Sabato 2 febbraio 2002    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

CAPITOLO V

Proposizioni attributive, soggettive, oggettive.

§ 1. Proposizioni attributive. Le proposizioni subordinate attributive si uniscono alla principale per mezzo dei pronomi relativi, il quale, che, cui e per mezzo di congiunzioni o di avverbii che ne facciano le veci, che, dove, donde, onde. Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno .... viene, quasi a un tratto, a ristringersi. Manzoni. – Par che segni il punto, in cui il lago cessa. Manzoni. – È fuoco, il quale riluce, il quale riscalda, ma non offende. Segneri. – Appresso gli dimorava una serpe, la quale bene spesso gli divorava i figliuoli. Firenzuola. – Siede la terra, dove nata fui (nacqui), Sulla marina, dove il Po discende. Dante. – Cominciò a fuggire per quella via, donde avea veduto che la giovane era fuggita. Boccaccio. – Serpentelli e ceraste avean per crine, Onde (da cui) le fere tempie erano avvinte. Dante. – (Vedi P. I, cap. XXV, § 26). Le cortesie, l’audaci imprese io canto Che furo al tempo che (nel quale) passaro i Mori D’Africa il mare. Ariosto. (Vedi P. I, cap. XII, § 14).

Il complemento attributivo può determinare anche un pronome dimostrativo (uno, alcuno ecc. colui, quello, questo ecc.). Queste popolazioni furono quelle che distrussero l’impero romano. Machiavelli. – Vedi che son un che piango. Dante. – Invece di colui che, uno che, si può usare chi (Vedi P. I, cap. XII, § 20 e seg.). In senso neutro si usa ciò che, quello che. O mente che scrivesti ciò ch’io vidi. Dante. – Spero di far quello che m’imporrai. Boccaccio. – E tali proposizioni possono tener luogo ora di soggetto, ora di oggetto, ora di sostantivo apposito rispetto alla principale; p. es. ciò che mi affligge è questo: allontano da me ciò che mi affligge; io, ciò che più m’affligge, non trovo compatimento. – Ciò che più l’annoja È il sentir che nell’acqua se ne muoja. Ariosto.

§ 2. Concordanza. Quando il predicato della proposizione attributiva si riferisce immediatamente o mediatamente ad un pronome personale puro di prima o seconda persona (io, tu, noi, voi) contenuto nella principale, si accorda, quanto alla persona del verbo, con esso. Immediatamente. Io che gioir di tal vista non soglio. Petrarca. – O tu che onori ogni scienza ed arte. Dante. – Voi che intendendo il terzo ciel movete. Dante. – Mediatamente (per mezzo di un predicato nominale). I’ mi son un che, quando Amore spira, noto, ed a quel modo Che detta dentro, vo significando. Dante. – Noi siam galantuomini che non vogliam fargli del male. Manzoni.

Se però nella costruzione mediata si volesse porre il predicato della proposizione principale in maggior luce del soggetto, si può, per eccezione, uscire da questa regola. Oh! se’ tu quel Virgilio e quella fonte Che spande di parlar sì largo fiume? Dante. – Corisca son ben io, ma non già quella, Satiro mio gentil, ch’ agli occhi tuoi Un tempo fu sì cara. Guarini.

Talora, massimamente in verso, il pronome personale puro, con cui il relativo si accorda, è implicito in un pronome possessivo. Molto più felice l’anima della Simona, quant’è al nostro (di noi) giudicio, che vivi dietro a lei rimasti siamo. Boccaccio. – Se del consiglio mio (di me) punto ti fidi Che sforzar posso, egli è pur il migliore Fuggir vecchiezza. Petrarca

Talora il pronome relativo sta in plurale dopo un nome singolare. Innanzi che fosse terminata questa lite (le quali in corte di Roma non pare che abbian mai fine) ecc. Varchi

§ 3. Ellissi del pronome dimostrativo determinato. Quando il pronome dimostrativo quello o colui fa da predicato nominale, si può omettere e sottintenderlo davanti al relativo. Non siete voi (quelli) che parlate, ma lo Spirito Santo. Passavanti. – Dico che il forte è di tenersi in piede; Rispetto al come, è il caso che lo detta. Giusti.

Talora quello farebbe da soggetto: Fera stella fu .... (quella) sotto ch’io nacqui, E fera cuna, dove nato giacqui, E fera terra ov’i piè mossi poi; E fera donna che con gli occhi suoi .... Fe’ la piaga ecc. Petrarca. Ma questo è un uso proprio soltanto della poesia.

