Domenica 4 novembre 2001    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

CAPITOLO XX

Uso de’ nomi verbali.

L’infinito.

(Gramm., P. II, cap. XVIII, § 14)

§ 1. Nomi verbali. I nomi verbali sono tre, l’infinito, il participio ed il gerundio, il primo de’ quali tien carattere di sostantivo, il secondo di aggettivo, il terzo di una locuzione avverbiale, come vedremo.

§ 2. L’infinito è detto così, perchè esclude ogni determinazione di persona, di numero, di tempo, indicando soltanto l’azione, in quanto si fa o si soffre in un tempo qualsiasi; ed appunto per questa sua indeterminazione una sola e medesima voce può riferirsi a tutte le persone, a tutti i numeri a tutti i tempi; per es. lodare io, lodare tu, lodare egli, noi, voi, eglino; lodare oggi, lodare dimani, e potrebbe dirsi anche lodare jeri o un anno fa, ma poichè l’azione nel passato, a distinzione di quella nel presente, riguardasi come in effetto, si adopera, invece, il così detto passato dell’infinito aver lodato, essere stato lodato, che esprime soltanto azione compiuta, non propriamente tempo passato.

È notabile che presso i nostri antichi si trova talora l’infinito presente nel senso di passato, e ciò specialmente coi verbi di me. moria. Mi ricordo vedere (aver veduto) molti padri .... e correre ecc. Varchi. – Io mi ricordo pur tuo padre andare (esser andato) con un pajo (di calze) d’otto o nove lire, e bastargli (essergli bastate) anche un anno. Gelli. – Ma forse quest’uso è una imitazione dal latino.

L’infinito si può usare come sostantivo (uso nominale), e come verbo (uso verbale).

Non si confonda l’infinito sostantivato con quei pochi infiniti che si possono usare per veri nomi sostantivi; p. es. l’ardire, il dovere, l’essere, il potere ecc. Vedi Gramm. Parte III, capitolo III in fine.

§ 3. L’infinito come sostantivo ha senso neutro, cioè indica l’azione in un modo astratto e indeterminato, ma differisce dal vero sostantivo verbale corrispondente, inquantochè conserva la forza di azione. In questa guisa differiscono fra loro il sentire, il sentimento; l’ardere, l’ardore; l’incominciare, l’incominciamento; l’aspirare, l’aspirazione; l’aspettare, l’aspettazione; il lamentare, il lamento; l’avvicinarsi, l’avvicinamento; il variare, la variazione; il muovere, il movimento; il battere, il battito e simili, dove si vede che l’infinito esprime cosa di sua natura momentanea ed in atto, mentre il sostantivo corrispondente ritrae invece cosa continua ed abituale; l’infinito esprime la cosa in azione, il nome la cosa come ferma e stabile. Tu proverai siccome sa di sale Lo pane altrui, e com’è duro calle Lo scendere e’l salir per l’altrui scale. Dante. – Qui non poteva dirsi la salita e la scesa, perchè avrebbero significato un’idea tutta diversa, e d’altra parte mancavano i sostantivi verbali corrispondenti. Il mordere era nulla Verso il graffiar (morso e graffio non avrebber detto lo stesso, e mordimento e graffiamento mancano nell’uso). Dante. – Pudica in faccia e nell’andare onesta. Dante. – Qui potea dirsi, quasi collo stesso senso, nel portamento.

§ 4. Spesso, massimamente nel verso, si uniscono in una stessa locuzione sostantivi con infiniti sostantivati. Un gran desio di bere (di bevanda) e di riposo. Ariosto. – Nelle conversazioni, ne’ servidori, nel cavalcare fu sempre simile a qualunque modesto cittadino. Machiavelli.

