La legge elettorale e l’atto mancato

In Europa e in America il parlamentarismo ha una storia di secoli, e non c’è molto da inventare. Alla fin dei conti, esistono due sistemi elettorali: uninominale e proporzionale. Tutti gli altri sono delle varianti di questi due, o delle mescolanze più o meno pasticciate.

Non c’è un sistema elettorale perfetto, e poiché in Italia li abbiamo sperimentati tutti e due, conosciamo pregi e difetti di entrambi.

Il sistema uninominale, in vigore per gran parte della storia del Regno, è basato su un rapporto diretto tra gli elettori e il singolo parlamentare. È un sistema molto territoriale, che esalta il principio essenziale della libertà di mandato. I parlamentari aderiscono sempre ad un qualche partito, ma nel sistema uninominale l’eletto non è molto portato ad ubbidire ai propri capi: non sono loro che l’hanno fatto arrivare in Parlamento, ma gli elettori del suo collegio.

Il difetto dell’uninominale è di avere dei parlamentari spesso portati a rappresentare interessi locali, a volte decisamente clientelari, e a perdere di vista l’altro principio cardine della democrazia: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione”.

Il sistema uninominale porta tendenzialmente ad un sistema bipartitico, ma questi partiti non sono blocchi compatti e disciplinati, hanno una struttura piuttosto lasca, e non esiste alcun modo per obbligare il singolo parlamentare a seguire un qualche ordine di scuderia.

Il sistema proporzionale, che ha funzionato per i quasi cinquant’anni della cd. “Prima Repubblica”, mira a riprodurre in Parlamento la varietà di orientamenti presenti presso l’opinione pubblica. Poiché tante teste tante idee, il sistema proporzionale porta inevitabilmente ad una grande pluralità di partiti.

Il sistema proporzionale può funzionare a due condizioni:

  1. che i partiti siano effettivamente rappresentativi delle diverse posizioni presenti nel paese, e non piccole consorterie legate per motivi di pura convenienza ad un qualche “capo” capace di raccogliere voti attraverso campagne di marketing elettorale;
  2. che i partiti siano in grado di trovare alleanze e di convergere verso obiettivi comuni, considerati concordemente più importanti dei punti di dissenso.

Poiché oggi in Italia non si verificano né la prima, né la seconda condizione, mi sembra che la scelta dovrebbe orientarsi verso l’uninominale. Ma è un’opinione personale, non è il quarto segreto di Fatima.

Oggi in Italia si va disperatamente alla ricerca di un qualche sistema elettorale, escludendo però in partenza sia il proporzionale, sia l’uninominale. Non si capisce assolutamente quale sistema si voglia attuare; si sono fatti vari tentativi di alterare pesantemente l’uno o l’altro, o di creare cervellotiche commistioni dei due. Tutti questi tentativi hanno portato ad un fallimento, o a risultati giudicati concordemente disastrosi. Eppure non si riesce ad uscire dalla situazione di stallo, e ad operare una scelta chiara fra l’uno e l’altro dei due sistemi. Ogni volta si promette una soluzione risolutiva, ma alla fine il risultato è una ciofeca ancor più indigeribile del prodotto precedente.

In termini psicanalitici, dovremmo forse parlare di una lunga serie di “atti mancati”, sintomo inequivocabile di una situazione gravemente patologica. C’è qualcosa di segreto e di inconfessabile che impedisce ai partiti di produrre non questa o quella, ma una qualunque legge elettorale degna di questo nome.

Vedremo come va a finire quest’ultimo tentativo. Il mio timore è che il marasma mentale e le pulsioni autodistruttive dei principali partiti alla fine possano portare ad una vera crisi delle istituzioni democratiche.

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