§ 4. Forma attributiva delle proposizioni. Spesso la proposizione attributiva ha senso di apposizione (vedi qui dietro, cap. IV, § 3) e tien luogo di una subordinata d’altro genere, o serve soltanto ad unire, in forma subordinata, una proposizione principale ad un’altra. Esempii del primo caso. Io che annullo o stravolgo per lo continuo tutte le altre usanze (cioè: io, benchè annulli ecc., ovvero mentre annullo ecc. proposizione concessiva o temporale), non ho mai lasciato smettere in nessun luogo la pratica di morire. Leopardi. – Esempii del secondo caso. Fu presentato al comune di Fiorenza (Firenze) un nobile e feroce leone, il quale fu rinchiuso (cioè: e fu rinchiuso) in sulla piazza di S. Giovanni. Malespini. Lo manifestò al padre, il quale turbato gli disse che subito si partisse (e questi ecc.). M. Villani.

Anche il pronome relativo neutro (il che, la qual cosa) equivale a un dimostrativo o ad una congiunzione che unisca due proposizioni principali (vedi P. I, cap. XII, § 15). Per il che, per la qual cosa valgono quanto laonde, perciò ecc. Vedi più oltre il capitolo sul coordinamento delle proposizioni.

§ 5. Proposizioni soggettive. Le proposizioni soggettive si uniscono alla principale per mezzo della congiunzione che, e fanno da soggetto a verbi e frasi impersonali (eccetto quelli indicanti vicissitudini atmosferiche. (Vedi P. I, cap. XXIV). Pare ai non dotti che i loro avversari vogliano sottilizzare in ogni cosa. G. Gozzi. – Accade talvolta anche nel male .... che i fautori più ardenti divengano un impedimento. Manzoni. – Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno era cosa troppo evidente. Manzoni. – Non è ver che sia la morte Il peggior di tutti i mali. Metastasio.

Con la congiunzione che sottintesa (figura di ellissi): Perchè la natura non può a questo disordine supplire, è necessario (che) supplisca l’industria. Machiavelli.

§ 6. Infinito soggettivo. L’infinito può sostituire in due casi la proposizione soggettiva; quando il verbo non sia riferito a verun soggetto determinato, ovvero quando il soggetto di esso sia unito, come complemento d’interesse, al verbo impersonale della proposizione principale. Ciò con verbi o frasi impersonali che significano bisognare, importare, riuscire, bastare, esser possibile, avvenire, parere, piacere o dispiacere, esser utile, facile, giusto (ad alcuno) ecc., ai quali verbi l’infinito si unisce senza preposizione alcuna o colla preposizione di (vedi la nota). A conoscere perfettamente i pregi d’un’opera non basta essere assuefatto a scrivere, ma bisogna saperlo fare quasi così perfettamente come l’autore medesimo ecc. Leopardi. – Mi parea d’intendere alcune voci; mi sembrò poi di vedere Teresa con sua sorella. (Non si potrebbe dire mi pareva che intendessi; mi sembrò che vedessi). Foscolo. – Gli era occorso di difendere la riputazione di quel signore. Manzoni.

Per altri esempi vedi P. I, cap. XX, § 10 e seg.

Si prepone regolarmente la prep. di all’infinito, coi verbi o frasi impersonali accadere, avvenire, occorrere, parere, piacere, dispiacere, dilettare, far bisogno, esser d’uopo, premere, importare, tardare, parer mill’anni, venir fatto, riuscire, toccare od altri di pari significato, accompagnati per lo più da un complem. d’interesse (mi, ti, gli, ad alcuno ecc.); e così pure coi passivi di que’ verbi transitivi che reggono l’infinito per mezzo della prep. di; p. es. è proibito di correre. (Vedi più sotto). Talora per altro, massimamente in verso, la prep. di si omette. Già mi parea sentire alquanto vento. Dante.

È francesismo usare la prep. di con altri verbi, e specialmente con predicati nominali p. es. è dolce di beneficare il prossimo, e viltà di vendicarsi; dovendosi dire è dolce beneficare ovvero coll’infin. sostantivato, è dolce il beneficare ecc. Quanto è più dolce, quanto è più sicuro Seguir le fere fuggitive in caccia! Poliziano.

