Mercoledì 14 novembre 2001    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

CAPITOLO XXIII

Le tre forme dei verbi transitivi.

(Gramm., Parte II, cap. XXV e XXVI)

§ 1. Forme del verbo transitivo. Il verbo transitivo può avere, come dicemmo nella Grammatica, tre forme; nell’una il soggetto fa l’azione significata dal verbo, p. es. Io batto (qualche cosa o persona) e perciò essa dicesi forma attiva (dal latino agere, operare): nella seconda il soggetto fa l’azione sopra sè medesimo, p. es. mi batto (batto me stesso), e questa dicesi forma riflessiva, poichè l’azione si riflette nel soggetto stesso, e ritorna donde partì: nella terza forma, il soggetto patisce o sperimenta in sè l’azione fatta da qualche cosa o persona fuori di esso, p. es. io sono battuto; e tal forma dicesi, per conseguenza, passiva. Solo il verbo attivo può avere un vero oggetto, cioè una cosa o persona che riceva in sè l’azione prodotta dal soggetto; la qual cosa o persona diviene soggetto, quando il verbo assume forma passiva; p. es. io batto il cane, il cane è battuto da me. Vedi la Parte II nel capitolo dove si tratta del soggetto.

§ 2. Transitivo intensivo. La forma attiva dei verbi transitivi si rafforza non di rado colle particelle pronominali corrispondenti a ciascuna persona (mi ti si, ci vi si), per significare che l’azione è come concentrata nel soggetto, il quale la opera più intensamente. Onde può chiamarsi forma attiva intensiva. – O tu che mostri per sì bestial segno Odio sovra colui che tu ti mangi (mangi per te, mangi con accanimento). Dante. – Svenan l’uno de’ lor cavalli, e beonsi (bevonsi) il sangue. G. Villani. – Succiandosi. (succiando per sè) in quello scambio tant’acqua. Magalotti. – Già il gondoliere godevasi a mente i vicini tesori. G. Gozzi. – Non sapete quel che vi dite. Manzoni. – In quel momento non sapeva quel che mi facessi. Grossi. – Io mi credeva che fosse un uomo grande e appariscente. Passavanti.

§ 3. Intransitivo intensivo. Anche verbi intransitivi assumono queste particelle più, per altro, nel parlar poetico od elegante, che nel linguaggio ordinario. Io mi son un che quando Amore spira, noto. Dante. – Deliberò d’andare a starsi alquanto con lei. Boccaccio. – Ma ella s’è beata e ciò non ode. Dante. – Ogni cosa è cara come il sangue .... e questo si è che non v’è se non trecconi (rivenduglioli). Gelli. – Che tu con noi ti rimanga per questa sera, ne è caro. Boccaccio. – Poichè Neifile si tacque, Filomena così cominciò a parlare. Boccaccio. Io mi vivea di mia sorte contenta. Ariosto. – E scese in riva al fiume e qui si giacque. Tasso. – Dal palagio s’uscì e fuggissi a casa sua. Boccaccio. – Una donna soletta che si gìa (si andava; voce poetica) Cantando. Dante.

Partirsi (da partire, dividere), è la forma primitiva, usata quasi sempre dagli antichi; p. es. Pártiti da cotesti che son morti. Dante. – Partissi dunque il Saladino. Boccaccio. – Vedi più oltre in questo cap. § 8.

§ 4. È però comune anc’oggi l’usare questi intransitivi intensivi, ma aggiungendo alle particelle pronominali l’avverbiale ne, p. es. andarsene, partirsene, starsene, viversene, rimanersene ecc. (nel senso del semplice andare, partire, ma con maggior forza e determinazione). E le lor donne e i figliuoli piccioletti quale se n’andò in contado, e qual qua e qual là. Boccaccio. – Tu te ne se’ cosi tosto tornato in casa? Boccaccio. – Tu te n’andrai con questo antivedere. Dante. – Vassene il valoroso. Tasso. – Genserico se ne tornò in Africa. Machiavelli. – Se ne stava tutto il dì al tavolino. Pellico. – Vedi nel capitolo degli avverbii la particella ne.

Intorno al modo di circoscrivere i tempi del verbo attivo coi verbi ausiliarii stare, andare, vedi addietro, cap. XVI, §§ 22, 23, 24.

Intorno all’uso dei verbi attivi senza alcuno oggetto espresso, vedi la Parte II, dove si tratta del complemento oggetto.

