Sabato 24 novembre 2001    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

CAPITOLO XXV

Uso dell’avverbio.

(Gramm., P. II, cap. XXVIII)

§ 1. Natura dell’avverbio. L’avverbio, la preposizione e la congiunzione sono tre parti del discorso tutte della medesima natura, esprimono cioè ugualmente una modalità dell’azione significata dal verbo. Differiscono però in questo; che l’avverbio propriamente detto modifica semplicemente il senso della parola a cui si riferisce, senza porla in relazione con altre parole, mentre la preposizione e la congiunzione valgono appunto come legame, come passaggio fra quella ed altre. Del resto, anche la preposizione ha a fondamento l’avverbio, e la congiunzione si serve degli avverbii per unire insieme le proposizioni. Gli avverbii relativi fanno quasi sempre officio di vere congiunzioni, e per conoscere la loro natura avverbiale bisogna soggiunger loro davanti un avverbio dimostrativo, o scioglierle nei loro elementi: p. es. Vieni dove son io equivale a dire Vieni qui (avverbio) dove (congiunz.) sono io: seggo perchè sono stanco equivale a seggo perciò (avverbio) che (congiunz.) sono stanco.

§ 2. L’avverbio non può modificare solamente il verbo, come indica il suo nome, ma anche spesso il participio, l’aggettivo, od un altro avverbio. Ciò per altro vale soltanto per gli avverbii di maniera, grado e quantità; p. es. veramente bello, mollemente assiso, crudelmente pietoso; più o meno virtuoso, più o meno bene, sommamente bene; e sim. Gli avverbii di luogo e di tempo non modificano veramente l’aggettivo, ma il verbo sottinteso. Se dico p. es. un mezzo ora utile, ora dannoso, voglio dire un mezzo che ora è utile, ora è dannoso, nè áltero comecchessia il significato della voce dannoso. Se dico, salgo un monte qui alto e là basso vengo a dire che qui è alto, là basso. La strada sempre libera vale che è sempre ecc. e così via discorrendo.

§ 3. Avverbio in senso d’aggettivo. Spesso l’avverbio fa le veci dell’aggettivo o tien luogo di un predicato nominale. Ciò avviene specialmente con avverbii di quantità, più, meno, assai, abbastanza (Vedi addietro cap. XI, § 6 e 7). Avviene pure cogli avverbii comparativi di maniera meglio, peggio, invece di migliore e peggiore tanto col singolare, quanto col plurale. (Vedi addietro, cap. III, § 7, nota). Ho cavato altri da peggio (peggiori) imbrogli. Manzoni. – Usiamo spesso dire la meglio nel senso di la miglior via, la miglior maniera. Aprire quella prima folla, rovesciarla a destra e a sinistra sarebbe stata la meglio. Manzoni.

Anche altri avverbii si adoprano in questa maniera, come così, guari, già ecc. e varie preposizioni usate avverbialmente, come dietro o di dietro, davanti, dopo. Essere in trattato di matrimonio con una ragazza così. Manzoni. – Avrà scritto .... se aveva un soggetto così e così (tale e tale). Manzoni. – Bella cosa è questa vostra; ma ella ne (ci) par mutola: è ella così (tale)? Boccaccio. – La confessione che facciamo di noi con la bocca, dicendo che siamo peccatori, non viene dal cuore, nè vorremmo così esser tenuti, nè per così trattati. Volgarizz. di S. Gregorio. – Il male vostro era curabile presto, ma il suo non era già così (tale). Machiavelli. – Nè stette guari (molto) tempo, che costei morì. Boccaccio. – I così detti Piombi sono la parte superiore del già palazzo del Doge (antico palazzo). Pellico.

La strada davanti era sempre libera. Manzoni. – Una provvisione negli anni addietro assai lucrosa. Manzoni. – Siete voi accorti Che quel di retro muove ciò ch’e’ tocca? Dante. – L’essersi perdute le scritture e le memorie dinanzi, è cagione che non gli possiamo assegnare più alto principio. V. Borghini. – Diciamo sempre: il giorno o la notte, il mese, l’anno ecc. avanti o innanzi; dopo o dipoi o appresso. Avendo il giorno avanti celebrato i sacrificii di Bacco. Boccaccio. – Non lagrimai nè rispos’io Tutto quel giorno, nè la notte appresso. Dante.

Quanto ai modi questo qui, quello là ecc. vedi più sotto, § 7.

§ 4. Avverbii sostantivati. Alcuni avverbii, preponendosi l’articolo e talora un pronome, possono usarsi come sostantivi; per es. il prima, il dopo, il poi, il dove, il come, il quando, il meglio, il peggio, il più, il meno ecc. Non sapendo distinguere ne’ tempi il prima e ’l poi, confondono in un mescuglio ogni cosa. V. Borghini. – Reputo opportuno di mutarci di qui e andarne altrove; e il dove io ho già pensato. Boccaccio. – Chiaro mi fu allor come ogni dove In cielo è paradiso. Dante. – (Di qui le frasi per ogni dove, in ogni dove ecc.). Disse Buffulmacco: e come potremo noi? Disse Bruno il come ho io ben veduto. Boccaccio. – Il meglio e ’l più ti diedi e il men ti tolsi. Petrarca. Dicesi anche parlando familiarmente: alla peggio de’ peggi. Alla peggio de’ peggi potrebbero trovarsi insieme alla prossima villeggiatura. Manzoni. – L’oggi apprezzo ch’è in mie mani; Perchè chi sa mai il dimani? A. M. Salvini. – Il dinanzi e il di dietro non sono propriamente se non nelle cose che hanno sentimento. Varchi.

