Le conseguenze economiche di Marchionne

Premetto che sono un moderato. Da giovane ero un rivoluzionario, da vecchio sono diventato un moderato.

Moderato (lo sa bene chi mi conosce un pochino) non nel senso di orientamento politico, ma nel senso che per me parlare è meglio che prendersi a legnate.

Sotto questo punto di vista cerco di capire le conseguenze di quest’ultima iniziativa imprenditoriale sulle relazioni sociali nel nostro paese. E poiché sono moderato, nell’espressione “relazioni sociali” l’accento è sulla parola “relazioni”. Il nostro paese sembra caduto in una tale babele linguistica (oltre che morale e culturale) che nessuno finora ha voluto sottolineare il significato di questa semplicissima parola. Allora lo faccio io: relazioni. È una parola che, in un mondo normale, sembrerebbe appartenere più all’ambito del parlarsi, che a quello del prendersi a bastonate.

Ora, un imprenditore, nell’ambito di una vertenza sindacale, ha detto papale papale ai suoi dipendenti: o così, o chiudo la fabbrica.

Nel linguaggio sindacale di qualche decennio fa, questo si chiamava “serrata”. E la serrata era considerata una cosa brutta, perché si pensava che l’esito di un’operazione di questo genere non potesse che essere un peggioramento del sistema delle relazioni. Tra il parlarsi e il prendersi a legnate, si rischiava fortemente che il peso si spostasse più verso la seconda opzione.

Ma lasciamo perdere il passato, proviamo ad immaginare il futuro. Un futuro in cui, da parte imprenditoriale, diventi normale dire: o così, o chiudo la fabbrica. Oltre, ovviamente, alle moltissime fabbriche che chiudono e basta. Mi chiedo se qualcuno ha provato a immaginare le conseguenze di questo sistema non solo sulle relazioni sindacali all’interno delle fabbriche, ma sull’insieme delle relazioni sociali nel nostro paese.


Il nuovo accordo prevede che i sindacati che non accetteranno saranno esclusi dalla rappresentanza all’interno della fabbrica. Due sindacati sembrano orientati ad accettare una simile conseguenza. Due sindacati si sono dichiarati disposti ad accettare che un terzo sindacato sia spinto ad una condizione di clandestinità sul luogo di lavoro.

Ora, io sono un moderato. Di moderati siamo rimasti in pochi, perché il vento sembra piuttosto favorevole a soluzioni estremiste. Da decenni cova, in una parte cospicua dell’opinione pubblica e del mondo politico, un rancore, un senso di rivalsa verso il movimento sindacale, il desiderio di una resa dei conti che liquidi definitivamente il sindacalismo – o almeno una parte di questo, il sindacalismo “rosso”. È un atteggiamento estremista, che non si pone minimamente la domanda sulle conseguenze, in termini di relazioni sociali – in termini, diciamolo pure, di ordine pubblico – di una scelta di questo genere. L’esclusione della FIOM dagli stabilimenti Fiat dà soddisfazione a quest’odio fanatico coltivato per generazioni, ed è stata accolta con urla di giubilo. Ma l’odio fanatico non è un modo razionale per costruire il futuro. L’odio fanatico – ce lo insegna la storia – porta a selvagge bastonature; alla fine viene sconfitto, ma solo dopo aver trasformato il paese in un deserto di macerie.


E le conseguenze sull’economia? Poiché, come sappiamo tutti, l’economia non è solo questione di quattrini, ma è l’“anatomia della società civile”, e sull’economia generale del nostro paese le relazioni sociali, lo stato dell’ordine pubblico pesano un po’ di più di qualche minuto di pausa in fabbrica, ebbene, da un punto di vista economico, il nostro paese può permettersi un Marchionne?

10 commenti su “Le conseguenze economiche di Marchionne”

  1. Il problema non è se “possiamo permetterci Marchionne” il problema è se possiamo permetterci di lavorare con tutti i cavilli sindacali della FIOM.
    Un’azienda vive a scopo di lucro, se il lucro non c’è l’azienda chiude, lapalissiano.
    Con la globalizzazione dobbiamo confrontarci con il mondo, non con la sede della FIOM.

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  2. I cavilli sindacali di Gianfranco, temo rafforzino il concetto di “babele linguistica” ipotizzato da Maurizio.
    Quello che si vorrebbe far passare per cavillo, in altri tempi si sarebbe chiamato diritto.
    La FIOM chiede il rispetto di un contratto nazionale di lavoro, Gianfranco lo reputa un cavillo sindacale. Qui, il problema e’ che non solo non ci possiamo permettere un Marchionne, ma dovremmo cominciare da subito a ripulire i pozzi, ormai avvelenati oltre il limite di sopravvivenza…

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  3. Pienamente d’accordo con Gaetano. Trovo l’articolo pistonico veramente lucido. Ho apprezzato in particolare il passaggio: “nel linguaggio sindacale di qualche decennio fa, questo si chiamava “serrata”.
    Più che cavilli sindacali io vedo una ritrovata aggressività padronale, unita alla solita protervia (a Napoli la chiamerebbero cazzimma).