§ 5. Varie specie di riflessivi. Nell’uso dei verbi riflessivi bisogna distinguere quei casi, in cui il soggetto è causa efficiente dell’azione significata dal verbo, da quei casi, in cui il soggetto soffre l’azione, piuttostochè farla propriamente. Nei primi il pronome personale è vero oggetto del verbo, nè più nè meno che sarebbe un nome; nei secondi il pronome è soggetto e oggetto insieme, o piuttosto è una cosa di mezzo fra l’uno e l’altro.

§ 6. Ai primi appartengono, p. es. battersi (battere sè stesso a bella posta, nè più nè meno che un’altra persona o cosa), caricarsi, ferirsi, lodarsi, uccidersi, scusarsi, vestirsi, spogliarsi, anzarsi, odiarsi, ecc. ecc.

Ai secondi appartengono, p. es. spaventarsi (restare spaventato, non già mettersi paura a bella posta, come si farebbe ad altri), smarrirsi (restare smarrito, non già perder veramente sè stesso, come si perderebbe qualche cosa), turbarsi, addolorassi, annojarsi, addormentarsi (restare addormentati, mentre si dice addormentare alcuno per farlo dormire), attristarsi, rallegrarsi, contentarsi, appagarsi (esser contento, pago, mentre si dice contentare o appagare alcuno), ingannarsi (sbagliare involontariamente). Gli orecchi possono leggermente ingannarsi, e più che mai possono ingannarsi gli occhi. Magalotti.

Talora avviene che uno stesso verbo possa usarsi ora nell’un significato ora nell’altro, come p. es. il verbo affliggersi, che può significare tanto affligger sè stesso volontariamente per correggersi, quanto essere afflitto, provar dispiacere. Esso medesimo si comincia a punire fuggendo ogni diletto e affliggendosi in ogni penitenza. Cavalca. – Mentre costui così si affligge e duole E fa degli occhi suoi tepida fonte ecc. Ariosto.

§ 7. Vi sono, oltre a questi, molti intransitivi di forma riflessiva, tali cioè che non possono separarsi mai dalle particelle pronominali, o che, separandosene, varierebbero affatto significato; p. es. abboccarsi nel senso di parlare con alcuno (abboccare vale prendere colla bocca); accorgersi, adirarsi, ammalarsi, apporsi nel senso di dar nel segno, indovinare (apporre significa aggiungere, criticare ecc.), arrendersi, astenersi, diportarsi, impadronirsi (non è dell’uso impadronire alcuno per renderlo padrone), ingegnarsi, incollerirsi, lagnarsi, maravigliarsi, pentirsi, peritarsi, ravvedersi, sovvenirsi per ricordarsi (sovvenire vale ajutare), vergognarsi. Questi a simili verbi li chiamammo (Gramm. pag. 199) riflessivi assoluti.

Quando la particella pronominale sta a indicare soltanto il complemento d’interesse (vedi la Parte II [cap. III § 20 Red.]) con un verbo transitivo accompagnato dal proprio oggetto, non si hanno veri verbi riflessivi, ma soltanto apparenti. (Vedi qui addietro cap. XVI, § 8).

§ 8. Riflessivi che perdono la pronominale. Alcuni verbi riflessivi possono perdere la particella pronominale conservando lo stesso significato, e ciò specialmente nel verso o nella nobile prosa. E a questi ne appartengono parecchi considerati come transitivi. (Vedi addietro cap. XIV, § 7 e 8). Tali sono p. es. affogare o annegare per annegarsi (come caso, non come suicidio); affondare per affondarsi, adombrare o aombrare (per aombrarsi), affrettare nel senso medesimo di affrettarsi, ammalare nel senso di ammalarsi, infermare invece di infermarsi, aggravare per aggravarsi, inchinare per inchinarsi, muovere per muoversi, partire, più spesso che partirsi, nel senso di andar via, riposare per riposarsi, sbigottire per sbigottirsi, degnare e sdegnare per degnarsi e sdegnarsi, trarre, invece di trarsi, per accorrere, volgere invece di volgersi, parlando di tempo che passa; vergognare per vergognarsi, levare per levarsi, maravigliare per maravigliarsi, riposare per riposarsi, disperare per disperarsi ecc. ecc. – Più galee delle sue affondarono in mare colle genti. G. Villani. – A guisa di ronzino, che aombri. Casa. – Schiva di più veder l’eterea luce Affrettò di morire. Caro. – Il detto Patriarca ammalò a morte. G. Villani. – Antisco infermò a morte. Boccaccio. – Aggravando nel male non lasciava pur una delle sue radicate libidini. Davanzati. – Inchinando l’uno all’altro, presero commiato. Ser Giovanni Fiorentino. – Or muovi, non smarrir l’altre compagne. Petrarca. – Di dove muove un soffio d’aura gelata. Magalotti. – Non sbigottir, ch’io vincerò la prova. Dante. – Un topo .... trasse all’odore. Novellino. – Temendo e vergognando. Boccaccio. – Leva su, vinci l’ambascia. Dante. – Ond’io meravigliando dissi: or come Conosci me? Petrarca. – Come degnasti d’accedere al monte? Dante. – I Fiorentini sdegnarono molto. G. Villani.