È notabile l’uso di oggi, accompagnato dal pronome questo, (Quest’oggi alla caccia non saremo insieme tutto il dì? Grossi) e il modo l’altro jeri o jeri l’altro per indicare il giorno precedente a jeri.

§ 5. Avverbio con ellissi del verbo. Spesso l’avverbio lascia sottintendere un verbo taciuto. Ciò accade specialmente con avverbii di moto o di tempo, ma anche con altri: Renzo accostò di nuovo l’uscio pian piano, e tutt’e quattro su (salirono) per le scale. Manzoni. – Misericordia! grida anche Agnese, e di galoppo dietro l’altra. Manzoni. – Agnese scende e dentro di corsa. Manzoni.

Quanto al premettere le preposizioni agli avverbii locali, vedi il § 9.

§ 6. Avverbii dimostrativi determinati locali. Ai pronomi dimostrativi determinati locali questo, cotesto, quello ecc. (vedi addietro, cap. VIII) corrispondono perfettamente gli avverbii determinati locali qui, qua; costì, costà; , là o colà, quivi, ivi, quindi, indi ecc. oltre ai loro composti quassù, quaggiù; costassù ecc. laggiù, colaggiù ecc.

Qui e qua si riferiscono alla prima persona, determinano cioè il luogo ov’è chi parla, nè vi ha fra loro alcuna sostanzial differenza di significato; se non vogliamo dire che qui circoscrive meglio e in più stretti termini lo spazio, che non faccia qua.

Esempii: Qui disse una parola e qui sorrise, Qui si rivolse e qui rattenne il passo, Qui co’ begli occhi mi trafisse il core. Petrarca. – Se tu te ne volevi dormire, tu te ne dovevi andare a casa tua e non venir qui. Boccaccio. – E volendosi di qui partire, ci lasciò due suoi .... discepoli. Boccaccio. – Colui che attende là per qui mi mena. Dante. – Egli è qua un malvagio uomo. Boccaccio. – Io non era pur disposto a venir qua. Boccaccio. – Le quali cose tutte io di qua con meco (con me) divotamente recai. Boccaccio. – Volgi in qua gli occhi al gran padre schernito. Petrarca.

Poeticamente usasi talora qui per quivi, colà. E scese in riva al fiume e qui si giacque. Tasso.

Costì e costà si riferiscono alla seconda persona, determinano cioè il luogo, dov’è la persona, a cui si parla: non hanno tra loro sostanzial differenza di significato.

Esempii: io vi vidi levarvi e porvi costì a sedere. Boccaccio. – Fatti in costà, malvagio uccello. Dante. – E tu che se’ costì, anima viva, Partiti da cotesti che son morti. Dante. – Io seppi tanto fare, ch’io costassù ti feci salire. Boccaccio.

(più di rado colà) e si riferiscono alla terza persona, indicano cioè il luogo, dove non è nè chi parla, nè colui, al quale si parla. Differiscono nel significato, perchè indica un termine più lontano che .

Esempii: Io vidi il ghiaccio epresso la rosa. Petrarca. – E quel signor che li m’avea menato Mi disse ecc. Dante. – Tu diventerai molto .... più costumato e dabbene là, che qui non faresti. Boccaccio. – Torna tu inch’io d’esser sol m’appago. Petrarca. – Poco più là trovai genti che portavano il pane. Boccaccio. – Vuolsi così colà dove si puote Ciò che si vuole. Dante.

Talora tien le veci di costà, specialmente nelle frasi Chi è là? Chi è laggiù? Chi picchia laggiù, ecc. quando parliamo a persona che non si vede. Pervenuti a casa d’Arriguccio ed entrati dentro, cominciarono a salir le scale. Li quali (i quali) Monna Sismonda sentendo venire, disse: chi è là? Boccaccio. – O anima che se’ laggiù nascosta ecc. Dante.

Le frasi correlative qua e , qua e colà, in qua e in là, di qua e di là valgono mutamento di luogo in generale, come a dire in diverse parti. – Ritorna a casa e qua e là si lagna. Dante. – Di qua, di là, di su, di giù li mena. Dante. – Non faceva altro che voltare il capo or qua ora colà. G. Gozzi. – Allora dura il giuoco quando ella (la palla) tra le mani dell’uno e dell’altro va or di qua e ora di là. Varchi.

§ 7. Questo qui, quello là ecc. Le particelle locali sopra indicate si pospongono sovente ai corrispondenti pronomi dimostrativi locali, per segnare con più precisione il sito, dove una cosa si trova: dicesi per tanto questo qui o qua, questa qui o qua ecc. ovvero, frapponendovi il nome, questo libro qui, questa casa qua; cotesto costi o costà; quello lì o , quell’uomo là ecc. ecc. (non colà in questi casi). Bisogna però avvertire d’usar questi modi soltanto quando la cosa indicata è materialmente presente a noi, non già quando trovasi solo davanti al pensiero, poichè non si direbbe bene, dopo aver parlato d’un fatto, d’un opinione, d’una cosa soltanto pensata, questo qui, quello là. Non si suole nemmeno usare questo costrutto con pronomi esclusivamente personali, p. es. questi qui, costei qua, colei là, ma soltanto con pronomi di cosa, posto pure che si riferiscano a persona. – Questi ligustri qui, questi amaranti Ti diè pur dianzi il tuo vicin Fileno. V. Martelli. – È questo qua il mio figliuolo? Egli è desso. Cecchi.

[Nell’uso fiorentino dicesi anche: questo ch’è qui, quello ch’è o . P. es. Io già serviva voi altri, ed ora questo famiglio ch’è qui, serve me e governa questo cavallo. Vasari.] [Correzione nelle Giunte p. 490 Red.]

