Giovedì 12 luglio 2002    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

CAPITOLO VII

Forme della proposizione in generale.

§ 1. La proposizione in generale, di qualunque specie essa sia, può assumere tre forme diverse, secondochè esprime un giudizio in senso affermativo, o in senso negativo, o in senso interrogativo e dubitativo. Daremo pertanto alcune avvertenze speciali secondo che le proposizioni hanno l’una o l’altra di tali forme, e però dobbiamo in questo capitolo trattare: 1º della forma affermativa; 2º della negativa; 3º della interrogativa.

§ 2. Forma affermativa. La proposizione affermativa è costituita dal semplice verbo o predicato, non accompagnato cioè da voci nè di senso negativo, nè di senso interrogativo; p. es. io leggo; l’uomo è ragionevole. La proposizione affermativa si rinforza talvolta facendola subordinata a un’altra proposizione formata con un verbo di significato generalissimo (essere, avvenire, accadere e sim.); p. es. invece di dire io leggo, posso dire, avviene ch’io leggo, gli è ch’io leggo. Quando avvien che un zeffiretto Per diletto Bagni il piè nell’onde chiare ecc. Chiabrera. – S’egli è che sì la destra costa giaccia, Che noi possiam nell’altra bolgia scendere, Noi fuggirem l’immaginata caccia. Dante.

§ 3. Se poi preme di porre in ispecial rilievo il soggetto della proposizione per indicare che quello, e non un altro, fa l’azione, il soggetto della subordinata diventa soggetto della proposizione principale, col verbo essere. Io son che il feci; io son che questa frode Ho prima ordito. Caro. – Siete pur voi che parlavate dai palchi così arditamente. Segneri. – Tu sei che m’hai fatto il danno? tu pagalo. Segneri.

I Francesi fanno larghissimo uso di questo rinforzamento, estendendolo non solo al soggetto, ma anche all’oggetto e a’ complementi tutti quanti della proposizione, per mettere or l’uno or l’altro in maggior rilievo; p. es. è mio padre che ho oltraggiato, è così ch’io voglio fare, è a te che parlo, è di te che mi dolgo. Ma ciò è assai disforme dall’indole della nostra lingua, la quale deve in tali casi evitare il rinforzamento supplendovi colla costruzione inversa e con avverbii intensivi; p. es. mio padre ho io oltraggiato. Di te appunto io parlo ecc. o con una proposizione relativa Colui che ho oltraggiato è mio padre. Tu sei quello, di cui parlo.

È bensì lecito anche nella nostra lingua il rinforzamento con qualche avverbio di tempo. Allora fu che per lui fece stanar le fiere dal bosco. Segneri. – Fu allora che i ribelli appiccarono il fuoco alla porta. Bresciani. – Allora fu che scoppiò la montagna. Bartoli. Ed è pur lecito farlo, se in luogo della cong. che si mettono gli avverbii relat. quando, dove. Se si tratta di rimediare al male .... siamo affatto mutoli .... Allora è quando non ci vogliamo ingerire ne’ fatti d’altri. Segneri. Così può dirsi: fu quivi dov’io lo incontrai. Era là dove tutti accorrevano (sottintendendo il luogo, il sito o sito.). – Dove ( cioè, il luogo dove) il suo zelo poteva esercitarsi liberamente era in casa. Manzoni.

Tali rinforzamenti possono come ben s’intende, aver luogo anche nelle altre due forme della proposizione. Vedine un esempio P. II, cap. V, § 3 e un altro qui sopra § 3.

§ 4. Forma negativa. La proposizione negativa accompagna il verbo con parole di negazione, le quali possono essere avverbii o pronomi. Gli avverbii di negazione sono non e equivalente a e non, e i composti di questo, neppure, nemmeno, neanche e nelle proposizioni implicite e nei complementi la prep. senza. I pronomi negativi sono nessuno o niuno e nulla o niente. (Vedi P. I, cap. X, § 29 e seg.).