§ 9. Verbi di doppia forma ecc. Alcuni verbi hanno doppia forma e doppia costruzione; l’una attiva, l’altra intransitiva e riflessiva; come ricordare, scordare, rammentare, lamentare una cosa; e ricordarsi, scordarsi, lamentarsi ecc. di una cosa. Altri hanno una forma riflessiva, ed una impersonale: dolersi di una cosa, dolere di una cosa ad alcuno; sovvenirsi d’una cosa, sovvenire ad alcuno di una cosa. Vedansi i Vocabolarii.

Altri verbi intransitivi prendono talora forma riflessiva, come abusare. Alcuni si abusano di questo detto di Cristo. Segneri. – È nell’uso anche sbagliarsi accanto a sbagliare. P. es. Potrei sbagliarmi, ma credo che sia così. (Vedi Fanfani, e Arlia. Lessico della corrotta italianità).

Alcuni verbi riflessivi assoluti lasciano talvolta la particella pronominale per prendere senso, come dicono, fattitivo, significando il mettere altri in quello stato che il verbo accenna; p. es. Troverà a sdegnar gli altri altro consiglio, A sdegnar questi due, questo è perfetto (cioè fare sdegnare). Ariosto. – Gastigare l’adirato e crucciarsi contro di lui, non è altro che adirarlo più (farlo adirare). S. Concordio. – Parlando usiamo talvolta in questo senso il verbo mararvigliare, p. es. questa notizia mi maraviglia assai.

§ 10. Infiniti riflessivi senza la particella. Perdono altresì la particella pronominale i verbi riflessivi, quando, usati nel modo infinito e avendo per soggetto un nome od un pronome, dipendono dai verbi fare e lasciare o da verbi di percezione (vedere, udire, sentire): allora per regola il nome o pronome deve posporsi all’infinito, ma se il pronome fosse di forma congiuntiva (lo, la, li, le), viene attratto dal verbo reggente. P. es. faccio adirare gli amici, faccio vergognare i cattivi, faccio pentire qualcuno, non lo lascio muover di qui, non lo lascerò accorgere di questa cosa, fece levare i figliuoli ecc. Il non poterla fare accorgere, non che pietosa, del mio amore ecc. Boccaccio. – Veggo rinnovellar l’aceto e il fele (rinnovellarsi). Dante. – Allor vid’io meravigliar Virgilio (meravigliarsi ecc.) Dante. (Cfr. addietro cap. XX, § 19). Ma coi riflessivi propriamente detti, derivati cioè da un verbo transitivo, bisogna por mente che l’infinito non possa sembrare usato in senso passivo, come se si dicesse lo vidi battere per significare lo vidi battersi (dove il si sarebbe necessario). Per fare al re Marsilio e al re Agramante Battersi ancor del folle ardir la guancia. Ariosto.

Quanto al traslocamento delle particelle pronominali con questi verbi, vedi la P. III [cap. II § 14 Red.] e ricorda pure ciò che abbiamo detto qui addietro.

§ 11. Participii riflessivi senza la particella. Possono perdere altresi la particella pronominale alcuni participii riflessivi assoluti, quasi nascessero da verbi intransitivi semplici. Tali sono adirato, ammalato, corrucciato, disperato, incollerito, maravigliato, pentito, ravveduto, riposato, risentito (nel senso di facile a risentirsi). La donna rispose adirata. Boccaccio. – Gravemente infermato fu visitato dal re. Passavanti. – Galba incollerito co’ Lionesi confiscò loro tutte l’entrate. Davanzati. – Tardi pentito di sua feritade (ferità). Petrarca. – La donna disperata della vendetta propose di voler mordere la miseria del detto re. Boccaccio. – La quale, fieramente di ciò adirata, gli disse una gran villania. Boccaccio. – Di che maravigliati i Veii e impauriti, concessero a’ loro artefici che rendessero il carro di terra cotta a’ Romani. Adriani il G. – Dove mi lascio or io trasportare, quasi dimenticato del luogo dov’io ragiono? Segneri. (Cfr. addietro, cap. XXI, § 7).