§ 5. Sue proprietà. L’infinito sostantivato riveste le proprietà del sostantivo medesimo; può quindi tenere nella proposizione tutte le parti che spettano al sostantivo, e può costruirsi cogli articoli, cogli aggettivi, coi pronomi. Un bel morir tutta la vita onora. Petrarca. – Il cuore di dentro faceva un gran battere. Manzoni. – Non è raro il trovar degli uomini che si lamentino ecc. Manzoni. – Io sono dell’andar certo, e del tornare, per mille casi che possono sopravvenire, niuna certezza ho. Boccaccio. – Buona femmina, tu se’ assai sollecita a questo tuo dimandare. Boccaccio. – Vola dinanzi al lento correr mio. Petrarca. – Chi ha fatto l’uso allo studiare, al navigare, al sonare, al cavalcare, al dipingere, allo schermire, trova in ciò col tempo maggior la facilità. Segneri.

§ 6. Suoi complementi. Quanto ai complementi dell’infinito sostantivato, essi restano uguali a quelli che avrebbe il verbo, usato in qualunque altro modo. Il rimirare il cielo più non mi aggradiva. Boccaccio. – Certo la mia donna fu prudente nel reggere la famiglia (nel reggimento della famiglia). Pandolfini. – Il lasciar quelle mura, nelle quali era stata otto anni rinchiusa, lo scorrere in carrozza per l’aperta campagna, il riveder la città, la casa, furono sensazioni piene d’una gioja tumultuosa. Manzoni.

Talora si usa costruire l’oggetto del verbo colla prep. di, come se l’infinito fosse diventato un vero nome, ma ciò non deve farei quando l’oggetto possa intendersi come soggetto, o quando in qualunque siasi modo sorgesse equivoco o difficoltà. Al valicare d’un fiume questi assalitolo il (lo) rubarono. Boccaccio. – Dice Alberto che nel piantare degli alberi si dee considerare l’età della luna. Crescenzio. – Era un bisbiglío, uno strepito, un picchiare e un aprir di usci (verbalmente picchiare agli usci, aprir gli usci). Manzoni.

§ 7. Costruzione del soggetto dell’infinito sostantivato. Il soggetto dell’infinito sostantivato si costruisce colla prep. di. Il cantar novo e il pianger degli augelli (gli uccelli cantano e piangono). Petrarca. – Poco dopo il levar del sole (il sole si leva). – Allo spuntar del giorno (il giorno spunta). Manzoni. – Non fu di minor momento il variare della religione. Machiavelli. – Il portar diritto della persona, il movere risoluto delle membra mostravano in lei una natura valida e rubizza. (Qui portare e movere hanno senso intransitivo). Grossi.

Il possessivo può anche far le veci del soggetto colla prep. di. Non merta il mio (di me) Lungo servire e questo bianco crine La diffidenza tua. Monti. – Le cagioni e i modi del loro alterarsi (dell’alterarsi degli ordini) furono i molti ingegni trovati dagli uomini. Leopardi. (Cfr. addietro cap. VII, § 7).

§ 8. Se però l’infinito sostantivato fosse costruito con un complm. o con un predicato nominale, allora si pone il nome del soggetto senza di, potendosi per altro anche allora continuare l’uso del pronome possessivo, quando il senso lo ammetta. Adirata .... del non voler egli (lui) andare a Parigi (non si direbbe di lui, ma potrebbe dirsi del suo non volere). Boccaccio. – Il popolo riordinò il governo .... mosso dall’essere stati quei signori favorevoli ai nobili (non di quei signori). Machiavelli. – Questo suo non esser uso a stravizii. Manzoni. – Così direbbesi L’essere il libro dilettevole, e non l’esser dilettevole del libro; il divenir Nerone scellerato, non il divenire scellerato di Nerone.

§ 9. L’infinito usato in senso verbale può essere una proposizione ellittica (taciutone il soggetto o perchè indeterminato, o perchè chiaro di per sè), e può essere una proposizione intera col suo soggetto.

