Venerdì 29 dicembre 2000    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

PREFAZIONE

La Sintassi della lingua italiana offre, per essere ben trattata, difficoltà di gran lunga maggiori, che non l’etimologia. Lasciando stare l’immensa materia che essa comprende, i suoi costrutti hanno una instabilità e varietà più grande, che non abbiano le forme delle parole. E per verità in questa parte, più che altrove, l’uso regolare introdotto dalle scritture, e l’uso popolare co’ suoi idiotismi differiscono sovente, e gli scrittori stessi, anche buoni e corretti, ora all’uno ora all’altro propendono. Nè questa varietà si può, nella maggior parte dei casi, rimuovere, senza impoverire la lingua o nuocere alle varie e mutabili necessità dello stile, di cui uno dei mezzi più efficaci sta appunto nella Sintassi. Vi sono poi nel parlar toscano alcuni costrutti, non ricevuti fin qui dall’uso più comune degli scrittori, ma tali, che potrebbero un giorno farne parte; e che quindi non voglion essere nè taciuti, nè disprezzati. Oltre a questa moltiplicità di maniere diverse, il compilatore d’una sintassi trova meno ajuti ne’ libri, poichè finora i nostri grammatici (oltre al non scernere, neppur qui, abbastanza l’antiquato dal moderno) non hanno dato a questa materia l’estensione debita, o non hanno saputo riconoscerne i veri limiti. Da un lato dunque si sono spacciati troppo brevemente o troppo per le generali dei costrutti proprii di ciascuna parte del discorso (tenendo picciol conto di tante minori regole ed osservazioni), forse perchè, scrivendo per i connazionali, si affidavano all’uso, e credevano superfluo o dannoso analizzare tanto per minuto il modo di costruire; dell’altro hanno saccheggiati troppo spesso i vocabolarii, inserendo nella Sintassi lunghissime serie dei diversi usi di un tal verbo, o delle frasi, a cui poteva dar luogo. Or io credo che in così fare abbiano preso errore non lieve, parendomi che il campo proprio della Sintassi consista nelle regole più o meno generali, con cui il parlatore d’una lingua deve formulare i suoi pensieri, e non già nelle proprietà accidentali delle parole e delle frasi esaminate ad una ad una; ufficio che si appartiene al Vocabolario. Ed io sono di parere che i Vocabolarii dovrebbero registrare, più che non fanno, i reggimenti de’ verbi e delle particelle, cose che per la loro immensa varietà la Sintassi non può e non deve ricercare in tutti i minuti particolari.

Più diligenti e più metodici si mostrano nella disposizione della Sintassi, anche italiana, i grammatici tedeschi, primo l’illustre Diez, che con sì bell’ordine e con tanta esattezza confrontò le forme sintattiche delle lingue romanze, e (per tacere di altri non pochi) recentemente il Vockeradt professore a Paderborn, il quale nella seconda parte della sua Grammatica Italiana (Berlin, 1878) raccoglie e ordina, si può dir, tutte le varietà dei costrutti italiani, e somministra una larga copia d’esempii appropriati, sì antichi come moderni. Dopo avere messo a profitto, com’era mio dovere, i nostri migliori grammatici d’ogni secolo, mi sono molto avvantaggiato di quest’opera, principalmente per parecchie peregrine osservazioni che forse altrimenti mi sarebbero sfuggite, e anche non di rado per gli esempii medesimi.

Nè però si creda che io abbia generalmente seguito nell’ordine l’uno o l’altro di questi grammatici forestieri, poichè utilissimi com’e’ sono e del tutto opportuni per la loro nazione, riescono per noi di quando in quando soverchiamente analitici, e se giovano a consultarli (mediante gl’indici accuratissimi), non si prestano tanto bene ad uno studio continuato e metodico, al quale io ho principalmente mirato nel mio lavoro. Ed eccomi a dirne brevemente i criterii.