L’infinito, il gerundio ed il participio dei verbi riflessivi usati personalmente si affiggono quella particella pronominale che corrisponde alla persona, la quale fa loro da soggetto; mi rispetto alla prima, ti alla seconda ecc. Per le eccezioni vedi il capitolo seguente sui verbi impersonali, § 10.

§ 12. Riflessivi reciproci. I verbi riflessivi nelle tre persone plurali d’ogni tempo e nell’infinito, participio e gerundio, possono prendere significato e nome di reciproci, quando l’azione accade vicendevolmente fra due o più soggetti. Perciò che l’uno e l’altro era prod’uomo nell’arme, s’amavano assai. Boccaccio. – Quando s’accorsero d’essere osservati, si parlarono sotto voce e tornarono indietro. Manzoni. – Spesso per maggior chiarezza il reciproco si rafforza coi modi avverbiali l’un l’altro, l’un coll’altro ecc. fra loro, insieme ecc. E baciavansi insieme alcuna volta. Dante. – Essendosi accapigliati insieme due cherici ecc. Cavalca.

Anche nella terza persona singolare può aver luogo il reciproco, quando vi sia un nome collettivo. Vieni a veder la gente quanto si ama (cioè quanto gli uomini, compresi nel collettivo gente, si amano fra di loro). Dante.

L’un l’altro, l’uno all’altro ecc. bastano a dare senso reciproco alla terza singolare anche non riflessiva. L’un l’altro abbracciava. Dante. – L’un l’altro ha spento. Dante.

§ 13. Forma passiva. La forma passiva propriamente detta è costituita (come dicemmo qui addietro, cap. XVI, § 14) dal participio passato di verbi transitivi, accompagnato dai tempi semplici e composti di essere. Io sono lodato, tu sei stato lodato, egli sarà lodato ecc. Il participio passato prende qui valore d’aggettivo, in quanto si accorda sempre in genere e numero col proprio soggetto (furono lodati o lodate; è stata lodata, saranno state lodate); ma conserva il valore verbale, in quanto prende dall’ausiliare, cui s’accompagna, la determinazione del tempo, cioè esprime il presente, quando l’ausiliare sta in questa forma, l’imperfetto, il passato remoto, il futuro ecc. quando l’ausiliare è imperfetto, passato remoto ecc. Sono lodato indica mi lodano ora, in questo momento: fui lodato vale precisamente mi lodarono e così di seguito. In questa connessione e quasi direi unificazione del participio passato col suo ausiliare consiste la forza passiva, la quale mancherebbe tosto qualora il participio divenisse aggettivo, cioè non corrispondesse più al senso temporale dell’ausiliare. Per esempio, nella proposizione la stanza è dipinta, non si ha il passivo, perchè in essa non diciamo che la stanza viene dipinta in questo momento, che ora la dipingono, ma bensì che la stanza ha pitture, nello stesso modo che, sostituendo un vero aggettivo, si direbbe la stanza è bella, la stanza è ricca.

§ 14. Vi sono però dei verbi, il cui participio involge sempre o può involgere il concetto di azione compiuta (vedi addietro cap. XXI, § 5, nota). P. es. sono ferito (cioè, ho ricevuto una ferita), sono preso (mi hanno preso), sono domato (mi hanno domato), sono battuto (ho ricevuto delle battiture) e molti altri. I tempi composti di tali verbi possono pertanto, se non vi sia equivoco, costruirsi col semplice essere omettendo il participio stato. Essendo l’impero di Roma da’ Franceschi (francesi) ne’ Tedeschi trasportato (invece di essendo stato), nacque tra l’una nazione e l’altra .... acerba e continua guerra. Boccaccio. – Ella era appunto una città piena d’infiammazione, essendo fondata (stata fondata) da uomini i più feroci e marziali che fossero. Adriani il G.

In tali verbi i tempi semplici (quelli cioè che non hanno il participio stato) sostituiscono sovente, per meglio mostrare che l’azione sia in atto, l’ausiliare venire all’ausiliare essere; p. es. io vengo, veniva, venni, verrò battuto, ferito, abbandonato ecc. (Vedi addietro, cap. XVI, § 15).

Anche i verbi restare, rimanere, trovarsi e simili possono fare da ausiliare nei passivi, ma in un modo più determinato; p. es. resto abbandonato (invece di sono), rimasi stupefatto (fui ecc.), mi trovo disprezzato da tutti (sono ecc.) Altri esempi più oltre nel § seguente.

