Gregorio XVI tra Roma ed Africa

Riporto qui quasi integralmente un mex che ho appena inviato su it.cultura.religioni.cristiani.

Taglio la prima parte, che è la risposta ad un messaggio sul “terzo Segreto di Fatima”, con un link ad un sito pieno di scie chimiche, extraterrestri mummificati, crollo delle Torri Gemelle che sono solo un ologramma… Di questo sito riporto solo una sorta di “professione di fede cospirazionista”, che mi è sembrata esemplare per la sua patologica chiarezza:

…tutto quello che ci raccontano è una sceneggiata, e gran parte delle persone che si muovono ai piani più elevati della politica sono attori…


Ma…

… in questo stesso sito ho trovato un accenno ad un personaggio quasi dimenticato che oggi suscita il mio interesse.

Questo personaggio è il povero Gregorio XVI, alias Fra Mauro, alias Bartolomeo Alberto Cappellari. Personaggio in cui mi sono imbattuto un paio di anni fa, all’inizio dei miei interessi su Guglielmo Massaja. Perché fu lui a nominare Vescovo e Vicario Apostolico dei Galla l’energico cappuccino piemontese; il quale, appena prima di partire per l’Africa, fece visita al papa malato, e fu tra gli ultimi che lo videro vivo.

Questo personaggio è passato alla storia come la dimostrazione palpabile di quanto, già all’inizio del XIX secolo, lo Stato della Chiesa fosse una grottesca sopravvivenza del passato, della cui scomparsa la stessa Chiesa Cattolica dovrebbe rallegrarsi più di chiunque altro. E fra gli amministratori di quello Stato, Gregorio XVI fu sicuramente il peggiore. Lo testimoniano le grandi potenze dell’epoca, in primo luogo l’assolutista e cattolicissima Austria, che vedeva con preoccupazione l’accumularsi di tensioni sociali in uno degli Stati chiave del Nuovo Ordine della Restaurazione, e scongiurava inutilmente il Papa di intraprendere le indispensabili riforme per dare soddisfazione alle legittime aspirazioni del buon popolo del Patrimonio di San Pietro.

(Ma poi, ve li immaginate i papi del XX e del XXI secolo — ma già i grandi del XIX, come Leone XIII — alle prese con il problema di tenere insieme uno degli staterelli più strampalati dell’Europa cristiana — a occuparsi delle rotonde di Viterbo e dello sciopero degli spazzini di Frosinone…?)

Insomma, se Pio IX avesse avuto un pochino di più di spirito profetico — di cui pure non mancava del tutto —, avrebbe dovuto proclamare Santi tutti insieme Mazzini, Garibaldi e il gen. La Marmora.


Ma non è questo che mi interessa oggi.

Quello che mi interessa oggi è una curiosa contraddizione della Chiesa cattolica della fine del XVIII e del XIX secolo. Una specie di “doppiezza” (sia detto senza intento denigratorio), di cui immagino che in primo luogo i Papi dell’epoca abbiano sofferto moltissimo.

Di fronte al mondo moderno, la Chiesa alza le mani e si arrende. L’ottuso e un po’ ridicolo conservatorismo di fronte ad un’evoluzione inarrestabile è una aperta ammissione di sconfitta. Per un secolo intero, la Chiesa rinuncia a fare progetti per il futuro. Una condizione in cui credo che la Chiesa cattolica non si sia mai trovata, in duemila anni di vita — sicuramente non per un tempo così lungo.

Ma questo vale per l’Europa e l’Italia: il mondo in cui la Chiesa cattolica era nata, era vissuta per decine di secoli, che in gran parte aveva plasmato con la sua opera, improvvisamente le appare come una mostruosa e incomprensibile “…sceneggiata…”, di cui il gran Regista è il Demonio in persona.


Ma, a differenza dei buffi cospirazionisti d’oggi, la Chiesa del XIX secolo riuscì ad intravvedere una via d’uscita. E questa via d’uscita sono gli altri continenti. Quel Futuro, a cui in Europa chiude la porta in faccia — convinta che sia il Futuro ad escluderla — essa lo vede aperto nel Mondo Nuovo, in primo luogo in Africa.

Ciò su cui sto cercando informazioni, e che sembra ormai dimenticato da tutti — a parte qualche storico laico, poiché solo gli storici laici, non accecati dalle “scie chimiche” della partigianeria ideologica e dell’odio devoto, ogni tanto riescono ad aprire nuove vie alla ricerca — è l’azione del Prefetto della Società Cattolica di Propaganda Fide Fra Mauro Cappellari. Una prefettura che appare straordinariamente illuminata — uso deliberatamente quest’aggettivo che ai pretucoli sa di zolfo — come tutta l’azione missionaria cattolica della prima parte del XIX secolo mi sembra animata da autentico spirito profetico.

Non durerà a lungo; già nell’ultimo quarto del secolo la chiesa cattolica in terra d’Africa dovrà fare i conti con i nuovi poteri, e lo stesso detestato Stato italiano troverà in larghi settori delle Missioni dei docili servitori.

Ma almeno nella grande stagione missionaria — nell’epoca del Massaja e del Comboni, per intenderci — ma anche dell’ex garibaldino e cacciatore di mercanti di schiavi Romolo Gessi — quest’essere “fuori dal mondo”, questa autentica fuga dalla realtà fu paradossalmente il fermento culturale ed emotivo di alcuni grandi visionari, capaci di concepire mete che, ancora oggi, ci proiettano al di là dell’epoca dei colonialismi e dei postcolonialismi.

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