Non e hanno di per sè forza negativa, tanto se siano anteposti, quanto se siano posposti al verbo principale d’una proposizione; p. es. non voleva mangiare nè bere; posso non concedergli quello che desidera; non dico questo nè cotesto. Quindi se siano ripetuti (nè .... non, nè .... non) mutano il senso della proposizione di negativo in affermativo; p. es. non posso non farlo, nè vorrei, anche potendo, non farlo, che equivale a dire: debbo farlo e vorrei farlo. – Trovandomi, si può dire, alla foresta, non posso non essere esposto a tutti che mi vengono innanzi. Caro. Lo stesso avviene della prep. senza preceduta da non o . Non senza maraviglia (= con maraviglia) ho più volte considerato donde nasca un errore ecc. Castiglione.

§ 5. Gli altri avverbii negativi nemmeno ecc. e anche nè .... nè ecc. usate in modo correlativo, e così pure i pronomi nessuno, nulla, niente, conservano di per sè forza negativa, soltanto quando siano anteposti al verbo principale della proposizione; p. es. nè questo, nè quello mi piace; neppur questo fa per me; nessuno mi lusinga. – Nè anche dee spaventarvi il ricevere qualche mal termine. Segneri. – Ove siano posposti non fanno che continuare una negazione precedente, onde è necessario che il verbo sia accompagnato da non, , senza; p. es. non posso veder nissuno, nè trovar nulla di buono, nemmeno una minima cosa; partì senza dir nulla a nessuno. Non mi piacequesto, nè quello, non voglio neppur cotesto. – Dal non averemangiato, nè bevuto, nè dormito era indebolito. Lasca. – Non v’è più pace, nè in casafuor di casa. Segneri.

Conservare alla prop. la negazione assoluta non, quando le parole negative relative siano anteposte al verbo; (p. es. nessuno non potrà ecc. nulla non mi piace. Neppur questo non mi piace ecc.) è da ammettersi soltanto per ragioni di stile. – Nè tu, nè io non possiamo intendere la ragione. Leopardi.

Talora la cong. posta una volta sola basta a negare anche la parola che le antecede, senza altra negativa. Sua letterasua imbasciata più volli ricevere. Boccaccio. – Alcuno benefizioalcuna paura gli potè far dimenticare l’affezione che portava a Mess. Rinaldo. Machiavelli. Ma è modo di eccezione.

Invece di dopo un verbo preceduto da negazione si pone anche la. cong. disgiuntiva o; p. es. senza parlare o lamentarsi. Non volle mai leggere o scrivere. (Vedi P. I, cap. XXVII, § 4 in fine).

per neppure è oggi quasi affatto disusata. Se dell’aspra donzella il braccio è grave, Nè quel del cavalier nemico è lieve. Ariosto.

§ 6. Anche le negazioni relative si usano talvolta in senso assoluto, nei casi seguenti:

nelle risposte negative dove il verbo è taciuto; p. es. Hai nulla? Nulla. Hai visto nessuno? Nessuno.

quando nulla e niente sono usati come sostantivi nelle frasi ridurre a niente o in niente, aver una cosa per niente o per nulla, un uomo da niente, una cosa da nulla, ed anche nelle frasi esser nulla, esser niente (benchè si dica più spesso non esser nulla, niente). Mi pare che si procaccino di ridurre a nulla la cristiana religione. Boccaccio. – Perchè per ira hai voluto esser nulla? Dante. – Quanto potea s’ajutava, ma ciò era niente. Boccaccio. - L’universo era sepolto nel suo nulla. Segueri:

quando tali parole negative sono per una cong. disgiuntiva posposte a poco, molto, tutto e sim.; p. es. Ce n’era pochi o nessuni. Questo è poco o nulla. Dammene molti o nissuno. Io li voglio tutti o nissuno.

Fuori di questi casi non si adopererà tal licenza che qualche rara volta per ragioni di stile. Chi vide mai effetto di voler veder troppo, essere il veder nulla? Caro.