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  4. Quello che forse non si vuol capire è che la Fiat è un’azienda privata che manifesta le sue condizioni per poter lavorare.
    La FIOM manifesta le proprie condizioni.
    Se non c’è accordo tutti a casa a tostare noccioline.
    Non ci sono obblighi per nessuna delle due parti.
    Un contratto è un accordo tra le parti, ha una sua durata e non è intoccabile, specialmente quando è largamente superato dai tempi.
    Da parte FIOM ci sono “cavilli” ridicoli che nulla hanno a che vedere con la dignità del lavoro, prima ce ne rendiamo conto meglio è.
    Tra l’altro Marchionne ha offerto un aumento salariale, quindi la sopravvivenza c’entra poco.

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  5. Non è l’accordo Mirafiori che taglia fuori la FIOM, ma la legge 300 del 1970 che prevede l’agibilità nei luoghi di lavoro ai soli Sindacati che hanno sottoscritto gli accordi collettivi ivi applicati. Ci andrei piano, quindi, a parlare di “lesione dei diritti”, perché tale riferimento non sarebbe a Marchionne ma a Gino Giugni. Oltre tutto, quando nel 1995 il partito radicale promosse un referendum per abrogare questa norma, che protegge di fatto il monopolio dei sindacali confederali, la CGIL ha fatto campagna per il NO (e così tutta la sinistra, vedi ad esempio l’editoriale di Luigi Berlinguer su L’Unità dell’11.6.95, giorno della consultazione http://archivio.unita.it/archivio/?dd=11&mm=06&yy=1995 ) non ha senso quindi che ora chieda un trattamento “ad personam” come un presidente del consiglio qualunque.
    Io a quel referendum votai NO, e lo voterei ancora adesso perché l’alternativa offerta dai sindacati autonomi mi sembra ben peggiore. Anche se mi sembra che a FIOM ne stia assumendo tutte le caratteristiche peggiori e che stia purtroppo trascinandoci anche la CGIL e la parte peggiore della sinistra. Grazie per aver ospitato la mia opinione.

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  6. CGIL, CISL e UIL hanno avuto finora la rappresentanza dei lavoratori della Fiat in quanto firmatarie del Contratto Nazionale dei metalmeccanici.

    La stipula di un contratto aziendale separato, e la conseguente esclusione del sindacato che rifiuta la firma, rientra piuttosto nella storia del “sindacalismo giallo”, di cui abbiamo un esempio proprio alla Fiat negli anni ’60, con la nascita del SIDA (Sindacato Italiano dell’Auto).

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  7. Non stiamo parlando di un contratto aziendale separato stipulato con un
    sindacato di comodo, ma un accordo frutto di un lungo confronto condotto da una RSU eletta dai lavoratori. Un accordo che ha raggiunto una sintesi a maggioranza rispettando tutte le norme scritte e non scritte che una trattativa sindacale prevede, e valutando alfine positivo lo scambio tra flessibilita’ degli orari ed occupazione/ retribuzione aggiuntiva.

    Neanche le OO.SS. esterne che hanno assistito le RSU in questa attività sono di comodo! Solo una di esse, – quella che peraltro fa da anni del mancato accordo il suo tratto esclusivo – non ha accettato la decisione assunta maggioranza dalla RSU e ora vorrebbe esercitare un diritto di veto dichiarando che non accetterà neanche quella referendaria.

    Non mi risulta pero’ che la FIOM abbia avuto l’incarico dal Paese di unico
    certificatore degli accordi buoni e di quelli cattivi.

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  8. Un contratto collettivo è, appunto, un contratto. Non legge dello Stato.

    Pensare che un sistema contrattualistico garantisca in eterno i diritti è stato ingenuo, almeno tanto quanto è ingenuo credere che lo scaglionamento della pausa mensa sia un diritto irrinunciabile o indisponibile.

    Tanto per dirne una in alcune realtà è già prevista la rinuncia alla pausa mensa e la sua monetizzazione.

    Non solo sono questioni su cui si può trattare: di fatto se ne tratta già.

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  9. A proposito: i miliardi di euro di investimento promesso, non ce li mette
    Marchionne, ma gli azionisti. E se i tassi di assenteismo e i livelli di
    produttivita’ rimangono quelli che FIOM ed i portavoce di FIOM stanno
    difendendo, saranno gli azionisti a mettere il denaro altrove, e non
    Marchionne, che continuerà a fare il manager in altre parti del mondo. A quel punto chi vorrà potrà esultare, come le hostess negli ultimi giorni dell’agonia dell’Alitalia. Così esulteranno forse i Di Pietro i Vendola e i Bertinotti. Senz’altro non esulteranno i lavoratori. Probabilmente non esulterà neanche la CGIL, che sopravviverà solo negli enti pubblici dove potrà difendere l’esistente a spese dei contribuenti che non possono decidere dove mettere il denaro, e a spese della reputazione della sinistra che avrebbe voglia e capacità di governare.
    Grazie ancora per l’ospitalità.

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