Don Enrico Tazzoli e Padre Reginaldo Giuliani

L’accostamento di questi due preti, così diversi, è un caso interessante.

Don Enrico Tazzoli (1812-1852) è uno di quei “Martiri di Belfiore” il cui ricordo credo che sia completamente scomparso dai moderni libri di scuola. Professore del seminario arcivescovile di Mantova, si avvicinò al movimento mazziniano, e nel 1852 fu arrestato insieme ad altri venti membri dell’organizzazione clandestina. In quanto sacerdote, era sottratto alla giurisdizione austriaca; ma dietro le pressanti insistenze del governo, il vescovo Corti, dopo un’iniziale esitazione, con l’assenso di Pio IX lo ridusse allo stato laicale. In conseguenza di ciò, il Tazzoli fu impiccato il 7 decembre 1852 insieme con altri quattro congiurati. Le esecuzioni di quel giorno furono solo uno dei momenti di una lunga serie di azioni repressive condotte dal governo austriaco nel Lombardo Veneto nel decennio che precedette l’Unità d’Italia.

Il domenicano Reginaldo Giuliani (1887-1936) fu cappellano militare durante la Grande Guerra, e cappellano degli Arditi da quando quel corpo fu costituito nel 1917. Tornò con due medaglie di bronzo ed una medaglia d’argento al valor militare. Nel 1919 fu fra i primi a seguire D’Annunzio a Fiume, dove il suo entusiasmo creò non pochi imbarazzi alle autorità religiose, che alla fine gli ordinarono di lasciare la città. Accolse con entusiasmo l’ascesa del fascismo, anche se la notizia, riportata dall’Enciclopedia Treccani nel volume di aggiornamento del 1938, di una sua partecipazione alla Marcia su Roma, non è confermata dalle altre fonti che ho consultato. Nel 1935 si arruolò come cappellano delle Camicie Nere in partenza per l’Abissinia, e il 31 gennaio 1936 morì nella battaglia del Tembien presso il passo di Uarieu. Fu insignito di medaglia d’oro al valor militare.

Ho trovato il riferimento ai Martiri di Belfiore sia nelle sue Conferenze patriottiche (Torino 1936) sia nella biografia scritta da Lorenzo Tealdy, Eroe crociato (Roma-Torino 1936).

Naturalmente ci vuole un po’ di sforzo per riuscire a ricostruire il collegamento.

È necessaria una premessa. Negli ultimi anni ci siamo abituati ad una neo-destra che si presenta come fortemente critica, se non negatrice, del movimento risorgimentale. Nelle parrocchie è ritornata di moda la tesi ottocentesca di un Risorgimento manovrato ad una bieca Internazionale massonica, che avrebbe simulato una Rivoluzione Nazionale solo per dare addosso alla Chiesa Cattolica.

Non era questa la posizione del nostro Giuliani, per quanto la sua adesione alla volontà della Chiesa e del papa fosse ferrea almeno quanto quella ai destini del Fascio.

Secondo il Giuliani nella storia vi è un disegno provvidenziale, che crea una Gerarchia fra le nazioni. Al vertice di questa Gerarchia, c’è, manco a dirlo l’Italia. La Roma dei Cesari, e la Roma dei Papi sono, per consiglio divino, eternamente, il faro del mondo. È vero che tra potere civile e potere religioso c’è stata una certa incomprensione, ma vabbe’. In ogni caso, il Risorgimento è il processo storico che ha riportato l’Italia al suo giusto posto nel mondo. Naturalmente, non tutto il Risorgimento: il Risorgimento cattolico, s’intende: Manzoni, poeta dell’Italia Unita, Gioberti, filosofo del Primato degli Italiani, e poi Cantù, Balbo, Tommaseo sono gli autori a cui il Giuliani fa riferimento.

E come ogni santa causa, anche il Risorgimento ha i suoi martiri:

… i martiri di Belfiore che cambiano in altare la forca austriaca immolante l’intemerata vita del Sacerdote …
(Conferenze, p. 33)

È vero, che a stringere il cappio intorno al collo di Don Tazzoli c’era anche la mano di Pio IX, ma transeat; se alziamo lo sguardo oltre la contingenza, secondo Don Reginaldo il vero cattolico non dovrà mai scegliere tra Chiesa e Stato, tra Religione e Patria.

Il primo evento che ha permesso di superare questa difficoltà è stata la Guerra:

… Di questa si può ripetere la massima che forse a torto il greco filosofo affermò d’un altro soggetto. “La donna è un male, ma è un male necessario” disse egli. Noi potremmo volgere la massima così: “La guerra è un male, ma è un male necessario”…
(Conferenze, p. 13-14)

La Grande Guerra ha richiesto a tutti, credenti e non credenti, “santi e garibaldini”, lo stesso grande slancio ideale.

A risolvere definitivamente la questione del potere temprale della Chiesa, che certo “non favorì” il movimento risorgimentale (Conferenze, p. 51), alla fine giunse l’Uomo della Provvidenza, il quale riportò “l’Italia a Dio, e Dio all’Italia”. Naturalmente non avrebbe potuto fare da solo: incontrò in Vaticano un uomo altrettanto geniale, “l’undicesimo Pio”, il quale spazzò via ogni recriminazione e ogni pretesa di “compensi” territoriali:

… Nulla di tutto ciò Egli volle: la sua rinuncia in questo senso fu completa. Volle esser libero da ogni preoccupazione materiale e strettamente politica. Gli bastò la rocca vaticana, che è una vetta, solo una vetta, ma più alta di ogni cima. …

Ecco dunque che il Risorgimento,

… “battezzato dal sangue sacerdotale dei martiri di Belfiore” …
(Conferenze, p. 11)

viene assimilato e digerito anche dal successore di Pio IX.

Be’, ammettiamolo, se qualcuno si mette a leggere libri fascisti cercando rigore logico dell’argomentazione, perde il suo tempo.

Ma non era questo il mio intento. A me interessava solo dar conto di questa rilettura, per me piuttosto sorprendente, della storia d’Italia da parte di un prete che fu presentato in vita come propagandista, predicatore e bandiera del pensiero di regime, ed in morte come eroe a cui dedicare vie e piazze, sommergibili e cacciatorpediniere, legioni di CCNN e film neorealisti.

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