Anche dopo ecco si usano dimostrativamente qui e qua, costì ecc. e ecc. – Ecco qua i frutti della vostra lunga pazienza! Segneri. – Ecco qui Stazio, ed io lui chiamo e prego. Dante. – Ecco là quello che tu cercavi. Dicesi parimente: eccolo qui, eccolo là, eccolo costà ecc.

§ 8. Ivi e quivi (usati solamente nelle scritture) differiscono da li e perchè denotano un luogo già prima indicato e conosciuto. Poco differiscono tra di loro, se non che quivi è più frequentemente usato, che ivi. Avvegnachè si muova (l’acqua) bruna bruna sotto l’ombra perpetua che mai Raggiar non lascia sole ivi nè luna. Dante. – Dov’è l’amore e ’l piacere, ivi va l’occhio. Passavanti. – Quantunque quivi (in campagna) così muojano i lavoratori, come qui fanno i cittadini; v’è tanto minore il dispiacere ecc. Boccaccio. – Ma guardate Signor, che ivi è teso Fra l’erbette leggiadre un laccio adorno. Montemagno. – Venne a Gerusalemme e quivi accolta Fu dal tiranno del paese ebreo. Tasso.

Indi, quindi e quinci valgono di lì, di là ecc. ma si adoperano più spesso come congiunzioni, che come avverbii. Vedi il cap. delle congiunzioni.

§ 9. Avverbii locali con preposizioni. Gli avverbii locali possono esser preceduti dalle preposiz. di e per. Volendosi di qui partire. Boccaccio. – Non sento io di costà il compare. Boccaccio. – Colui che attende là per qui mi mena. Dante. – La prep. in non può precedere altro che qua, costà, e ; nè certo si direbbe in qui, in costì, in lì. Le prep. da ed a non si adoperano con tali avverbii se non quando si vuol significare uno spazio di tempo o di luogo circoscritto fra due termini, come da qui in su, da qui a pochi dì, da qua a là, da indi in su, da ivi a pochi giorni ecc. Risplendendo da qui a là spessi lampi. ecc. Serdonati. – Da indi in là si va per acqua. Boccaccio.

Qui, qua e di qua talora significano, figuratamente, in questa vita o in questo mondo; e e di là, nell’altra vita o nell’altro mondo. Disciolta di quel velo Che qui fece ombra al fior degli anni suoi. Petrarca. – Mai veder lei Di qua non spero, e l’aspettar m’è noja. Petrarca. – Questi cose giovano molto a quei di là. Boccaccio. – Quindi la frase esser più di là che di qua per esser più morto che vivo, o vicino alla morte. Innamorato un par mio, che sono Più di là che di qua? Salviati.

Quanto all’uso temporale di questi e d’altri avverbii locali, vedi più oltre.

§ 10. Forme enclitiche degli avverbii locali. Quando le circostanza di luogo non si debbano porre molto in rilievo, ma vogliasi invece far notare il verbo che vi si riferisce, adopransi le forme enclitiche seguenti:

ci o vi = qui, costì, , quivi ecc.;

ne = di qui, di costì, di là, di quivi.

Ci si può usare dappertutto: vi è solo delle scritture, e si adopera invece di ci, quando l’orecchio o l’eleganza lo consiglino, ma non può far le veci dell’avverbio qui. Misero te se l’Orco ti ci coglie (ti coglie qui). Ariosto. – Acciocchè non paja Che tu ci sii .... giù t’acquatta. Dante. – Non vorrei che voi guardaste perch’io sia in casa di questi usurieri (usuraj): io non ci ho a far nulla, anzi ci era venuto per ammonirli. Boccaccio. – Sì tardi vi giunse, che essendo le porte serrate e i ponti levati, entrar non vi potè. Boccaccio. – In Firenze si parla oggi manco (meno) bene che non vi si parlava nel tempo del Boccaccio. Salviati. – Gli uomini non si mantengono mai nelle difficoltà, se da una necessità non vi sono mantenuti. Machiavelli. – Se in Firenze non vi saranno maestri determinati, manderò a fare i rami a Bologna. Redi. – Evvi alcuno tra voi, il quale sia vago di ascendere a tanta gloria? Segneri.

Ci si trova usato pleonasticamente coi verbi nascere, vivere ed altri per indicare in questo mondo. Natural ragione è di ciascuno che ci nasce, la sua vita .... conservare e difendere. Boccaccio. – Sempre che tu ci viverai ecc. Boccaccio. – Non bisognava venirci sì presto. Cecchi. – Quanto ai modi Vi è, ci è, vi ha, ci ha, ci vuole, ci va, ci corre ecc. vedi addietro cap. XXIV, § 3.

Vederci, sentirci si usa comunemente per aver la vista, aver l’udito. – Non ci vede di qui a lì. Magalotti.

§ 11. Ne si usa con verbi di moto. Uscinne mai alcuno (uscì di qui)? Dante. – Al bosco Corse Diana ed Elice caccionne (di là, dal bosco). Dante.

Invece di ne si trova adoprato anche ci; Trasseci (trassene) l’ombra del primo parente. Dante. – Ella tosto serrò l’uscio com’io ci uscii. Boccaccio. – E si usa anche nel parlar familiare.

Ne unito colle particelle riflessive (me, ne ecc.) suol usarsi con verbi di moto per indicar chiaramente la partenza da un luogo: andarsene, fuggirsene, valgono quanto andar via, fuggir via; p. es. Me ne vado da questa casa. Il tale se n’è fuggito. Si usa pure con altri verbi non di moto p. es. me ne sto quieto, te ne vivi felice. Vedi addietro cap. XXIII, § 4.