§ 7. Proposizioni oggettive. Le proposizioni oggettive si uniscono alla principale come le soggettive; per mezzo cioè della congiunzione che, e fanno da oggetto, non solo ai verbi transitivi, ma anche a molti altri verbi che, se reggessero un nome, si costruirebbero con una preposizione e che sono perciò intransitivi. In generale adunque i verbi che posson reggere una proposizione oggettiva, son quelli che significano un atto dell’animo, un sentimento, un’opinione o la manifestazione di essa; p. es. volere, comandare, permettere, proibire, pregare, fare, procurare, meritare; sperare, temere, dubitare, sentire, stupire, lagnarsi, sdegnarsi; pensare, sapere, conoscere, giudicare; dire, dichiarare ecc. ecc. e, oltre a questi verbi, frasi composte che abbiano il medesimo significato, o nomi analoghi; p. es. esser risoluto, dare il permesso, avere speranza o timore, stare in dubbio, esser d’opinione, fare una protesta, la speranza che ecc. il timore che, disperati che ecc. Esempi. – Pampinea comandò che ogni uomo tacesse. Boccaccio. – N’era molto lieta sperando che (quella lettura) gli gioverebbe. Belcari. – Sappiate ch’io sono Suembaldo re de’ Moravi. Giambullari. – Spengo la sete mia coll’acqua chiara, Che non tem’ io che di venen si asperga. Tasso. – Varrone si maravigliò e dolsesi che tutto il pretorio lo avesse udito. Boccaccio. – Voi m’avete stimolato che io di amare .... rimanga. Boccaccio. – Lo cominciò a pregare ch’egli lasciasse gli errori della fede giudaica. Boccaccio. – Con la congiunzione sottintesa. Fatto imperatore Ottone, Agapito papa si volse a pregarlo venisse in Italia. Machiavelli. – Stimo sia conveniente renderti consapevole di varie difficoltà. Leopardi.

Talora coi verbi dire, dichiarare, mostrare e simili, si usa anche come nel senso di che. (Vedi P. I, cap. XXV, § 26 al capoverso quinto). Padre del ciel .... Rammenta lor com’oggi fosti in croce Petrarca.

Talora con verbi di sentimento come maravigliarsi, dolersi, dispiacere ad alcuno, esser caro ecc. si usa anche la particella condizionale se o la causale perchè. – Non ti maravigliar s’io piango (cioè che pianga). Dante. – Non ti maravigliar perch’io sorrida. Dante.

§ 8. Proposizioni oggettive di forma negativa. Alcune proposizioni oggettive sogliono premettere al verbo la particella non, nei seguenti casi:

dopo verbi od altre espressioni della proposizione principale che significhino timore e sospetto (temere, paventare ecc. timore, paura ecc. timoroso, pauroso ecc.) Temo che non sia già sì smarrito, Ch’io mi sia tardi al soccorso levata. Dante:

Non forse, senza la cong. che. La giovane dubitò non forse altro vento l’avesse a Lipari ritornata. Boccaccio.

dopo espressioni che indichino cautela; come, guardare, badare, prendersi guardia e sim. Guarda che da me tu non sia (sii) mozzo (separato). Dante. – Guardate che non v’inganni. Machiavelli. – Più raro è il non dopo evitare, proibire, impedire. Gli vietò che con la propria mano Non si passasse in quel furore il petto. Ariosto. Cominciò a pensare in che maniera potesse impedire che ciò non avesse effetto. Boccaccio:

Se tali verbi fossero accompagnati da negativa, questa non deve trovarsi nella proposizione subordinata.

dopo negare, dubitare, disperare e simili, preceduti da negazione, o posti in forma interrogativa; p. es. non si può negare, non dubito, non dispero ecc. chi negherebbe? chi dubita? ecc. Non si dubita che Prometeo non avesse a ordine una risposta in forma distinta. Leopardi. – Non è dubbio che il genere umano non vada procedendo innanzi continuamente nel sapere. Leopardi. – Io non posso negare che la fortuna e la milizia non fosser cagione dell’impero romano ecc. Machiavelli.

dopo le frasi impersonali mancar poco, esser per poco, tenersi a poco e sim. la prop. soggettiva prende l’avverbio non. Poco mancò ch’io non rimasi in cielo. Petrarca. – Presso fu che di letizia non morì. Boccaccio.

§ 9. Infinito oggettivo. In molti casi l’infinito si sostituisce alla proposizione oggettiva, più spesso quando il soggetto è indeterminato o compreso nella proposizione principale, talora anche quando il soggetto è espresso.