§ 7. Gli avverbii mai o giammai, guari, i pronomi alcuno e veruno, e le frasi che se ne posson formare (in alcun modo ecc.) fanno anch’essi da negazioni relative. (Vedi P. I, cap. X, § 21 e 29). Mai e giammai possono preporsi al verbo, anche senz’altra negazione (Vedi cap. XXV, § 20 e 21); ma alcuno e veruno regolarmente si pospongono. Pure alcuno si può talvolta anteporre, sempre però seguito dall’avverbio non. Alcun non (nessuno) può saper da chi sia amato, Quando felice in sulla rota siede. Ariosto. – Era sì bello il giardino e sì dilettevole, che alcuno non (nessuno) vi fu che eleggesse di quello uscire. Boccaccio. – Guari si usa per lo più dopo il verbo. Non v’andò guari, che Tiberio mandò Druso in Illiria. Davanzati.

§ 8. Rinforzamenti della proposizione negativa. La proposizione negativa può rinforzarsi in varii modi, oltre a quelli comuni colle altre proposizioni. (Vedi qui sopra, § 2 in fine):

con sostantivi d’ogni genere preceduti da un; p. es. non ha un boccone, non versa una lagrima, non vedo un albero (nel senso di neppure uno) ecc. (Vedi P. I, cap. X, § 2 in fine);

col sostantivo persona nel senso di alcuno o nissuno. Questo suo disegno non aveva ancora scoperto a persona., Machiavelli. – Vattene in casa e non aprire a persona. Lasca. – Con più forza ancora si dice nel parlar familiare: anima viva o anima vivente. Non incontrarono anima vivente. Manzoni;

con sostantivi (preceduti da un) indicanti cosa tenuissima, invece di nulla, o aleuna cosa: un’acca, un ette, un iota, un frullo, un fico ecc. e (senza un) cica; p. es. non vale un’acca, non manca un ette, non ne so cica, non me n’importa un frullo o un fico;

con sostantivi indicanti pure cosa piccolissima, ma posti a mo’ d’avverbio. Tali sono mica (propriam. una briciola) e punto. Son novelle, e vere, non son mica favole. Firenzuola. – La somma bontà del re cristianissimo non mi ha punto ingannato. Casa. – Senza punto pensare, disse questa novella. Boccaccio. – Punto nell’uso parlato, più che nelle scritture, è divenuto anche pronome, e si usa sempre in proposizione negativa o interrogativa; p. es. non ho punta voglia di lavorare. Non ho punti quattrini. Ne hai pochi o punti? Non ho punto pane. E con di partitivo. Non ho punto di pazienza. (Vedi P. I, cap. X, § 31).

§ 9. Anche nulla e niente assumono spesso senso avverbiale. E nulla sbigottisce. Tasso. – Niente si mosse. Boccaccio.

Anche l’avverbio già rafforza l’avverbio non, nè. Non già, come credi, Dicea, son cinta di terrena veste. Tasso.

§ 10. Subordinate in forma negativa. Molte volte una proposizione subordinata non negativa prende qualche voce negativa. Ciò avviene regolarmente:

quando una prop. soggettiva o oggettiva dipende da una principale di forma negativa. Non fa d’uopo che le diciate niente (alcuna cosa). Grossi;

nelle interrogazioni: O anima devota, hai tu nulla (qualche cosa) sopra coscienza? hai tu a soddisfare voto niuno? Lasca. – Salutatolo, il dimandò se egli si sentisse niente? Boccaccio;

nelle prop. condizionali., quando si aspetta o si sospetta una risposta negativa; p. es. se vi occorre nulla, comandate. Altrimenti si usa qualche cosa, e oggi sempre qualcuno. Se vien qualcuno, chiamatemi;

dopo senza che, prima che ecc. Stettero i nostri fuggitivi nel castello senza che accadesse nulla di straordinario. Manzoni. – Più mesi durò avanti che di ciò niuna (alcuna) persona s’accorgesse. Boccaccio. – Quanto bisogno abbiamo di fervente ricorso a lui (Dio) prima di risolverci a nulla! Segneri; nelle propos. comparative dopo che. (Anche qui più spesso alcuno o veruno che nessuno). Vedi P. I, cap. X, § 30.