§ 10. Come proposizione ellittica l’infinito fa le veci d’una proposizione soggettiva, in cui il soggetto sia indeterminato, ovvero sia contenuto nella proposizione, da cui dipende. Umana cosa è avere compassione (il soggetto di aver compassione è indeterminato) degli afflitti. Boccaccio. – Può, anche in questo caso, sostantivarsi prendendo gli articoli. Com’egli è difficile il farti comprender la verità! G. Gozzi.

§ 11. Coi verbi impersonali parere, avvenire, venir fatto, toccare, importare, piacere o dispiacere, dilettare (mi diletta) ed altri di simile significato, la proposizione ellittica contenuta nell’infinito si costruisce ordinariamente colla prep. di; p. es. mi pare di esserci stato; mi avvenne d’incontrare un amico; mi tocca di fare (qui il soggetto sottinteso dell’infinito è la persona stessa, a cui pare ecc.). – (Quest’ultima novella .... la quale a me tocca di dover dire. Boccaccio). M’importa di ascoltare, mi piace di passeggiare, mi diletta di leggere (or mi diletta Troppo di pianger più che di parlare. Dante); mi giova di starti a sentire ecc.

§ 12. Inoltre fa sempre le veci di proposizione oggettiva coi verbi potere, sapere (nel senso di potere), dovere, volere e il difettivo soglio; per es. posso andare, so fare, debbo leggere, voglio mangiare, soglio coricarmi ecc. spesso ancora con fare e lasciare, e coi verbi di percezione vedere, udire, sentire, intendere (nel senso di sentire) e qualche altro simil verbo; p. es. lascio passare; faccio partire; vedo piovere; odo, sento cantare (si potrebbe anche dire vedo che piove ecc.). Cfr. più oltre in questo cap. il § 19 e segg.

§ 13. Con altri verbi l’infinito oggettivo prende ordinariamente la preposizione di che sta in luogo della congiunzione che coll’indicativo o col congiuntivo; p. es. credo di fare, dico di andare, desidero di mangiare – (Potrà conoscere quanto io desidero di servirla. Casa), ti proibisco di parlare (che tu parli), vi comando di tacere (che taciate) ecc. ecc. Se a voi piacerà di donarmi (darmi) marito, colui intendo io d’amare. Boccaccio.

Si conserva lo stesso reggimento anche quando il verbo reggente si voltasse in passivo, p. es. si può parlare; si sente cantare; si desidera di mangiare; mi è proibito di fumare ecc.

Per maggiori schiarimenti vedi la Parte II, dove si tratta delle proposizioni soggettive ed oggettive.

§ 14. L’infinito colla prep. a serve di complemento a molti verbi, in un senso speciale:

in senso di futuro col verbo avere: Come ho a fare, che partito ho a pigliare, dove mi ho a volgere? (Come farò ecc.). Machiavelli. – Crediamo noi che in effetto quelli che verranno abbiano ad essere (possano essere) migliori dei presenti? Leopardi. – Col verbo essere si usa nelle frasi impersonali. Non è a dire, Non è a credere, ovvero Non è a dirsi ecc. nel senso di Non si può dire, Non importa dire e simili.

Anche dovere coll’infinito senza preposiz. (vedi qui sopra § 12) può prendere senso di semplice futuro. Meravigliosa cosa è a udire quel ch’io debbo dire (dirò). Boccaccio. L’infinito stesso forma il futuro con questa locuzione: Voi credete di dover essere (che sarete) giudicati da Dio, mentre far però non volete nè pure la metà delle diligenze, le quali fate, quando credete di dover essere giudicati da un uomo? Segneri:

come complemento predicativo con verbi di stato e di moto. Altre (anime) stanno a giacere (giacenti), altre stanno erte. Dante. – L’Innominato stette a sentire con attenzione. Manzoni. – L’oste era a sedere (seduto) sur un piccola panca. Manzoni. – Voi andrete a posarvi su agiate piume, egli si rimarrà a spasimar su duro patibolo. Voi andrete ad inghirlandarvi di molli fiori; egli rimarrassi a languire fra acute spine. Segneri:

come complemento determinante di verbi che indicano cominciamento o continuazione. Chi confessa un errore ha già cominciato a correggersi. Giusti. – Seguiterò volentieri a comunicarle i miei pensieri. Giordani:

o de’ verbi, insegnare, imparare, ajutare e sim. Imparerò a vivere alle mie spese. Redi. – Il Parini ebbe parecchi discepoli, ai quali insegnava prima a conoscere gli uomini e le cose loro. Leopardi. – Teodato era stato (da Amalasunta) chiamato, perchz l’ajutasse a governare il regno. Machiavelli.

