbe da indicare come Italia bottegaia, ha spostato le prospettive di ascesa sociale dei poveri dalla carriera nelle professioni verso le arti dell’arrangiarsi: l’evasione fiscale, contributiva ecc. Il lavoro dipendente è comunemente connotato come la banale ricerca del posto fisso, traguardo da raggiungersi più con relazioni di tipo familare-clientelare che con le capacità e le competenze: insomma, una roba da femmine e bamboccioni. La campagna terroristica contro i sindacati (responsabili di tutti i mali), i dipendenti pubblici – tra cui gli insegnanti (fannulloni!), i salariati garantiti in genere (scaldasedie, mentre l’Italia che lavora si alza alle quattro del mattino) è solo la manifestazione folkloristica di una società che nei bassi livelli vede una feroce selezione darwiniana, mentre nei livelli medio-alti è ultragarantita da solide relazioni paramafiose.

La scuola è strapazzata da questa situazione, e nella visione comune è stretta fra la vecchia illusione del “pezzo di carta” e la cinica consapevolezza che poi, alla fine, quello che conta veramente è la raccomandazione. Se a questo aggiungiamo il furibondo odio bottegaio verso il culturame e gli intellettuali (questo sì, abbondantemente alimentato dai modelli televisivi) il cerchio si chiude.


La crisi della scuola è in una relazione sinergica con questa degenerazione sociale. I tentativi di riforma, che si sono succeduti attraverso i governi – tentativi sempre più “epocali”, risolutivi, ma con una sempre più marcata impostazione ideologica e dilettantesca, fino all’ultimo deprimente pasticcio gelminiano – sono falliti perché hanno toccato solo la superficie del problema (si può  essere contemporaneamente “epocali” e superficiali: la storia d’Italia è piena di insignificanti “svolte storiche”).

Ho già raccontato più volte che mio padre era un chimico, ed aveva passato la vita a escogitare mescole di gomma. Quando venne a sapere che avevo avuto una cattedra in un (allora) noto ITIS per chimici industriali di Torino, mi disse con ammirazione: “Quella è una scuola da dove escono dei periti che in certe cose ne sanno più di un laureato”.

L’ascesa economica dell’Italia nel dopoguerra poggiava sulle solide basi di una Scuola superiore di forte contenuto culturale e professionale – non il Liceo gentiliano di cui alcuni continuano a ruminare. Periti, ragionieri, geometri, erano figure forti, prodotte da una scuola altamente selettiva, ma che almeno in parte rispondeva al dettato costituzionale dei “capaci e meritevoli”. A quell’epoca non circolava ancora la leggenda che la scuola è irreparabilmente indietro, indietro, rispetto al “mondo del lavoro”, e le aziende si rivolgevano agli Istituti Tecnici per avere non solo bravi diplomati da assumere immediatamente, ma trovare competenze professionali e dotazioni tecniche di cui non disponevano in proprio.

Questa scuola fu solo marginalmente sfiorata dal ’68 (che paradossalmente non ha mai elaborato una riforma della scuola). Ciò che ha scosso, non allora, ma nei decenni successivi, le fondamenta della scuola superiore, è stata, in primo luogo, la deindustrializzazione (a che serve una scuola per Periti Chimici se in Italia l’industria chimica è il cimitero degli elefanti?). In secondo luogo l’attacco alle professioni in quanto tali. Quella che sugli schermi televisivi è la demolizione dei magistrati, dei medici, degli insegnanti, dei “tecnocrati” e degli “intellettuali” ecc., nella dura realtà è il dissanguamento del ruolo dei tecnici intermedi, sempre più sospinti verso un sottoproletariato divorato dalla precarietà.