Altre volte la proposizione subordinata prende l’avverbio negativo non. Ciò nei seguenti casi:

nelle proposizioni indicanti timore, sospetto ecc. o dopo i verbi guardarsi, impedire, non negare, mancar poco ecc. (Vedi al tutto P. II, cap. V, § 8 e 11);

nelle proposizioni comparative di grado disuguale. (Vedi P. II, cap. VI, § 20); nelle proposizioni temporali dopo prima che, fin che ecc. (Vedi P. II, cap. VI, § 6).

§ 11. Proposizioni negative in senso affermativo. Spesso si usa la forma negativa o per attenuare un’affermazione o, all’opposto, per rafforzarla escludendo qualunque altro caso fuori di quello affermato come vero e certo.

Per attenuare si adopera la doppia negativa, che, come dicevamo (vedi sopra, § 4), prende di sua natura senso affermativo. Non .... non, nè .... non, non .... senza. Un vivere senza travagli e non senza decoro. Giordani.

Per rafforzare si adoprano le forme non essere altro .... che, non .... che e sim. Commedia, per mio avviso, altro non è se non che una rappresentazione di qualche lieto avvenimento ecc. F. Zanotti. – Qualche composizione ecc. che venendo da te, non sarà che piena di leggiadria e di gentilezza. Menzini.

§ 12. Affermative e negative ristrette. Tanto la proposizione affermativa, quanto la negativa hanno nella nostra lingua un equivalente in un semplice monosillabo che in certi casi rafforza, ripetendola, la proposizione medesima. Essi sono (affine a così) per l’affermativa; no (apocope da non) per la negativa. Oltre ad usarsi nelle risposte (vedi questo capit. più oltre, § 16), si adoprano anche nei seguenti casi:

per raccogliere la forza dell’affermazione o della negazione in una parte della proposizione; nel qual caso l’avverbio si pospone alla parola da mettersi in maggior luce, e vi si appicca il resto della propos, mediante la cong. che. Orche mi pare che tu favelli fuor di proposito. Firenzuola. – Questache è nuova. Manzoni. Talora anche con no: questo no che noi voglio, lui no che non l’amo;

invece di ripetere in senso negativo una proposizione detta in senso affermativo. Spiò se potesse portare le ingiurie e trovando che no, disse ecc. Cavalca. – Io vi dirò quello ch’io avrò fatto e quel che no. Boccaccio;

nelle alternative. Oo no che Carlo gli credesse Non so. Berni. – Oror no s’intendon le parole. Dante. – Questo sollievo fu dato Un giorno sì, un giorno no. Pellico. Così diciamo sempre una porta sì, una no; un anno sì, un anno no. No usasi spesso anche in una prop. affermativa espressa; p. es. Volesse egli o no, gli toccò di farlo. – Potrai vedere se gli occhi miei si saranno turbati o no. Boccaccio. – Se io sia stato sin ora gastigato a bastanza o no, il rimetto alla pietosa considerazione di que’ principi. Tasso;

nelle prop. condizionali se sì, se no. Se ella sarà in Roma, potrà averne in buon dato: se no, ne invierò costà un esemplare. Menzini;

nelle proposizioni interrogative dopo come, perchè ecc. (Vedi questo cap. più oltre). Perchè sì? come si ? percè no? come no? Onde le frasi di scommessa che sì? che no? – Che si ch’io troverò modo che coteste lagrime ti gioveranno poco? Firenzuola. – E che no, che non mi saprete rispondere? Goldoni;

nelle frasi avverbiali anzi che no, piuttosto che no, piuttosto sì che no. Mi pare anzi che no, che voi ci stiate a pigione. Boccaccio. – (È) piuttosto collerico che no. G. Gozzi.