Con insegnare e ajutare si può omettere la preposizione a. Finor ti assolvo e tu m’insegni fare (a fare) ecc. Daute. – Ajutami tenere (a tenere) il ladro. Cecchi:

come complemento di limitazione con aggettivi di qualità, corrispondendo al supino in u de’ latini. (Qui l’infinito dei verbi transitivi ha senso passivo, e spesso piglia anche forma riflessivo–passiva, ovvero si affigge una particella pronominale dimostrativa). Nutritura facile a procacciare. Leopardi. – Pomi ad odorar soavi e buoni. Dante. – Molte altre cose leggiadre e bellissime a riguardare. Sannazzaro. – Quanti e quali incomodi sieno per nascere, sarebbe infinito (cosa infinita) a raccontare. Leopardi. – Assai più dolce e leggiadro a vedersi. Parini. – Non era fiera da farne picciola stima, ma feroce e dura a vincerla. Adriani il giovine:

o con numerali ordinali (compreso anche l’agg. ultimo). Omero fu il primo ad aprire tutti i cervelli della Grecia. G. Gozzi. – Credo che i nostri tre fossero gli ultimi ad andarsene. Manzoni:

come complemento avverbiale in senso d’un gerundio. A stare zitti non si sbaglia mai. – Manzoni. – Tu hai fatto molto bene a lasciare (lasciando), ognuno di qua dalla palude. G. Gozzi.

§ 15. L’infinito con da serve di complemento a nomi e verbi nel senso di azione futura o conveniente o necessaria;

in senso attivo o intransitivo: p. es. ago da cucire (cioè, con cui alcuno può cucire), carta da scrivere, datemi da bere, guadagnar da vivere, preparar da mangiare, tempo da chiacchierare, voce da commuovere, ecc. A ogni contadino che si presentasse .... fece dare una falce da mietere. Manzoni. – Si porti da bere al padre. Manzoni. – Tempo è da travagliar, mentre il Sol dura. Tasso. – Domandollo se forte si credeva essere da cavalcare. Boccaccio. – Talora il soggetto viene espresso, e così la proposizione è intera. Coteste son cose da farle gli scherani e i rei uomini. Boccaccio. – Napoli non era terra da andarvi per entro di notte e massimamente un forestiere. Boccaccio

in senso passivo: Non mancò di fare parecchi giuochi da paragonare (esser paragonati) ai tuoi. Leopardi. – Un discorso da dare (esser dato) alle stampe. Manzoni. – Non è impresa da pigliare a gabbo. Dante. – La gratitudine è sommamente da commendare e il contrario da biasimare. Boccaccio. – Ora aveva cenci da rattoppare .... ora feriti da medicare. Manzoni. – (Non) credetti che principalmente miraste a me, non avendo in me nè viltà da disprezzare, nè ambizione da temere, nè fortuna da invidiare. Giordani:

colla forma riflessivo–passiva. Non sono discorsi da farsi, neppur per burla. Manzoni. – L’intemperanza è da fuggirsi. Verri. – Si venne a parlare della vita da tenersi. Grossi.

§ 16. Spesso ha il senso di una proposizione consecutiva dopo pronomi od avverbii dimostrativi espressi o sottintesi. La natura crea .... tali ingegni, da non potere essere se non generosi. Foscolo. – Avevano abbandonate le loro case per non esser forti abbastanza da difenderle. Manzoni. – Sei favorito dalla fortuna in modo da non aver bisogno dei frutti dell’ingegno per sostentare la vita. Giusti.