Nello stile più elegante e nel verso si può usare anche il semplice ne senza necessità, a guisa di pleonasmo. Là tornati con una tavola, su v’acconciarono la fante, ed alla casa ne la portarono. Boccaccio. – Il ronzino, sentendosi pugnere, correndo Per quella selva ne la portava (quasi la portava via). Boccaccio. – E così spesso con andare. – Comperò un grandissimo legno, e andonne (andò) con esso in Cipri. Boccaccio. – Reputo opportuno di mutarci di qui e andarne (andare) altrove. Ciò pure con altri verbi non di moto: Al primo spuntare del giorno ne lo (il gherofano) traeva fuori della sua capannetta e .... con purissima e fresca acqua ne lo ristorava. G. Gozzi.

§ 12. Enclitiche avverbiali invece dei pronomi. Queste medesime particelle enclitiche si adoprano anche spessissimo, or sole ora unite colle pronominali per indicare relazioni che coi nomi e pronomi vengono indicate dalle preposizioni a, in, con, su, di, da, premesse ai nomi e pronomi stessi.

Ci o vi comprende il senso di a, in, con, su secondo i diversi verbi. Non che alcuna donna, quando fatta fu questa legge, ci (ad essa) prestasse consentimento ecc. Boccaccio. – L’opera nostra potrà essere andata di modo che noi ci troveremo, con l’ajuto di Dio, buon compenso. Boccaccio. – I guai vengono spesso, perchè ci (ad essi) si è dato cagione. Manzoni. – L’ambasciatore veneziano è sul placare il Papa, e per ancora non ci (a questa cosa) ha trovato stiva. Machiavelli. – Ella dice d’andare a questo Gesù e s’ella ci va (cioè, nel luogo dove egli è), egli ci caccerà incontinente da lei. Vita di S. Maddalena. – Si trovano molti principi che ci peccano (peccano in questa cosa). Machiavelli. – Ci voglio durar fatica (in questa cosa). Boccaccio. – Queste parole .... senza rispondervi alcuna cosa, ascoltai con grave animo. Boccaccio. – Essendo Pisa anticamente terra d’imperio pareva non appartenesse ad altri che a Cesare la cognizione delle ragioni di quelli che vi (a quella) pretendevano. Guicciardini.

§ 13. Come apparisce da questi esempii e dagli altri che potremmo portare, la part. ci usata in senso pronominale ha, conforme al suo primo significato locale, un valore indeterminato e che s’accosta al neutro. Differisce quindi assai dalle forme determinate personali gli, le, loro (per a lui, a lei, a loro), nè si può sostituire a quelle; ond’è improprio ed erroneo l’uso di quei dialetti italiani che adoprano ci dove si richiede gli o loro riferito a persone, od a cose riguardate come persone o ad animali; p. es. vidi Pietro e ci dissi che venisse da me: salutai la sorella e ci diedi la lettera: parlai co’ servi e ci mostrai l’ordine vostro: Signore, non ce lo dico per burla: vidi un cane e ci buttai un osso.

Nelle frasi pensarci, rifletterci nel senso di pensare ad alcuno ecc. il ci non corrisponde a gli: infatti non si direbbe pensargli, nè riflettergli. Pensi tu a lui? Ci penso (non si direbbe gli penso). Nelle frasi parlarci (parlar con alcuno), affezionarcisi (affezionarsi ad alcuno), innamorarcisi (innamorarsi di alcuno) il ci non corrisponde a gli, ma racchiude il senso d’una certa unione e comunanza locale (parlar con alcuno, prendere affezione con alcuno, ben differente da affezionarsegli, cioè divenire affezionato ad alcuno). Nelle frasi sperarci, confidarci e sim. (sperare in alcuno) ognun vede che il ci non ha che far nulla con glileloro. Accostarcisi non è accostarsi ad una persona, ma al luogo dov’essa si trova, e differisce quindi da accostarglisi od accostarlesi; e lo stesso si dica dei casi simili. Quindi resta provato che tali e simili usi toscani non hanno nulla di comune col barbaro ci per gli personale, che abbiamo condannato.

§ 14. Ne comprende il senso di da o di con un pronome dimostrativo. Il porco ferito gli dà di ciuffo alla gamba, e quanto ne (di essa) prese, tanto ne levò. Sacchetti. – Udì la signora le parole, e se ne compiacque. G. Gozzi. – Quelli che vanno dicendo a sè stessi che la virtù è un nome vano, non ne (di ciò) sono veramente persuasi. Manzoni. – Si trovò nelle mani del frate chirurgo (i cappuccini ne [di quelli] avevano ordinariamente uno in ogni convento). Manzoni. – Che noja mi dà costei! liberiamocene (da lei). Manzoni. – Fece chiamare il guardiano e gli manifestò il suo desiderio. N’ebbe (da lui) in risposta ecc. Manzoni. – S’egli sapesse lavorar l’orto e volesseci rimanere, io mi credo che noi ne (di lui) avremmo assai buon servigio, perciocchè egli .... è forte e potrebbene l’uomo fare ciò che volesse. Boccaccio. – E se cosi v’aggrada, a brano a brano Mi laniate e ne (di me) fate esca a’ pesci. Caro.

Quanto alla duplicazione dei complementi per mezzo delle particelle avverbiali, vedi la Parte II [cap. III § 39 Red.].