§ 13. Forma interrogativa. La forma interrogativa può essere di due maniere; diretta e indiretta. È diretta nelle prop. principali. Che fai? che pensi? che pur dietro guardi? Petrarca. È indiretta nelle prop. subordinate. La piegarono a dire chi ella fosse e che quivi facesse. Boccaccio. – D. Abbondio non sapeva più in che mondo si fosse. Manzoni.

§ 14. Interrogazione diretta. Servono all’interrogazione diretta i pronomi e gli avverbii relativi (vedi P. I, cap. XII, § 6, 10, 16, 21) quale, quanto, che, chi, come, quando, dove, e le congiunz, a che, perchè ecc. e le frasi per qual cagione, per qual motivo ecc. ecc.; p. es. qual vuoi? quanto ne desideri? chi è? ecc. come dici? perchè ti fermi? ecc. ecc.

L’interrogazione si può riferire al predicato della proposizione, quando si tratta cioè di sapere se una cosa è o non è, e si può riferire al soggetto, oggetto o complemento di essa, quando si tratta di sapere quale o come sia.

Nel primo caso si attende una risposta che può essere o no. (Vedi più oltre). Quando ci aspettiamo o supponiamo un , è regola incominciare la domanda con un non. In queste contrade non se ne trova niuna di queste pietre così virtuose? A cui Maso rispose: sì. Boccaccio. – Non è questo il terren ch’i’ toccai pria? Non è questo il mio nido?... Non è questa la patria in ch’io mi fido? Petrarca. Oppure si fa or seguire, or precedere alla dimanda, la frase non è vero? vero? neh? p. es. Egli c’è stato, non è vero? Tu mi ami, vero? Ci vuoi andare, neh? Non è vero che ci sei stato? – Il vostro marito è caduto in una pozzanghera, non è vero? Segneri.

§ 15. Rafforzamenti della interrogazione diretta. La prop. interrogativa diretta si rafforza in varii modi, cioè:

con alcune particelle che servono d’introduzione. Tale la cong. e. E che vuol dire che tu stai così maninconoso (malinconico)? Firenzuola. – E quando fostù (fosti tu) questa notte in questa casa? Boccaccio. Così pure la particella che; p. es. Che c’è il padrone in casa? Che ci sei andato? E più spesso con forse. Hai forse paura? Vi è forse chi dice di no? La part. eh posposta all’interrogazione serve a richiamare l’attenzione. Il cantar del gallo non ha servito stamane a destarti eh, Giusto? Gelli. – A questo modo eh? Firenzuola.

In principio dell’interrogazione gli antichi poneano, per efficacia, or. Or non mi conosci tu? or non vedi ch’io sono Abraam tuo zio, che ti notricai? .... Or non mi parli, figliuola mia Maria? Cavalca.

coll’apporre al verbo il pronome personale puro o il dimostrativo, anche quando il senso non ne ha bisogno. (Il pron. pers. puro di terza persona si pone nella forma soggettiva; ella, egli, eglino, elleno: vedi P I, cap. VI, § 7, nota e § 14). – Noi che faremo? Che non ce n’andiam noi? Boccaccio. – Di che cosa ti parlo io? Cecchi. – Dov’andavate voi ora in cotesto abito? Cecchi. – Credi tu che Filippo ti fosse amico? Cecchi. Spesso si usa egli come riempitivo; p. es. che c’è egli? che si dic’egli di nuovo?

coll’ampliare la prop. in due, mediante il verbo essere. Io l’ho veduta, or chi fia (sarà) che mel creda? Petrarca. – Quando fia ch’io veggia Quel giorno avventuroso? Tasso. (Cfr. qui sopra, § 2).

§ 16. Risposte all’interrogazione. Alla domanda diretta si risponde pur direttamente mediante gli avverbii, o piuttosto interiezioni, e no, i quali, se si parla con riverenza ad alcuno, premettono o pospongono il titolo di esso; p. es. sì signore, signor sì; no, illustrissimo, illustrissimo no; sì, eminenza, altezza, maestà, ovvero, eminenza sì ecc. altezza no ecc. – Nella risposta indiretta si usa dir di sì, dir di no, e, più di rado, dire che sì, dire che no.