Si adopera bene anche troppo da (invece di troppo per francesismo: vedi pag. 268, 381). – È locuzione troppo bella da lasciarla perdere. V. Borghini. – Parendomi troppo bel tratto da lasciarlo andare. Caro.

§ 17. L’infinito con per serve di complemento ai verbi essere o stare nel senso di futuro, indicando una disposizione, intenzione o preparazione a fare qualche cosa. Il sole era per dechinarsi verso l’occidente. Sannazzaro. Ella era per andarne in Granata. Boccaccio. – Io sono per ritirarmi del tutto di qui. Boccaccio. – Una tromba diede segno che il giudizio di Dio stava per aprirsi. Grossi. – Fra Timoteo è per fare (è pronto a fare) ogni cosa. Machiavelli. – Si usa spesso la frase sto per dire nel senso di direi quasi, per enunciare una cosa che può parere esagerata. Quanto al volgo dei letterati, sto per dire che quello delle città grandi sappia meno far giudizio dei libri, che non sa quello delle città piccole. Leopardi:

tien luogo d’una propos. concessiva (invece di sebbene col congiunt.). Il suon dell’acqua n’era si vicino Che per parlar (sebbene parlassimo) saremmo appena uditi. Dante. , per esser battuta, ancor si pente. Dante. Modo raro nell’uso moderno.

Finire per (nel senso di finire con) è francesismo. P. es. Finivano per dargli ragione in tutto.

§ 18. L’infinito può esser retto anche da molte altre preposizioni (in, con, invece di, senza, fino a, oltre a, dopo, avanti di o prima di, affine di), e può colle medesime preposizioni sopra distinte assumere molti altri significati; ma poichè tutti questi son comuni anche ai sostantivi e perciò rientrano nella teoria generale dei complementi, non importa che se ne faccia qui speciale menzione; onde rimanderemo il lettore alla Parte II.

§ 19. Come proposizione intera. L’infinito come proposizione intera si usa, quando sia necessario esprimere il soggetto, o perchè diverso da quello della proposizione principale, o perchè si voglia mettere in ispecial rilievo: esso ha luogo dopo i verbi fare, lasciare, e anche spesso dopo i verbi di percezione vedere, udire, sentire. Quel nome che sarebbe soggetto dell’infinito, diventa oggetto del verbo finito che lo regge, e l’infinito viene attratto in una sola frase dal verbo medesimo: se per soggetto vi era un pronome personale o dimostrativo (me, te ecc. lo ecc.), questo assume la forma enclitica e si prefigge o affigge al verbo. Il magnifico dottore fece sedere il padre molto reverendo. (Qui il soggetto sarebbe il padre, ma è divenuto come oggetto della frase far sedere). Manzoni. – Il dottore lo fece entrare con sè nello studio. Manzoni. – Vedendolo stare attento a riguardare le dipinture ecc. Boccaccio.

Dopo vedere, sentire, udire, intendere usano alcuni preporre all’infin. dipendente la prep. a, ma non è dell’uso toscano. Le farfalle tu le vedi a volare. G. Gozzi. – Io la ho più molte veduta a passeggiare e a danzare. Foscolo.

Tramutandosi la locuzione in passiva, non si cangia altro che il verbo fare, del quale l’oggetto diventa soggetto, p. es. (vedi sopra) il padre fu fatto sedere, egli fu fatto entrare. – Andrea fu fatto da lei morire. Machiavelli.