§ 15. Gli avverbii dimostrativi locali si adoprano anche in senso temporale, passano cioè molte volte a significare il tempo. Tra gli altri valorosi cavalieri che da gran tempo in qua sono stati nella nostra città, fu uno di quelli .... Ruggieri de’ Figiovanni. Boccaccio. – E qui Niso, o Signor, disse, di tanto Guiderdonate i perditori. Caro. – Qui disse il vecchio Anchise ecc. Caro. – Averete .... caro quanto sin qui (sino ad ora) ho scritto sopra la volgar lingua. Bembo. – Una sua sorella giovinetta gli diè per moglie, e quindi gli disse. Boccaccio. – Può francamente andare in là cogli anni. Lippi. – Nè vivrei già, se chi tra bella e onesta Qual fu più lasciò in dubbio, non sì presta Fosse al mio scampoverso l’aurora. Petrarca. – In fino anon fu alcuna cosa Che mi legasse. Petrarca. – Si dice esser lì lì o star li li per fare una cosa, nel senso di esser sul punto di farla; e così pure lì per lì nel senso di, in un punto medesimo, all’improvviso.

Si adoprano pure in senso pronominale da potersi rendere con questa cosa, quella cosa ecc. preceduta da preposizione. Qui (su questa cosa) non resta da dire al presente altro. Boccaccio. – Il caso è qui (in queste condizioni). Cecchi. Bella cosa è in ogni parte saper per ben parlare, ma io la reputo bellissima quivi saperlo fare, dove la necessità lo richiede. Boccaccio. – Io non pensavo costì (a cotesta cosa). Ambra. – Sin a costì sapevo. Cecchi. – E strinse il cor d’un laccio si possente, Che morte sola fa ch’indi lo snodi. Petrarca.

§ 16. Sono correlativi fra di loro, indicano cioè i due termini in relazione reciproca i seguenti avverbii locali, qui, o ; qua, ; , ; qui, quivi; quinci e quindi; su, giù ecc. Di qua, di là, di su, di giù li mena. Dante. – Stanco già di mirar, non sazio ancora Or quinci, or quindi mi volgea. Petrarca. – Molto è lecitoche qui non lece (è lecito). Dante. – Andato parecchie volte di giù in su per la piazza di San Giovanni ecc. Belcari.

§ 17. Talora l’avverbio locale dà al verbo con cui si unisce un significato tutto speciale, che potrebbe esprimersi con altro verbo, come nelle frasi dir su per parlare o recitare, star là per aspettare, mandar giù per inghiottire, por giù per deporre, andar via per partire, mandar via per licenziare e sim. Tu faresti meglio a segnarti e dir su qualche orazione. Grossi. – Pose giù l’arme senza fare battaglia. Cronichette antiche.

Ciò si fa anche con altri avverbii; p. es. far presto per affrettarsi. Io ti aspetto, ma bada, fa’ presto.

§ 18. Avverbii dimostrativi determinati. Tanto di questi avverbii, quanto degli altri non faremo una lunga rassegna, ma ci ristringeremo ad alcuni, l’uso de’ quali può offrire maggiore difficoltà. Al rimanente basterà il vocabolario. – Così e avverbii dimostrativi determinati di maniera corrispondono ai pronomi dimostrativi di qualità o quantità (tale, tanto ecc.). Stanno in corrispondenza il primo più comunemente coll’avv. come, il secondo più spesso con che (ma nelle comparazioni preferisce anch’esso come). Così esprime più spiccatamente la maniera o il modo: e si usa più spesso dinanzi ad un aggettivo o ad un altro avverbio, p. es. così bello, così bene ecc.: serve piuttosto a notare una relazione fra due idee. Così la madre al figlio par superba Com’ella parve a me. Dante. – Sì macerò il suo fiero appetito, che libero rimase da tal passione. Boccaccio. – Se ne tornarono di là dall’Alpi, sì per non rimanere in preda all’emulo suo, come per commuovere nuovamente l’imperadore. Giambullari. – Secondo questo dotto la morte è così conaune al corpo che all’anima. Adriani il G. – Invece di come può ripetersi il . Fu il più savio re che fosse tra’ Cristiani, sì di senno naturale, sì di scienza. G. Villani. (Ciò non si farebbe coll’avv. così). – Far sì che ecc. vale fare in modo che ecc. (non si direbbe far così che).

§ 19. Come tale (cap. IX, § 12) si usa anche così in senso indeterminato. Opera naturale è ch’uom favella, Ma così o così (in tale o tal altro modo) natura lascia Poi fare a voi ecc. Dante. – Non dicestu (dicesti tu) così e così al prete che ti confessava (in tale e tal modo?) Boccaccio. – Arrossì così un poco. Firenzuola. – Nel parlar familiare così, così vale anche, mediocremente, poco bene, p. es. Come la fate voi? (come state?) Così, così. – È pure indeterminato l’uso di così nel senso di a un dipresso, all’incirca. Falci fienaje, marroni .... per ricidere, lunghi due braccia o così. Palladio, Agric. – Io ho sessantaquattro anni o così. Fagiuoli.

Così detto vale quello che chiamano così: nè si potrebbe usare sì detto in tal senso. – Nel luogo, così detto, del Bottegone ecc.

§ 20. Avverbii dimostrativi indeterminati. Fra i dimostrativi indeterminati di tempo devesi fare qualche osservazione sull’avverbio mai. Esso significa propriamente alcuna volta, ma ha senso di mezza negazione: quindi o deve esser preceduto da un avverbio negativo (non, ), o può lasciarlo, ma allora deve essere anteposto al suo verbo. Se tu digiuni, io non mangio mai; se tu vegghi (vegli), io mai non dormo. Passavanti. – I Perugini per loro alterigia mai si vollero dichinare (inchinare) ad alcuno accordo. Villani. – Gli avari mai sono lieti. Pandolfini.