§ 15. Complemento del passivo. Il complemento proprio della forma passiva, la persona cioè o la cosa, per la quale il soggetto sperimenta l’azione, è un complemento di causa, e si esprime colla prep. da. Talora, invece di da, si usa per o affine di evitare una ripetizione troppo vicina del da, o per chiarezza od eleganza, o quando il verbo è sottinteso, come spesso nei frontispizii de’ libri; p. es. Scelta di autori classici, per Domenico Pellegrini.

§ 16. Esempi misti di costruzione passiva. – Era egli perseguitato a morte dal perfido Boleslao sito fratello di sangue. Segneri. – Era in que’ tempi Minuccio tenuto un finissimo cantatore (cantore) e sonatore, e volentieri dal re Pietro veduto. Boccaccio. – Infelice Germania! Miransi nel tuo seno ancora fumanti gli avanzi di quell’incendio, sollevato in te da quel tuo nemico trionfale, ecc. Segneri. – Riedificò altra casa in sito donatogli dal popolo. Adriani il G. – Si facesse morire .... qualunque (chiunque) aspirasse di farsi tiranno, e l’uccisore venisse assoluto, se giustificava l’intenzione del morto. Adriani il G. – Questo primo (tempio) edificato da Tarquinio e consecrato da Orazio, fu abbruciato per le guerre civili e riedificato appresso da Silla e consecrato da Catulo. Adriani il G. – Pregavano ferventemente di esser tornati nella fanciullezza. Leopardi. – Questa gloria (degli studii), contuttochè dai nostri sommi antenati non fosse negletta (participio difettivo dall’inusitato negligere), fu però tenuta in piccolo conto per comparazione alle altre. Leopardi. – La filosofia per la prima volta .... fu introdotta da Socrate nelle città e nelle case, e rimossa dalla speculazione delle cose occulte .... fu rivolta a considerare i costumi e la vita degli uomini. Leopardi. – S’andava intanto mescendo e rimescendo di quel tal vino; e le lodi di esso venivano, com’era giusto, frammischiate alle sentenze di giurisprudenza economica. Manzoni. – Stava aspettando, ma in aria di non voler andarsene, prima d’essere stato ascoltato (con poca differenza potea dirsi d’essere ascoltato). Manzoni. – Lei (Ella) può con una parola .... sollevar quelli, cui è fatta una così crudel violenza (qui nel senso di vien fatta, perchè la violenza di D. Rodrigo non era anche compiuta). Manzoni. – Addio chiesa .... dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato (in senso di futuro). Manzoni. – Pigliamo un nobile avvenimento che vien descritto dal padre S. Agostino. Segneri. – Le avventure di Lucia si trovano avviluppate in un intrigo tenebroso. Manzoni. – Persone anche nobili più di noi han praticata questa legge medesima del perdono, senza che quindi rimanga contaminata la loro chiarezza. Segneri. – La qual lettera (il giudice) ricevuta e letta, molto restò (fu) edificato dalla sua fermezza. Vite SS. Padri. – E più non disse e rimase turbato (si turbò, ma col concetto di durata). Dante. Fur (furon) l’ossa mie per Ottavian sepolte. Dante. La Toscana e la Romagna per un ministro del l’imperatore occidentale era governata. Machiavelli. Avvenne che per la reina e per tutti fu un gran rumore udito che per le fanti e’ famigliari (e i familiari) si faceva in cucina. Boccaccio. – Intanto voce fu per me udita. Dante.

§ 17. Forma riflessivo-passiva. Invece del passivo propriamente detto è spessissimo adoperata la forma riflessiva in senso passivo. Abbiamo veduto la tendenza che molti verbi hanno, unendosi colle particelle pronominali, a cambiare il loro significato d’azione in quello di stato o passione (vedi sopra, § 5). Non è maraviglia pertanto, che la forma riflessiva abbia preso generalmente significato passivo, quando però non ne veniva equivoco, e si sia quindi potuta costruire col complemento di causa, nè più nè meno che i veri passivi. P. es. invece di dire la bestia è battuta dal padrone, possiamo dire la bestia si batte dal padrone, ovvero dal padrone si batte la bestia; mode da preferirsi coi verbi che involgono (come dicemmo sopra) un compimento d’azione.

