Una crisi dal volto umano

Alla fine, dopo mesi a parlare di “temi”, “programmi”, “cose”, “contratti”, la crisi è scoppiata sul “tema” più classico: un nome. Un nome sconosciuto ai più, che tornerà presto nell’oblio, perché in realtà la questione dei nomi era un’altra, riguardava due nomi ben diversi.
È da un po’ che si era capito che l’unico governo uscito dalle urne sarebbe stata un’alleanza Lega – 5Stelle: Ma contemporaneamente, s’era capito che quest’alleanza non si poteva fare, con due leader che proclamavano ai quattro venti “il vincitore sono io”.
“Le società van bene dispari, dicevano i vecchi, e tre sono troppi”.
Il problema più antico del mondo. Due galli in un pollaio.
Alla fine era sembrato che la soluzione fosse quella di rimandare la questione, mettere un qualunque Signor Nessuno a occupare la poltrona di Premier, nell’attesa che l’uno, o l’altro, decidesse che era giunto il momento della resa dei conti.
In questi casi, la vittoria è sempre di chi sa scegliere il momento giusto. Salvini non ha atteso che si facesse il governo. A lui non interessava fare un governo, in cui si sarebbe trovato in minoranza, senza la sponda del resto del centro-destra, a subire l’iniziativa dell’ultimo arrivato che dispensa sorrisi e “scrive la storia”.
Forse per istinto, forse per calcolo, forse per un’imbeccata venuta da fuori, ha trovato più conveniente rompere subito, sul nome di un oscuro professore di 82 anni; e su quel nome scatenare la rabbia anti-sistema della base leghista, di quel ventre rabbioso della destra italiana che non ha mai accettato le istituzioni della Repubblica e le lungaggini di un sistema di garanzie.
Di Maio ora si trova a subire l’iniziativa dell’“alleato”, deve seguirlo in una grottesca “marcia su Roma”, deve gridare più forte che può per attirare su di sé l’attenzione, deve buttarsi avanti per garantirsi una photo opportunity in prima fila.

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