Invece di usasi anche, per affermare, certo, appunto, davvero, proprio ecc. o si rafforza l’affermativa dicendo sì certo, sì davvero, certo che sì. E così pure si rafforza la negativa, dicendo no certo, no davvero, certo che no ecc. Altre volte la risposta si fa ripetendo in senso affermativo o negativo la dimanda; p. es. ci sei stato? Ci sono stato, non ci sono stato. Ci vai? ci vado, non ci vado.

Nelle risposte affermative indicanti maraviglia si usa ripetere la domanda in forma indiretta (vedi più oltre). L’ha avuta anche lei (la pestilenza) Signor curato, se non m’inganno – Se l’ho avuta! (cioè: dimandi se l’ho avuta?) Manzoni.

§ 17. Interrogazione indiretta. L’interrogazione indiretta o subordinata dipende da un’altra proposizione contenente una domanda, o un dubbio, o una osservazione, e perciò si può riguardare come una subordinata oggettiva. (Vedi P. II, cap. V, nota in fine).

Quando il dubbio si riferisce al predicato stesso della proposizione, trattandosi di sapere se qualche cosa è o non è, si adopera sempre la cong. condizionale se. Nissun domanda se la strada è buona. Ariosto. – Pensa, lettor, s’io mi disconfortai. Dante. – Fece un rapido esame se avesse peccato contro qualche potente. Manzoni.

Quando il dubbio si riferisce intorno ad altri elementi della proposizione, trattandosi di sapere il come d’un fatto, allora si adoprano gli stessi pronomi relativi che valgono per l’interrogazione diretta. (Vedi sopra, § 14). Io non so chi tu sii nè per che modo Venuto se’ quaggiù. Dante.

§ 18. Spesso la interrogativa indiretta colla cong. come tien luogo d’una prop. oggettiva colla cong. che, e ciò specialmente dopo i verbi dire, dichiarare, spiegare e sim. ovvero sentire, sperimentare, provare, vedere ecc. Dicendo come era sano. Novellino. – Pensò di scrivere com’egli era vivo. Boccaccio. – Facendo intendere com’eglino erano matti. Machiavelli. – Noi abbiamo riferito come la sciagurata signora desse una volta retta alle sue parole. Manzoni. – Subito conobbe come i vicini lo stimavano poco. Machiavelli. (Vedi P. I, cap. XXV, § 24 verso la fine).

§ 19. Ellissi nelle proposizioni interrogative. Spesso dopo pronomi od avverbii interrogativi si sottintende ripetuto il verbo precedente. Sperando e non sapendo che (cioè che cosa sperarsi). Boccaccio. – S’andò aggirando e non sapeva dove. Ariosto. – Renzo se n’andò senza dir dove (dove andasse). Manzoni. – Io sto male – Perchè? (cioè, perchè stai male?).

Circa le proposizioni interrogative implicite costruite coll’infinito, vedi P. I, cap. XX, § 24, capoverso sesto.

Invece di che cosa si usa spesso quello che e talora anche cosa semplicemente. Vedi P. I, cap. XII, § 17.

§ 20. Proposizioni ammirative. Alle proposizioni interrogative si riferiscono anche le ammirative comincianti pei pronomi o avverbii, che, quale, quanto, come ecc. (Vedi P. I, cap. XII, § 6, 10, 16, ecc.). Talora nelle prop. ammirative si mette la negativa non, assomigliandole così alle interrogative. Un S. Gregorio che gemiti non mettea sul trono a lui sì spinoso del Vaticano! Un San Bernardo che ruggiti non dava dagli orrori a lui sì diletti di Chiaravalle! Segneri.

Circa la collocazione delle parole nelle diverse forme del discorso, vedi la Parte III.


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