Col soggetto indeterminato o compreso nella proposizione principale; dopo i verbi fare, lasciare o i verbi di percezione (vedere, udire, sentire), p. es. lascio parlare o ti lascio parlare (lascio che si parli, ovvero lascio che tu parli). Inoltre dopo i verbi volere, dovere, potere e sapere (nel senso di potere), co’ quali l’infinito, in questo caso, è sempre necessario, poichè se vi si pone il che, bisogna che il soggetto dell’infinito non sia nella proposizione principale; quindi si può dire voglio che si canti o che Pietro canti, ma non lo voglio che canti. Inoltre dopo i verbi che hanno il senso di comandare, augurare, permettere o proibire, pregare e chiedere, accennare e consigliare; persuadere; p. es. vi comando di studiare, auguro agli amici di star bene, ti permetto di leggere, ti prego di ascoltarmi, consiglio ai buoni di sperare in Dio, vi persuado di seguir la virtù. I quali verbi si costruiscono regolarmente colla preposizione di.

§ 10. Anche cogli altri verbi suindicati si può usare l’infinito, ma colla condizione che il soggetto sottinteso di esso sia quel medesimo della proposizione principale; p. es. spero di partire, penso d’esser uomo, conosco di dir bene, temo di non giungere a tempo, mi meraviglio d’essere ancor vivo; procuro, cerco, tento, mi studio di profittare, dichiaro di non aver voglia ecc. Questi verbi si costruiscono più comunemente con di, ma alcuni di essi anche senza; p. es. spero partire, temo non essere a tempo, credo aver ragione, penso recarmi a Parigi ecc.

Se il soggetto cambia, questi verbi richiedon la proposizione esplicita, p. es. so che stai bene, temo che la cosa vada male, dichiaro che non verrai meco ecc. ecc.

[Quindi non è da ammettersi l’uso dell’infinito con di, quando il soggetto cambia. P. es. Kant nega al tutto di potersi dimostrare colla ragione teoretica la verità della religione cristiana. Rosmini. – Voi avete inteso dire di aver questa fatto cambiare la faccia della scienza filosofica. Galluppi: ne’ quali esempi doveva regolarmente espellersi il di, lasciando solo l’infinito seguente.] [Correzione nelle Giunte p. 490 Red.]

Quei verbi che son capaci d’un reggimento di scopo con a (vedi cap. preced., § 19 [in realtà cap. III § 19 Red.]) si possono costruire anche colla preposizione a, p. es. ti prego di venir meco, ovvero a venir meco, ti consiglio di viver da buon cristiano, ovvero a viver ecc. ti persuasi a leggere i nostri classici.

§ 11. I verbi che nella proposizione esplicita avrebbero non, posson conservarlo anche nella proposizione implicita. Diragli da mia parte che si guardi di non aver troppo creduto o di non credere alle favole di Giannotto. Boccaccio. – Il nostro beato Giobbe temendo di non cadere e di non peccare per tanti obbrobrii, rivocò sè medesimo a stato di fidanza. S. Gregorio.

§ 12. infinito oggettivo col soggetto espresso. È frequente anche nell’uso moderno dopo i verbi fare, lasciare, vedere, udire, sentire e sim. Odi greggi belar, muggire armenti. Leopardi. – S’udiva soltanto il fiotto morto e lento frangersi sulla ghiaja del lido. Manzoni. – In tali costrutti la proposizione subordinata viene a confondersi di maniera colla principale, che il soggetto di quella diviene oggetto di questa (Vedi P. I, cap. XX, § 19 e 20), e perciò la oggettiva si scambia sovente coll’attributiva, tanto valendo il dire odo augelli che cantano, quanto odo augelli cantar. Anzi nelle lingue classiche invece dell’infinito è regola adoprarvi il participio presente, che nella nostra corrisponde ad un’attributiva (vedi P. I, cap. XXI, § 3).

§ 13. Si può usare altresì dopo i verbi che significano dire, dichiarare, mostrare, pensare, credere, comprendere, intendere, conoscere, accorgersi, udire (nel senso di sentir dire) e simili concetti. Ma questo costrutto come quello che ritiene del latino, non è oggi tanto frequente quanto presso gli antichi, e dovrà usarsi soltanto quando la chiarezza o la forza o la dignità dello stile pajano richiederlo, e specialmente per evitare una troppo vicina ripetizione della congiunzione che. Disse in certa occasione esser manco grave al benefattore la piena ed espressa ingratitudine, che il vedersi rimunerare di un beneficio grande con un piccolo. Leopardi. – Temistocle fece una diceria a’ Greci, per cui mostrò convenirsi abbattere e rapire il padiglione d’un tiranno. Adriani il G. (Vedi del resto P. I, cap. XX, § 22 e 23).

Alle proposizioni oggettive appartengono anche le interrogative indirette; ma di questo parleremo più oltre, nel capitolo che tratterà delle forme della proposizione [cap. VII § 17 Red.].


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