In Italia le cose sono quasi sempre fatte per burla, e se si fa qualcosa, si fa il contrario di quel che si dice. Questa è una rara eccezione. Trent’anni fa si è cominciato a dire con sempre maggiore insistenza che in Italia salari e stipendi sono troppo alti, e i lavoratori dipendenti sono troppo tutelati. Nei decenni seguenti s’è attuato un attacco sistematico, brutale, coerente e continuativo contro salari e diritti. A quest’attacco non poteva non seguire una progressiva squalificazione e dequalificazione della scuola. Quando sui giornali cominciò a prendere vita il mito del Nord-Est, cominciò anche a circolare la battuta: se vuoi comprarti una Ferrari a venticinque anni, devi lasciare la scuola a quindici. L’idea di costruirsi un futuro a scuola, con lo studio, divenne oggetto di derisione. E si capisce. Se assumi un tecnico capace, c’è poco da fare, devi pagarlo da tecnico. Se assumi uno stronzo qualunque, poi dargli una paga di merda.

La scuola e la politica hanno contrastato molto debolmente questo processo. Le uniche vere riforme della scuola superiore che si sono realizzate nel dopoguerra (i Programmi Brocca per i Licei e i tecnici, il Progetto 92 per i professionali), pur con i loro lati indubbiamente positivi, nascevano da una visione troppo ottimistica della realtà sociale e scolastica: l’utopia di coniugare sapere e saper fare, cultura e lavoro, scienza e umanesimo, era una grande idea, ma viaggiava un po’ come una mongolfiera su un panorama sociale sempre più degradato. La riforma universitaria del 3+2 (riforma “europea”, pensate un po’!) ha avuto un effetto opposto a quello desiderato. Invece di “democraticizzare” un’Università ancora troppo d’élite, ha svuotato di contenuti la Scuola superiore, ridotta ad un lunghissimo prolungamento della scuola media; e con le stolide chiacchiere della scuola vicino al mondo del lavoro, della competizione che è il sale della vita ecc. ha portato le Università a dotarsi di corsi di studio sempre più frammentati, parcellizzati, improbabili.


Insomma, ecco la famosa risposta in cinque secondi: In Italia la scuola è a pezzi per via dei bassi salari!

Lucia Mondella e le licenze poetiche

“F. C.” non è convinto di quanto ho sostenuto a proposito della frase del Manzoni

« Il signor curato è malato e bisogna differire, » rispose in fretta la donna. Se Lucia non faceva quel segno, la risposta sarebbe probabilmente stata diversa

(tinyurl.com/yubkgq)

e  mi ha scritto:

Sappiamo che i poeti spesso piegano le regole grammaticali ai bisogni della poesia (ritmo e musicalità), e qualche volta anche la semantica.
A mio dire Manzoni, usando questa forma, ha voluto dire che – se giustificati da motivazioni artistiche – si può infrangere una certa regola. La seguente frase
“Se Lucia non avesse fatto quel segno, la risposta sarebbe probabilmente stata diversa”
non suona bene come l’originale, si perde il ritmo. Manzoni ha usato bene i verbi, ma ha voluto che questa volta il ritmo prevalesse sulla logica. Anche se non si tratta di versi, ma di “semplice” prosa.
Secondo me il messaggio è questo:
“Se scrivi un’opera d’arte in cui il modo di scrivere conta molto, allora si può fare un errore grammaticale e lasciare al contesto il significato” (niente di nuovo rispetto alla licenza poetica)

Non ho mai amato il termine “licenza poetica”. Che significa?

Significa che il grammatico non sa spiegare il poeta. Ma sarà perché il poeta ha fatto qualcosa di irregolare, di sporco, si è sbrodolato la cravatta di sugo, ma non importa, tanto è un grande poeta anche con la cravatta sbrodolata – o non sarà invece che il grammatico non ce l’ha fatta col suo povero calepino a capire quello che voleva dire il poeta?

Spero che non perdiamo tempo a discutere sul fatto che la grammatica è un debole tentativo dei pedanti di star dietro alla lingua viva.

Dici una cosa giustissima: la lingua è ritmo, anche in prosa. Il Manzoni, che in poesia fu capaci di scrivere versi innominabili come

Ei fu. Siccome immobile

in prosa invece fu un grandissimo maestro di ritmo.

