Il Web e il diritto

Vi sono stati due eventi – uno già di qualche settimana fa, l’altro di questi giorni – che, pur essendo apparentemente limitati a situazioni specifiche, pongono dei grandi interrogativi, a cui sarebbe un gravissimo errore non saper dare una risposta.

Dico subito che questi due eventi hanno in comune un aspetto: che alcune funzioni tradizionalmente proprie dello Stato vengono trasferite a privati, e che in questo trasferimento di competenze seguono regole che sono esattamente l’opposto di quelle che dovrebbero regolare i rapporti fra i cittadini e l’amministrazione pubblica.

È nota la vicenda della tassazione dei supporti di memoria. Prima si è trattato di supporti tradizionali: CD ecc. Poi, qualche settimana fa, la tassazione è stata estesa ad ogni tipo di supporto: comprese le memorie dei telefonini e le unità di back-up. I proventi di questa tassazione dovrebbero compensare i titolari di diritti d’autore, organizzati nella SIAE, dei danni subiti ad opera della pirateria informatica, che si basa appunto sulla possibilità di memorizzare e distribuire opere su supporti elettronici.

Si tratterà di pochi euri, per carità. E i pirati informatici sono così antipatici. Ma se guardiamo alla logica che sta alla base di questo ragionamento, vediamo che si sono affermati due principi completamente nuovi:

  1. Lo Stato agisce come percettore di una tassa a favore non di un servizio pubblico, ma direttamente di un privato. È paradossale, ma altamente significativo, che questa iniziativa sia stata presa da forze politiche che hanno costruito gran parte del loro successo elettorale non solo promettendo una riduzione del carico fiscale, ma presentandosi come eversori di una “dittatura statalista” che avrebbe proprio nel sistema fiscale un pilastro del proprio dominio. Padoa Schioppa fu messo in crode per aver definito “bellissime” la tasse che servono a pagare i servizi pubblici. Ora è “bellissima” una tassa a favore di privati.
  2. La norma parte da un pregiudizio di colpevolezza. Chi compra un supporto di memoria “molto probabilmente” lo userà per conservarci sopra materiale illegale; e in base a questo semplice sospetto, deve essere sottoposto ad una misura punitiva. Di nuovo, è paradossale, e significativo, che una misura di questo genere sia stata presa da forze politiche che hanno fatto del “garantismo” una bandiera. Ma il garantismo vale, evidentemente, solo quando si tratta di reati contro la pubblica amministrazione e il pubblico interesse; quando si tratta di danni nei confronti dei privati, vale la giacobina “loi des suspects”.

L’altra vicenda è quella relativa alla condanna dei dirigenti di Google.

Vorrei premettere alcune parole rispetto alle modalità con cui viene comunicata la vicenda. Si insiste sul fratto che tutto nasce da un video di violenze a carico di un disabile. Ed anche sul fatto che Google da queste attività ricavi un mucchio di quattrini. Sono due modalità tipiche del populismo. Si prende un fatto singolo, un caso estremo, che colpisce fortemente l’emotività, e lo si usa per costruire un criterio generale. Un caso di stupro diventa il criterio e il movente per la politica nei confronti dei Rom ecc. L’altra modalità è individuare nel nemico l’odioso “ricco”. La Repubblica attacca Berlusconi! Ma la Repubblica appartiene al ricchissimo De Benedetti ecc. Ecco la prova che Berlusconi è nel mirino di “poteri forti” ecc.

Google ha permesso la circolazione di un video di violenze a carico di un disabile! Anzi, ci ha guadagnato sopra! È da condannare, no?

La prima cosa che viene in mente è l’art. 21 della Costituzione

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili…

Con questa sentenza viene affermato il principio che in un sistema di comunicazione di tipo “forum”, come Google Video o YouTube, il gestore deve effettuare una censura preventiva dei contenuti. Una censura preventiva che è espressamente vietata dalla Costituzione; ed effettuata da un soggetto privato, non da un magistrato.

(Che la cosa sia molto dubbia è dichiarato già dalla sentenza stessa: i dirigenti di Google sono stati assolti dall’accusa di diffamazione nei confronti della vittima della violenza, ma sono stati condannati in base a quella specie di oggetto misterioso che è la “tutela della privacy”.)

Estendiamo il principio. Il gestore di un servizio è responsabile di ciò che fanno i suoi clienti. Dei delinquenti hanno progettato una rapina riunendosi in un bar. Da condannare i delinquenti, ma anche il proprietario del bar, non vi sembra? Ebbene d’ora in poi i baristi devono guardare bene in faccia i loro clienti, prima di prendere le comande; e se sarà necessario, dovranno accompagnare alla porta quelli che hanno la faccia da delinquente.

È curioso che questo servizio di vigilanza da parte di fornitori privati di un servizio sia preteso in un paese in cui si discute della limitazione delle intercettazioni telefoniche da parte della magistratura.

Alla base di entrambe le decisioni c’è sicuramente un problema culturale. La società fa ancora fatica a comprendere le nuove tecnologie – a comprendere non da un punto di vista strettamente tecnico, intendo. Non è imparando a schiacciare i bottoncini che si impara che cos’è il Web (anche nella scuola, una delle iniziative più deleterie di questi ultimi anni è stata la promozione della cd. ECDL). Manca una riflessione culturale sulle trasformazioni economiche e sociali indotte dalla Rete. Quindi ci si arrabatta, applicando in modo maldestro ai nuovi fenomeni una normativa nata in un contesto completamente diverso – come se si cercasse di regolare la Borsa con le norme dell’Editto di Rotari.

C’è però anche un enorme problema politico. L’esaltazione del Mercato ha portato a concepire l’utopia in cui l’interesse privato prende il posto delle leggi dello Stato. Il Diritto stesso viene privatizzato; la tutela della legalità viene spostata dalle istituzioni agli operatori privati. È l’astrazione di una Società Civile che non ha più bisogno dello Stato; una esercitazione teorica che viene trasformata in un progetto politico concreto.

Ebbene, su queste cose è necessaria una riflessione approfondita.

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