Lucia Mondella e le licenze poetiche

“F. C.” non è convinto di quanto ho sostenuto a proposito della frase del Manzoni

« Il signor curato è malato e bisogna differire, » rispose in fretta la donna. Se Lucia non faceva quel segno, la risposta sarebbe probabilmente stata diversa

(tinyurl.com/yubkgq)

e  mi ha scritto:

Sappiamo che i poeti spesso piegano le regole grammaticali ai bisogni della poesia (ritmo e musicalità), e qualche volta anche la semantica.
A mio dire Manzoni, usando questa forma, ha voluto dire che – se giustificati da motivazioni artistiche – si può infrangere una certa regola. La seguente frase
“Se Lucia non avesse fatto quel segno, la risposta sarebbe probabilmente stata diversa”
non suona bene come l’originale, si perde il ritmo. Manzoni ha usato bene i verbi, ma ha voluto che questa volta il ritmo prevalesse sulla logica. Anche se non si tratta di versi, ma di “semplice” prosa.
Secondo me il messaggio è questo:
“Se scrivi un’opera d’arte in cui il modo di scrivere conta molto, allora si può fare un errore grammaticale e lasciare al contesto il significato” (niente di nuovo rispetto alla licenza poetica)

Non ho mai amato il termine “licenza poetica”. Che significa?

Significa che il grammatico non sa spiegare il poeta. Ma sarà perché il poeta ha fatto qualcosa di irregolare, di sporco, si è sbrodolato la cravatta di sugo, ma non importa, tanto è un grande poeta anche con la cravatta sbrodolata – o non sarà invece che il grammatico non ce l’ha fatta col suo povero calepino a capire quello che voleva dire il poeta?

Spero che non perdiamo tempo a discutere sul fatto che la grammatica è un debole tentativo dei pedanti di star dietro alla lingua viva.

Dici una cosa giustissima: la lingua è ritmo, anche in prosa. Il Manzoni, che in poesia fu capaci di scrivere versi innominabili come

Ei fu. Siccome immobile

in prosa invece fu un grandissimo maestro di ritmo.

Ma il Manzoni non fu mai un esteta. In lui la lingua è sempre strumento per il significato. Anche il ritmo è in funzione del significato. Per lui la lingua vuol dire sempre qualcosa; una lingua che non dice, che si limita a cantare, per lui, rigoroso illuminista, sarebbe apparsa una colpevole frivolezza. In questo senso vi è la supremazia della lingua: perché solo la lingua giusta può dire le cose giuste. Nel Manzoni tutto si riconduce ad un principio morale, anche la lingua. “Se Lucia non diceva” non è una sgrammaticatura. Quella frase è la frase giusta al punto giusto per dire la cosa giusta. È la frase più perfettamente aderente al senso. Se non comprendiamo la scelta grammaticale, vuol dire che non abbiamo capito il senso.


Il Conte Attilio, persuaso d’aver ragione, chiede al dottore di sostenere le sue ragioni “con la sua buona tabella”. Subito dopo Don Rodrigo rincara la dose: “…voi, che, per dar ragione a tutti, siete un uomo.” La grammatica del Manzoni non è una “tabella” che serve solo, in mani abili, a giustificare qualunque cosa – anche le “licenze poetiche”. La grammatica del Manzoni non è una formuletta indifferente: è lo strumento per definire la verità. E se la verità non sta dentro la regoletta dei pedanti, tanto peggio per loro.

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