Ma il Manzoni non fu mai un esteta. In lui la lingua è sempre strumento per il significato. Anche il ritmo è in funzione del significato. Per lui la lingua vuol dire sempre qualcosa; una lingua che non dice, che si limita a cantare, per lui, rigoroso illuminista, sarebbe apparsa una colpevole frivolezza. In questo senso vi è la supremazia della lingua: perché solo la lingua giusta può dire le cose giuste. Nel Manzoni tutto si riconduce ad un principio morale, anche la lingua. “Se Lucia non diceva” non è una sgrammaticatura. Quella frase è la frase giusta al punto giusto per dire la cosa giusta. È la frase più perfettamente aderente al senso. Se non comprendiamo la scelta grammaticale, vuol dire che non abbiamo capito il senso.


Il Conte Attilio, persuaso d’aver ragione, chiede al dottore di sostenere le sue ragioni “con la sua buona tabella”. Subito dopo Don Rodrigo rincara la dose: “…voi, che, per dar ragione a tutti, siete un uomo.” La grammatica del Manzoni non è una “tabella” che serve solo, in mani abili, a giustificare qualunque cosa – anche le “licenze poetiche”. La grammatica del Manzoni non è una formuletta indifferente: è lo strumento per definire la verità. E se la verità non sta dentro la regoletta dei pedanti, tanto peggio per loro.

L’insufficienza in storia

“fm****” ha scritto su it.istruzione.storia:

Il prof chiedeva le date (ho sempre odiato ricordare i numeri; solo più tardi ho capito come si poteva inquadrarli automaticamente in un certo discorso logico), i nomi delle tre caravelle, i nomi dei re…

ho verificato che, quasi sempre, questo è il ricordo che l’insegnamento della storia lascia negli allievi che non amano quella disciplina.
Può darsi che ci siano insegnanti di storia incapaci che insegnano e pretendono solo date e liste di nomi. Allo stesso modo può darsi che ci siano insegnanti di latino che si limitano a recitare liste di eccezioni, ed insegnanti di italiano che vogliono sapere nome e cognome e numero di scarpe dei quattro capponi di Renzo, e per il resto non fanno nulla.
Ma la mia esperienza è che l’allievo che non ha interesse per la storia, che non ha nessuna comprensione per le sue problematiche, che rifiuta categoricamente di imparare il metodo e il linguaggio specifico della disciplina, quando alla fine deve affrontare l’interrogazione che mi permetta di mettergli un ipocrita cinquemmezzo piùpiù quasi sei per licenziarlo, si presenta avendo studiato a memoria un paio di paragrafi, a caso, del manuale.
Se poi gli dirò che aver studiato a memoria quei due paragrafi non mi basta, mi fisserà con odio, e mi chiederà sibilando fra i denti quali altri paragrafi avrebbe dovuto studiare a memoria per avere la sufficienza. Se gli dirò che l’importante non è ecc. ma ecc., lui se ne andrà mugugnando al posto, brontolando che ce l’ho con lui, che ha studiato tutta la sera per l’interrogazione ma chissà perché a me non basta, che l’ho fatto apposta per dargli l’insufficienza, e si preparerà a raccontare per tutto il resto della vita di aver avuto un professore di storia sadico che pretendeva di fargli imparare chissà quale vicenda ripugnante di gente morta da secoli.
Alla fine, mi prenderà per stanchezza, lo ascolterò disgustato recitare qualche frase strampalata di cui non ha capito assolutamente niente, quattro nomi storpiati e tre date senza significato, mi tapperò il naso e le orecchie e gli metterò cinquassei.
L’apprendimento a memoria, te lo potrà confermare qualunque insegnante, è il salvagente degli sfaticati. È il momento in cui l’insegnante sente sopra le spalle e il cuore il peso del fallimento del proprio mestiere.


Mamma: “Ah, hai l’insufficienza di storia? Ma vedi che sei proprio uno sfaticato, in storia non c’è niente da capire, è solo da studiare!”



fm**** ha risposto:

Veramente, il mio prof non spiegava: “per la prossima volta, studiate da pag x a pag y”!

sai la tragedia quando, per esempio, cambia l’edizione del libro di testo (cambiano spessissimo, il contenuto è lo stesso, ma serve ad obbligare i ragazzi a comprare libri nuovi) e io permetto ai ragazzi che ce l’hanno già di usare la vecchia edizione?