Nelle proposizioni interrogative o dubitative od esclamative l’avverbio mai si aggiunge per energia. (Cfr. addietro, P. I, cap. XII, § 25). Chi mai sarà? Niccolini. – Dove mai si va a ficcare il diritto? Manzoni. – Quanti mai che invidia fanno Ci farebbero pietà! Metastasio. – Stava attento attento, se mai il funesto rumore s’affievolisse. Manzoni.

§ 21. Giammai (già mai) è più frequente in poesia che in prosa, ha più forza di mai, e calca meglio la durata del tempo: del resto soggiace alle stesse regole date per l’avverbio semplice. A chiesa non usava giammai, Boccaccio. – E fatto ghiotto del suo dolce aspetto Giammai gli occhi dagli occhi levar puòlle. Poliziano.

§ 22. Avverbi relativi ed interrogativi. Gli avverbii relativi corrispondono agli avverbii dimostrativi qui, quivi, costì, , ora, allora ecc. così ecc. che si esprimono solo quando prema porli in vista, altrimenti si omettono, e si omettono poi sempre quando i relativi prendono senso interrogativo, dubitativo od esclamativo. Percosse L’impeto suo più vivamente quivi Dove le resistenze eran più grosse. Dante. – Dove meno era di forze, quivi più avara fu di sostegno. Boccaccio. – Torno dov’arder vidi le faville (cioè là dove). Petrarca. – Ov’è ora l’amore a me mostrato? Boccaccio. – Dov’è il timor di Dio? Manzoni. – Essa piacevolmente donde fossero e dove andassero li domandò. Boccaccio.

Talora si esprimono, anche senza necessità, gli avverbii dimostrativi. Ahi Pisa vituperio delle genti Del bel paese là dove il sì suona! Dante. – Arrivata là dove Ercole era, gli disse ecc. Leopardi. – – Si sogliono per altro esprimere quando indicano una direzione diversa da quella che il relativo significa; p. es. io vado là onde tu vieni. Tu vai là donde io sono partito ( indica moto a luogo, donde moto da luogo). – È frequente l’uso di allorquando (allora quando) invece del semplice quando. Allorquando io credea viver sicuro Più feroce che pria (prima) m’assali e pungi. Petrarca.

§ 23. Fra ove e dove come fra onde e donde non vi ha, in senso locale, alcuna differenza di significato, ma si preferisce or l’uno or l’altro secondo che suggerisce l’orecchio: sono però più frequenti dove e donde.

Di dove vale quanto donde, e nell’uso vivo si ode sempre invece di quest’ultimo; p. es. di dove vieni? Raro è l’uso di da dove. Non si usa in dove. A dove soltanto in qualche frase per indicare un’estensione di termine, p. es. di qui a dove tu sei; o dopo fino: fino a dove tu andasti.

Dovunque (ovunque) (cfr. addietro, cap. XII, § 24) vale da per tutto dove, in ogni luogo dove. Dovunque io son, di e notte si sospira. Petrarca. – L’Eccellenza Vostra non cessa di favorire ed esaltare ogni sorta di virtù dovunque ella si trova. Vasari. Nell’uso moderno si scrive anche dovunque pel semplice da per tutto; p. es. Dio è dovunque.

§ 24. Come è la forma relativa corrispondente a così. (Vedi qui sopra, § 18).

Si adopera anche in senso temporale. Come (appena) vide Andreuccio, affettuosamente corse ad abbracciarlo. Boccaccio. – Come (quando) libero fui da tutte quante Quell’ombre, incominciai ecc. Dante.

In questo senso dicesi anche come prima. Ella come prima (appena che) ebbe agio, fece a Salabaetto grandissima festa. Boccaccio.

Si adopera invece della congiunz. che in principio d’una proposizione soggettiva od oggettiva. Padre del ciel ecc. Rammenta lor com’oggi fosti in croce. Petrarca. – Non bastò questa prima nuova, chè venne la seconda, com’egli (che egli) era morto. Segni. (Vedi Parte II [cap. V § 7 Red.]).

A come, di come sono locuzioni abbreviate per dire al modo o nel modo col quale; del modo col quale ecc. Vedi più sotto.

§ 25. Come interrogativo vale perchè, in qual modo? e indica maraviglia. Come non fai tu festa a Tedaldo? Boccaccio. – Io non so come io non ti uccido, ladro disleale, che ti fuggivi col mio. Boccaccio.

Quindi anche passa ad esprimere in modo ammirativo un grado straordinario d’una qualità, pari all’avverbio quanto. Amico, or vedi Com’io son bella. Petrarca. – Deh come ben facesti a venirtene! Boccaccio.

Comunque vale in ogni modo in cui, in qualunque modo. Egli s’acconcerà comunque noi vorremo. Boccaccio. – Comunque sia vale comunque vada la cosa, checchè avvenga. – L’uso del semplice comunque in questo senso è un neologismo da schivarsi.

§ 26. Avverbii relativi invece de’ pronomi. Anche gli avverbii relativi si adoprano spesso invece de’ pronomi relativi corrispondenti, riferiti cioè ad un sostantivo. Dove, onde ecc. invece di nel quale, col quale ecc. Arriverà Ella a quella Partenope, ove riposano le ceneri di Virgilio. Ganganelli. – In quella parte dov’Amor mi sprona Convien ch’io volga le dogliose rime. Petrarca.