§ 20. Se l’infinito così adoperato ha un suo proprio oggetto (o proposizione oggettiva), allora il soggetto dell’infinito stesso, per proprietà di lingua, diventa termine indiretto del verbo regolatore e si costruisce colla preposizione a; p. es. fammi o lasciami far due parole (invece di lascia me fare, ecc.) gli sentii cantare uno stornello (invece di sentii lui ecc.), fo cucire un abito a quel sarto, vidi scrivere a Giovanni due lettere, sentii dir loro una bestemmia ecc. feci prendere a Luigi la tasca da viaggio. – Li fece pigliare a tre suoi servitori. Boccaccio. – Fatevi a ciascun che mi accusa dire, quando e dove io gli tagliai la borsa. Boccaccio. – Udendo (Tucidide) recitare ad Erodoto le sue storie ecc. A. M. Salvini. – Spaurito e sbigottito per le pene e per li gravi tormenti che aveva veduti sostenere a’ peccatori nell’altra vita, non si rallegrava niente. Passavanti. – La vista della preda fece dimenticare ai vincitori i disegni di vendette sanguinose. Manzoni. – Lascio pensare al lettore come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie. Manzoni.

Tramutandosi la locuzione in passiva, non si cangia altro che il verbo fare come sopra, p. es. fu fatto (o si fece) cucire un abito al sarto, furon vedute (o si videro) scrivere a Giovanni due lettere.

§ 21. Altre volte si costruisce colla prep. da; e ciò quando il complemento con a potrebbe sembrare dipendente dal solo infinito, non dal verbo principale; o quando vi sia vicino un altro simile complemento. – Aveva .... paura .... della giovane, la quale tuttavia gli pareva di vedere o da orso o da lupo strangolare. Boccaccio. – Fece da’ suoi ministri aprire per forza l’uscio (dicendosi a’ suoi ministri, sarebbe parso che facesse aprir l’uscio, perchè v’entrassero i ministri). Lasca. – Doloroso fuor di modo, per non far peggio, lasciava guidarsi da coloro (a coloro sarebbe parso la direzione del guidarsi). Lasca. – Gli diede in cuor suo tutti que’ titoli che non aveva mai udito applicargli da altri (ad altri avrebbe reso il senso oscuro dopo quel gli). Manzoni.

Coi verbi di percezione il soggetto dell’infinito può stare talvolta anche senza veruna preposizione, purchè gli sia anteposto. Quando (gli altri pianeti) vedranno la terra fare ogni cosa che fanno essi (invece di fare alla terra). Leopardi. – Quando io udiva i1 custode o altri aprire la porta, copriva il tavolino con una tovaglia (invece di udiva aprire al custode ecc.). Pellico. – I Romani a questo suono spaventati videro i Parti a un tratto gittare in terra le invoglie di lor armi (invece di gittare ai Parti o gittare dai Parti. Adriani il G. – Poscia ch’i ebbi il (invece di al) mio dottore udito Nomar le donne antiche e i cavalieri, Pietà mi vinse ecc. Dante.

§ 22. L’infinito come proposizione intera Si può usare anche con altri verbi in luogo del che col congiuntivo o l’indicativo; ma è più dello stile nobile, che del parlare umile e familiare. Io ho sempre inteso l’uomo essere il più nobile animale che fosse creato da Dio. Boccaccio. – Alcuni erano di più crudel sentimento, dicendo niun’altra medicina essere alle pestilenze migliore, nè cosi buona, come il fuggir loro davanti. Boccaccio.

§ 23. Quando il soggetto dell’infinito in simili costrutti è un pronome di prima o seconda persona, si suol porre in forma soggettiva (io, tu), se un pronome di terza persona, si usa nella forma oggettiva (lui, lei, loro), collocate l’una e l’altra dopo l’infinito. Deliberai di non volere, se la fortuna mi è stata poco amica, essere io nemica di me medesima. Boccaccio. – Chiaritosi (messosi in chiaro) esser lui che faceva questi baccani, crescevano gli oltraggi ad uomini e donne. Davanzati. – Questa reina (regina) comprese bene .... esser lui il più savio uomo del mondo. Sacchetti.

Se però il soggetto dell’infinito fosse quel medesimo della proposizione principale, si usa anche colla terza persona la forma soggettiva. Non bastandogli d’esser egli e i suoi compagni in breve tempo divenuti ricchissimi ecc. Boccaccio. – Richiesta se alcuno l’avesse. a quel misfatto consigliata, rispose di no e averlo ella sola divisato. Papi.