§ 18. Quest’uso però è sottoposto alla legge che non ne debba nascere equivoco, cioè che non si abbia a intendere in senso riflessivo quel verbo che vuolsi far passivo. Quindi esso non si estende nè alla prima, nè alla seconda persona (non si direbbe io mi batto dal servo, nè tu ti biasimi dagli anici per dire io sono battuto ecc. io sono biasimato), ma soltanto alla terza singolare e plurale, all’infinito, al gerundio, al participio passato, e nella terza persona stessa non può avere per soggetto un pronome personale (come se si dicesse egli si batte per è battuto; colui, quegli, coloro si loda, si lodano da’ buoni), ma un nome, ovvero un pronome di cosa (p. es. dei due abiti, questo s’indossa, quello si lava). Di più, si suole, ove vi fosse ombra d’equivoco, posporre il soggetto al verbo (p. es. si lodano i buoni, si vituperano i cattivi).

La forma riflessivo-passiva nelle prime e seconde persone adoprasi soltanto coi verbi chiamare ed altri simili, nel senso di aver nome. Mi chiamo Raffaello: ti chiami Francesco: vi appellate tutti e due Giovanni. Tu ti domandi Filippo.

§ 19. Esempii varii di riflessivo-passivo. – Qual tradimento si commise giammai più degno d’eterno supplicio? Boccaccio. – Quivi s’odono gli uccelletti cantare, veggionvisi verdeggiare i colli e le pianure. Boccaccio. – Sangue perfetto che mai non si beve Dall’assetate vene ecc. Dante. – Sentitasi pe’ (da’) Fiorentini la loro deliberazione, i capitani e governatori della guerra tennero consiglio. Compagni. – In qual altro secolo si raccontano litigi più pertinaci? Segneri. – Si è veduto per tutto il volgo famelico marcire, consumato dall’inopia ed inabile alla fatica. Segneri. – Sospendasi in alto qualche secchiello. Galilei. – Godonsi alla villa que’ dì ariosi e chiari e aperti .... fuggonsi gli strepiti della città. Pandolfini. – Quando le Muse s’invocano a scrivere, non s’invocano a pensar di scrivere? Caro. – La grammatica e le figure del dire si sono cavate dall’osservazioni de’ buoni autori. Caro. – Quanti beni .... avendoli, non si curano! Leopardi. – Si vedevano attaccati al muro schioppi, tromboni ecc. alla rinfusa .... Manzoni. – Si richiedono molte circostanze, le quali ben di rado si riscontrano insieme. Manzoni.

Questa forma riflessivo-passiva prende talvolta senso imperativo di necessità o dovere: p. es. gl’infelici non si deridono, cioè, non si debbono deridere; i segreti non si palesano (non si debbono palesare). Cfr. addietro cap. XVI, § 16.

Non si può determinare con esattezza quando sia meglio adoprare il passivo propriamente detto, e quando il riflessivo-passivo. Nell’uso comune quest’ultimo è certo il più frequente, e sarà da preferirsi, quando prema di mettere in chiaro l’atto dell’azione (p. es. si vedono, si trovano, rendono altro senso da sono veduti, sono trovati ecc. che potrebbero indicare azione compiuta), e quando il verbo da farsi passivo sia uno de’ servili potere, dovere, volere, ed altri somiglianti, cominciare, finire ecc. (vedi addietro cap. XVI, § 19) che reggono un infinito.

§ 20. Si usano anche talora in senso passivo de’ participii di lor natura intransitivi, o si dà a verbi intransitivi come soggetto un nome che in costruzione attiva sarebbe falso oggetto. (Vedi la Gramm. I, XVIII, 3 e XXVI, 2 nota; e meglio la Sintassi, Parte II [cap. I § 15 Red.]). – O voglionsi pigliare i tempi di suono a suono ecc. o dagli spazi corsi dalla lancetta (att. correre gli spazii). Cimento. – Vicino al fin de’ passeggiati (att. passeggiare i marmi) marmi. Dante. – Ragionato questo, disse loro ciò che udito avea. Boccaccio. – Eziandio delle parole ignorantemente parlate ci converrà render ragione. Cavalca. – Come per le cose discorse pare non sol verisimile, ma quasi certo. V. Borghini. – Io gli studii leggiadri Talor lasciando e le sudate carte (le carte, sulle quali ho sudato) ecc. Leopardi.

Il participio del verbo morire si trova usato anche in senso passivo. Molti di loro furono morti (uccisi) e presi. G. Villani. – Che voglion tutti gli ordini e le leggi Che chi dà morte altrui debba esser morto. Ariosto. – Oggi tal modo è ristretto alla poesia.


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