Donde (da che cosa) hai tu il vestire e il mangiare? Storia Barlaam. – La civiltà è un patrimonio, onde (di cui) molti partecipano inegualmente. Gioberti. – Per lo spiraglio donde (da cui) era entrato, se n’uscì fuori. Boccaccio. – Il terzo richiedemi il debito, e io non ho onde (di che) lo possa soddisfare. Cavalca. – L’anima gloriosa, onde (di cui) si parla. Dante. – Moversi per lo raggio, onde (con cui) si lista Talvolta l’ombra. Dante.

Quando nel senso di in cui o che; p. es. il giorno quando arrivai ecc.

Come invece di quale, nel quale, col quale ecc. Com’è il vostro nome? .... Vostro marito come ha nome (qual nome ha non si direbbe). Sacchetti. – Riservata com’era (qual’era) .... non aveva mai detta una parola. Manzoni. – Piccolo come sono non ho mai sentito il bisogno di alzarmi sulle rovine di chicchessia. Monti. (Cfr. indietro, cap. XII, § 3). – Non sono d’accordo nel determinare il modo, come (col quale) questi insetti vengano generati. Redi. – Io voglio andare a trovar modo come tu esca di qua. Boccaccio:

nel senso di in qual modo, dopo i verbi dichiarativi. A vedere come (in qual modo, in qual senso) Aristotile è maestro della natura umana .... si conviene sapere ecc. Dante. – Quindi nei titoli delle narrazioni, sottinteso od espresso si narra, si conta. Come i Turchi furono sconfitti in mare da galee della Chiesa. G. Villani

colle prepos. a e di. A come se ne mostra amorevole, par che voglia emendare quest’errore. Fagiuoli. – Io distenderò una memoria o sia istruzione, di come sarebbe bene incamminarsi per andare uniti. C. Dati.

Perchè vale spesso pel quale, per la quale, pe’ quali. Vedi ’l mio amore e quella pura fede, Perch’io (per la quale io) tante versai lagrime e inchiostro. Petrarca. – Le cagioni gli mostrò perchè (per le quali) quella maniera .... tenuta avesse. Boccaccio.

§ 27. Avverbii relativi in senso dimostrativo indeterminato. Alcuni avverbii relativi usati in modo partitivo prendono senso dimostrativo. (Cfr. addietro, cap. XII, § 5). Quello spazio era tutt’ingombro, dove (qua) di capanne e di baracche, dove (1à) di carri, dove (altrove) di gente. Manzoni. – I Romani non faceano più consoli, e in cambio di quelli con la medesima autorità faceano quando (talora) uno, quando più senatori. Machiavelli. Così dicesi: di quando in quando e a quando a quando. Trapelava di quando in quando (di tanto in tanto) un raggio di sole. Foscolo. – Io guardava a’ loro ed a’ miei passi Compartendo la vista a quando a quando. Dante. – S’accorsero d’un certo insensibil bollore, che di quando in quando appariva. Magalotti.

Quanto all’ellissi d’una proposizione dopo avverbii e pronomi relativi vedi la Parte II [probab. cap. VII § 19 Red.].

§ 28. Avverbii quantitativi puri. (Vedi addietro, cap. XI, § 6, 7, 8). Più e meno, avverbii di lor natura comparativi, si adoprano anche come superlativi Ti manda questo per consolarti di quella cosa che tu più ami (che ami su tutte l’altre). Boccaccio. – Ottenne ciò che più gli premeva. Manzoni. – Di quel ch’io men (menomamente) vorrei Piena trovi quest’aspra e breve via. Petrarca. (Cfr. addietro, cap. III, § 4).

Più che .... più in correlazione valgono quanto più .... tanto più. Un artefice più che sarà eccellente, più basso concetto avrà di sè. Leopardi. Non è molto regolare l’uso di più .... più. Più ne separa l’onda sorgente Più mi sei cara, o patria mia. Carrer.

§ 29. Meno prende talora senso negativo, e vale non. Essendo questa gentildonna stimolata da ambasciate di costoro, ed avendo ella ad esse men saviamente gli orecchi porti, le venne un pensiero. Boccaccio. Più spesso però si usa in questo senso men che. Parendogli fare men che bene (non bene) ecc. Boccaccio. – Quivi era men che notte e men che giorno – (non era nè notte nè giorno). Dante.

Ciò altresì nelle frasi far di meno per far senza di qualche cosa; aver meno per non avere; venir meno per mancare; ed altre simili. Assai avemo (abbiamo) detto sopra i processi .... del Duca d’Atene, e non si potea fair di meno (non farlo). G. Villani. – La bestia ha quattro gambe: se n’avesse meno una, ancor si sosterrebbe. Fra Giordano. – Tre mila e trecento scudi mi troverò meno. Lasca. – Io sentia dentro al cor già venir meno Gli spirti ecc. Petrarca. È frequente nell’uso moderno: fare a meno di una cosa o di fare una cosa, per astenersi dal farla; p. es. Non potei fare a meno di dirgli schiettamente il mio parere. – Modi erronei sono: non potere a meno di far qualche cosa: a meno che, meno che, per eccetto, fuorchè: meno per no; p. es. scrivimi se si possa o meno.

§ 30. Assai può avere doppio significato; più spesso nell’uso moderno indica una quantità sufficiente e vale abbastanza. Non pianger più; non hai tu pianto assai? Petrarca. – Poi che rinfrescossì E le fu avviso esser posata assai, In certi drappi rozzi avviluppossi. Ariosto. Altre volte piglia elegantemente il senso di molto. Anima, assai ringraziar dèi (devi) Che fosti a tanto onor degnata allora. Petrarca. – Assai sobrii vorrei che andassimo nelle etimologie. Magalotti. In corrispondenza di poco: Vostra usanza è di mandare ogni anno a’ poveri del vostro grano, chi poco e chi assai. Boccaccio.