Il pron. riflessivo , non suole, nell’uso moderno, farsi soggetto dell’infinito: quindi o si tralascia o, se fosse necessario, si sostituisce coi pronomi egli, ella (vedi qui sopra), eglino, essi ecc. Negli antichi si trova spesso. Gabriotto seppe sè essere amato. Boccaccio. – Gli fece direessere apparecchiato a fare ecc. Boccaccio. – Talora anche ne’ moderni. Si avvisò di scrivergli un biglietto, in cui gli dicevaessere (invece di d’essere o essere ella) testè arrivata da Caen. Papi.

§ 24. Infinito con ellissi d’altro verbo. Spesso si adopera l’infinito in un modo sospeso, quasi dipendesse da un verbo principale sottinteso:

per esprimere maraviglia o ripugnanza. Io chiudermi (sott. dovrò) tra i deserti? .... Io darmi tanti tormenti? .... Io non mangiare? io non bere? io non dormire? io non parlare? io non ridere per tanti anni? Non può essere, non può essere. Segneri. – A tua madre non dir niente d’una cosa simile? (sott. potevi non dir ecc.) Manzoni. – Voi entrar negli abissi della mente, del cuor di Dio? .... e confidarvi di comprenderne tutto il come? Bartoli. – A dire che io il lasciassi (un farsetto) a costui per trentotto soldi! (a dire, cioè, che cosa strana sarebbe se si dicesse ecc.). Boccaccio;

per esprimere ferma risoluzione. Prima morire (sottint. voglio) che eleggermi una tal vita. Segneri;

per significare in una narrazione la fretta con cui avvennero certe azioni (detto infinito storico): si premette la prep. a. Indi i Pagani tanto a spaventarsi, Indi i Fedeli a pigliar tanto ardire, Che quei non facean altro che ritrarsi ecc. Ariosto. – Ognuno all’arme, a maneggiar destrieri A fornirsi di scudi, a provar elmi ecc. Caro. – Più di rado senza preposizione, alla latina. E qui fuggire e sgominarsi i Teucri E gli Achivi inseguirli, e via pe’ banchi Delle navi cacciarli in gran tumulto. Monti:

dopo la interjezione ecco. Mentrechè tra le donne erano così fatti ragionamenti, ed ecco entrare nello chiesa tre giovani. Boccaccio. – Ed ecco verso noi venir per nave Un vecchio bianco per antico pelo. Dante:

dopo pronomi e avverbii relativi, in proposizione dubitativa o interrogativa. Non sapeva dove andarsi. Boccaccio. – Il giudice non sapendo che dirsi, lungamente soprastette. Boccaccio. – Un passo, dal quale non si poteva vedere come uscirne. Manzoni. – Io non ho che fare nulla colla giustizia. Manzoni. – Aver donde vivere. Boccaccio. – Come fare, esclamava, dove andare? Manzoni. – Perchè non raccontar tutto anche a tua madre? Manzoni. – Si mise a pensare alle frasi, con cui dar principio alla lettera. Grossi. – Voi credete di dover essere giudicati da Cristo? E come dunque Cristo maledire in tutti i giuochi, Cristo bestemmiare in tutte le collere, Cristo spergiurare in tutti i contratti, Cristo disgustare in tutte le ricreazioni? Segneri.

Quando il relativo faccia da soggetto, questo costrutto sa di antiquato. Qui è questa cena e non saria (sarebbe) chi mangiarla. Boccaccio. – E se ci fosse chi farli (chi li facesse), per tutto dolorosi pianti udiremmo. Boccaccio. – S’intenda però che se chi facesse da oggetto o da termine (con preposizione) il costrutto è anche moderno, p. es. Non so chi ringraziare; a chi regalarlo.

Quanto all’uso dell’infinito per l’imperativo, vedi addietro, capitolo XVIII, § 3 e 11.


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