Soldi e graduatorie

È stata pubblicata con molto risalto l’ultima classifica delle duecento migliori Università del mondo. In queste duecento, neanche una è italiana.

Nessuno però sembra darsi la pena di capire con quali criteri è stata fatta questa classifica.

Trasformare la qualità in numeri non è un’operazione banale: lo sappiamo bene noi che lo facciamo per per mestiere.

In questo caso fortunatamente non è difficile accedere alla fonte e vedere spiegati questi criteri.

http://tinyurl.com/34hyfac

Ebbene, il bello è che alcuni di questi indicatori hanno un nome molto famigliare: i SOLDI.

Un criterio, per esempio, è il rapporto studenti / docenti. Avere molti insegnanti in rapporto agli studenti, è di per sé un fattore che fa salire nella graduatoria.

“ …This broad category also measures the number of undergraduates admitted by an institution scaled against the number of academic staff. Essentially a form of staff-to-student ratio, this measure is employed as a proxy for teaching quality – suggesting that where there is a low ratio of students to staff, the former will get the personal attention they require from the institution’s faculty….”

Un altro criterio è il rapporto fra il numero di ricercatori e il numero di docenti.

“…We believe that institutions with a high density of research students are more knowledge-intensive, and that the presence of an active postgraduate community is a marker of a research-led teaching environment valued by undergraduates and postgraduates alike…”

Naturalmente, “non ci sono pasti gratis”. Insomma, per fare una buona Università ci vogliono soldi. Più l’Università riceve soldi, più sale in graduatoria.

“…The final indicator in this category is a simple measure of institutional income scaled against academic staff numbers. This figure, adjusted for purchasing-price parity so that all nations compete on a level playing field, indicates the general status of an institution and gives a broad sense of the general infrastructure and facilities available to students and staff…”

Ma da chi ricevono soldi le Università? Da tanti soggetti, anche da privati. In tutti i paesi del mondo, le più importanti aziende private commissionano ricerca alle Università. E pagano fior di quattrini. È chiaro che là dove il sistema industriale è debole, come in Italia, dove ci si celebra il culto barbarico delle Piccole e Medie Imprese, come se fosse una bella cosa essere fuori da tutti i più importanti settori di alta tecnologia, questa fonte di reddito è asfittica.

“…Some 17.5 per cent of this category – 5.25 per cent of the overall ranking – is determined by a university’s research income, scaled against staff numbers and normalised for purchasing-power parity. This is a controversial measure, as it can be influenced by national policy and economic circumstances. But research income is crucial to the development of world-class research, and because much of it is subject to competition and judged by peer review, our experts suggested it was a valid measure….”

Insomma, da anni ci stanno raccontando che la scuola italiana (tutta, non solo l’Università) riceve troppi soldi, funziona male (lo dicono le graduatorie internazionali!), e quindi bisogna tagliare. Un po’ più di bastone, un po’ meno di carota, e vedrete che tutto funzionerà meglio!

È una balla.

Una scuola senza soldi, è una scuola che non funziona.

Lo dicono le graduatorie internazionali.

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