Sono comunissimi nel parlar vivo i modi: sapere assai, importare assai in senso ironico, per dire saper o importare poco o nulla; p. es. So assai di algebra io! m’importa assai de’ fatti loro!

§ 31. Troppo assume talora il senso di molto, ma quasi soltanto con aggettivi o avverbii comparativi. Egli è troppo più malvagio, ch’egli non s’avvisa. Boccaccio. – Or mi diletta Troppo di pianger più che di parlare. Dante: ovvero si adopera in senso di davvero per indicare un certo rammarico (più spesso pur troppo). La qual cosa veggendo, troppo s’avvisarono ciò che era. Boccaccio. – Queste qualità di opere, pur troppo comuni ai teatri moderni .... prendo io a ferire nell’odierno ragionamento. Segneri.

Troppo in corrispondenza di per puzza di francesismo. Era troppo fine ed accorto Alessandro per aver a credere da senno questa menzogna. A. M. Salvini.

Affatto vale interamente, del tutto e si adopera così in proposizioni affermative come in negative. Amor s’ingegna Ch’io mora (muoja) affatto. Petrarca. – Questo nome non è senza mistero affatto. Salviati. È modo erroneo affatto in senso negativo per punto, p. es. Ti darei de’ denari, ma non ne ho affatto.

§ 32. Avverbii negativi. Siccome questi avverbii hanno il loro uso molto strettamente collegato colle varie proposizioni, in cui si trovano, così ci riserbiamo di parlarne in concreto nella P. II, considerandoli appunto dentro le proposizioni.

§ 33. Geminazione degli avverbii. Molti avverbii (non relativi nè interrogativi) possono aumentare il proprio significato per mezzo della geminazione (cfr. addietro, cap. III, § 9); p. es. lì lì, su su, giù giù, laggiù laggiù, ora ora, adesso adesso, allora allora, tosto tosto, subito subito, già già, po’ poi, sempre sempre, mai mai, spesso spesso, presto presto, tardi tardi, quasi quasi, forse forse, molto molto, poco poco, più e più, assai assai, affatto afflitto, punto punto, nulla nulla, niente niente. Così pure gli avverbii aggettivali, p. es. pian piano, forte forte, ecc. ma di rado, per la loro lunghezza, quelli finiti in mente; p. es. lentamente lentamente, attentamente attentamente ecc.; così ancora le frasi avverbiali, p. es. a modo a modo, in fretta in fretta. Il sole già già toccava la cima del monte. Manzoni. – Fu quasi quasi per abbandonar l’intrapresa. Manzoni. – Prendendo la campagna lento lento. Dante. – Altro è pregare come or or si diceva, ed altro è intercedere. Segneri. – Vatti a riporre, se tu non vuoi esperimentare le mie forze adesso adesso. Firenzuola. – State di buona voglia, che io son certo di servirvi ad ogni modo e tosto tosto. Ambra. – Le farò stampare ad ogni modo anche a vostro dispetto, perchè po’ poi, se ve ne adirate, che nascerà? Bellini. – Dell’aria più e più sempre guadagna. Ariosto. – S’incomminò in fretta in fretta al convento. Manzoni.

§ 34. Frasi avverbiali. Le frasi avverbiali sono complementi, per lo più, di modo e guisa, che fanno lo stesso ufficio dei semplici avverbii. Così, p. es. in breve equivale a brevemente; per forza, a forzatamente; a capriccio, a capricciosamente; alla soldatesca, a soldatescamente. Quindi ci riserbiamo di darne esempli, quando tratteremo degli altri complementi simili che determinano un nome od un verbo. Qui soltanto meritano special menzione quelle che si formano colla stessa parola geminata, ora sola, ora con preposizioni ed hanno per lo più senso partitivo e distributivo. Senza preposizione: bel bello, testa testa, passo passo, man mano, lemme lemme, terra terra (per rasente a terra), ecc. ed altri formati dall’imperativo de’ verbi (cfr. addietro, cap. XV, § 4) p. es. tira tira, aspetta aspetta, dagli dagli, picchia picchia nel senso di a forza di tirare, di aspettare, di battere ecc. Colla preposizione (a deve anch’essa geminarsi): a poco a poco, a mano a mano, a grado a grado, a corpo a corpo, a testa a testa, a faccia a faccia, a muro a muro, a uscio a uscio, ad oncia ad oncia, a solo a solo (anche da solo a solo), ad ora ad ora, a quando a quando, a parte a parte, d’ora in ora, di quando in quando, oltre alle frasi di luogo in luogo, di mano in mano, a schiera a schiera, a suolo a suolo e tante altre simili che posson formarsi quasi con ogni nome.

Esempii misti. Andavano bel bello (adagio) senza volersi straccare. Zibaldone Andreini. – Dietro le vo pur così passo passo. Petrarca. – Si separarono come se a tutt’e due pesasse di rimaner lì testa testa. Manzoni. – Terra terra sen va tra rive e scogli Umilmente volando. Caro. – Proviamo amendui (ambedue) a corpo a corpo la nostra fortuna. Segni. – Renzo avrebbe voluto fissare a parte a parte (particolarmente) quello che si doveva fare il giorno dopo. Manzoni. – A mano a mano io sarò la pietra dello scandalo. Firenzuola. – Così presto gli piaccia Ch’io lo possa godere a faccia a faccia. T. Tasso. – Il perduto valore d’Italia cominciò largamente a farsi conoscere e a dimostrarsi di mano in mano. Giambullari. – Di mano in mano che ella (l’acqua) s’andrà riscaldando ecc. quelle palline saranno le prime a muoversi. Cimento.


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