“Professore, a che pagina è… fino a pagina…?”
“Da pagina… a pagina…”
“Da pagina…?”
“No, tu hai l’altra edizione, guarda a pagina…”
“Professore…”


Non ditemi, per favore, che dovrei rispondere “guarda l’indice, leggi il titolo del capitolo”.
No, non ditemelo, per favore.

Spegnete quella maledetta televisione e uscite a conoscere il mondo reale!

Spegnete quella maledetta televisione, dove la notizia sono quattro imbecilli che fanno le ronde, e uscite a conoscere il mondo reale, dove la notizia sono milioni di famiglie di precari ridotti alla disperazione!

Spegnete quella televisione, dove gente che non si è mai occupata di violenza sulle donne oggi scopre gli stupri solo per chiedere le leggi razziali, e andate nel mondo reale, dove interi settori produttivi vivono del lavoro di migliaia di schiavi reclutati da tutte le parti del mondo!

Spegnete quella televisione, dove pregiudicati e avanzi di galera cercano di convincervi che la più grave minaccia alla libertà sono le intercettazioni telefoniche, e andate nel mondo reale, dove la Mafia è un’azienda che fattura il doppio della Fiat, mentre la corruzione dilaga in modo sempre più pervasivo in tutte le articolazioni della nostra società!

Spegnete quella televisione, che vuole far scendere la gente in piazza schierata in tifoserie contrapposte perfino sui temi delicati e privati del rapporto fra medico e paziente, e rendetevi conto che ormai nella società italiana c’è un’unica divisione reale: quella fra chi paga le tasse, e chi le evade!

Mentre in televisione si discute di federalismo fiscale e di presidenze della RAI, l’Italia è ormai un paese in declino, che riesce a scalare una sola graduatoria internazionale, quella che misura le disuguaglianze nella divisione del reddito: lì noi siamo ormai al sesto posto nel mondo, e la barriera che separa la minoranza ricca dalla maggioranza povera aumenta sempre di più!

Ci hanno fatto credere per anni che i vecchi schemi e le vecchie idee, a partire dalla differenza tra destra e sinistra non erano più attuali, e che dovevamo accettare nuove idee più moderne – e intanto il ceto medio spariva, la parola “operaio” diventava un nome impronunciabile, i lavoratori diventavano precari e i precari diventavano disoccupati!

Ci hanno detto che le classi non esistono più, che la lotta di classe è un mito ottocentesco, e intanto la lotta di classe divampava con una violenza senza precedenti, e l’hanno vinta loro!

Spegnete la televisione, guardate e cercate di capire il mondo reale, perché capire le cose è il primo passo per cambiarle!

Nuovo infame caso di stupro!

Una bambina di soli quattro anni è stata violentata da un cinquantasettenne di Varese!

La popolazione si chiede come sia possibile che un varesotto così pericoloso fosse ancora in circolazione. Moltissimi hanno dichiarato la loro disponibilità a partecipare a ronde per l’individuazione e la segnalazione dei gruppi di varesotti potenzialmente pericolosi. La polizia ha assicurato la massima vigilanza.

Purtroppo la tensione ha provocato dei deplorevoli casi di intolleranza. Un gruppo di giovani col volto coperto ha fatto irruzione in una bocciofila abitualmente frequentata da varesotti, ha devastato i locali e colpito parecchi di loro con spranghe di ferro. I feriti sono stati portati immediatamente in commissariato per l’identificazione, poi i più gravi sono stati accompagnati al Pronto Soccorso. Sul luogo dell’aggressione sono stati trovati volantini di Forza Nuova.

Nella zona adesso c’è grande tensione. Sui muri sono comparse scritte “OCCHIO PER OCCHIO”. Il sindaco ha invitato alla calma: “Noi non siamo razzisti, e deploriamo queste violenze. Chiediamo però di essere protetti da queste persone, che non rispettano le nostre leggi e aggrediscono le nostre famiglie. Sappiamo che spesso vivono in condizioni deplorevoli, e siamo disposti ad aiutarli, ma a casa loro”.

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=329930