Prima di tutto ritorna anche qui sul frontispizio la frase, dell’uso moderno: definirò pertanto, meglio ch’io non facessi nella prefazione alla Grammatica, che cosa io intenda per uso moderno. Esso consiste, a mio avviso, in tutta quella parte della lingua, che, mentre si parla o s’intende almeno dal popolo medio di Toscana, ha anche a suo favore la grande maggioranza degli scrittori accurati, sì antichi come recenti. Il fondamento adunque dell’uso moderno io lo ripongo nel popolo toscano, ma la testimonianza definitiva, nell’accordo degli scrittori. Io stabilisco, quasi direi, una repubblica ben ordinata, in cui gli affari non si compiono contro i voleri del consiglio generale, ma si compiono per giudizio e decisione degli ottimati, i quali, fra i varii partiti non affatto dal popolo ripudiati, scelgono ed eseguiscono quelli che loro piacciono. Nè per queste due autorità ho inteso rinunziare alla ragione, la quale anzi mi ha più volte mosso a scegliere fra due maniere, autenticate ugualmente dall’uso, quella che avesse in suo favore la maggior logica o il miglior gusto. Chè una preferenza ho sempre cercato di stabilire, senza però mettere ad errore o passare sotto silenzio la maniera non preferita, quando era buona e in certi casi preferibile essa stessa.

Ho distribuito la trattazione in tre parti. La prima e più vasta (parte analitica) divide la costruzione secondo le varie forme del discorso, delle quali io esamino gli usi, ma in quanto a certe leggi concernenti il legame di esse con le altre parole, non in quanto a tutti i loro significati, perchè avrei invaso le ragioni del Vocabolario; chè se talvolta, come forse nel trattar de’ pronomi, ho specificato troppo, mi è parso che una materia così formale, e così strettamente legata colle relazioni generali del pensiero, avesse nella Sintassi un’importanza tutta speciale sopra le altre. Nella seconda parte che studia gli elementi della proposizione, mi si offriva una selva infinita di complementi (così ho detto, per maggior chiarezza, invece del modo più italiano, compimenti), e di proposizioni diverse. Che fare, volendo studiare a semplicità? Quanto ai complementi, mi parve poterli esaminare in sè stessi, piuttostochè rispetto alle varie parti del discorso, come di solito fanno i grammatici; i quali o vi ammanniscono un vero trattato degli usi delle particelle, usurpando le parti del Dizionario, ovvero vi sfilano una serie di complementi pel sostantivo, una serie per l’aggettivo, e una serie più lunga ancora pel verbo, mentre fra gli uni e gli altri vi ha in tanti casi stretta relazione. Io pertanto (messi da parte il soggetto, il predicato e l’oggetto, come elementi principali) ho distinto i complementi più comuni in due classi, in attributivi ed avverbiali, risguardando i primi come modificazione dell’idea nominale, i secondi come modificazione dell’idea verbale, comprendendo in questa anche aggettivi e. sostantivi di significato analogo ai verbi. E così ho in poco spazio e per sommi capi abbracciata tutta quella vasta materia. E, tenendo pari semplicità per le proposizioni, non ne ho ammesse che due classi fondamentali, le principali e le subordinate; le quali ultime ho poi divise, e collo stesso ordine de’ complementi, in soggettive, oggettive, attributive ed avverbiali. Ecco in questa guisa restar sempre netto il disegno della proposizione, che da semplicissima qual nasce, va ramificando le sue membra per divenire un gruppo di complementi o, analogicamente, un gruppo di proposizioni. I quali gruppi di proposizioni, non meno che le proposizioni primordiali, coordinandosi insieme formano poi il discorso, con un cenno del quale ho terminato, indicando, piuttosto che spiegando, i varii legami fra più pensieri schierati l’uno accanto all’altro. Nella terza parte infine ho analiticamente esposto le norme più costanti per la collocazione delle parole, salendo anche qui dalle relazioni grammaticali fra le parti del discorso a quelle logiche tra gli elementi della proposizione, e tra le proposizioni principali e le subordinate. Benchè l’ordine del mio trattato sia quale l’ho descritto; avverto nondimeno che, ove s’introduca nelle scuole, sarà profittevole disporne un po’ diversamente lo studio, ed ecco come. Innanzi a tutto si faranno bene intendere ed imparare i preliminari generali, cioè quelle poche pagine poste da principio, che servono di necessaria introduzione a tutto il libro; poi si passerà subito alla seconda parte; ma questa s’illustrerà via via con richiami ai più notevoli capitoli o paragrafi della prima, che si leggerà in appresso. La terza infine sarà materia di uno studio più speciale da farsi all’ultimo, ovvero potrà anch’essa consultarsi parcamente, ove se ne vegga il bisogno. In questa guisa, se non oso sperar troppo, la mia Sintassi fornirà nello stesso tempo, e con la maggior possibile semplicità, i mezzi per uno studio sull’organismo del pensiero nella parola, e sulle proprietà speciali della nostra bella lingua.

Due appunti generali (prescindendo dai molti particolari) temo che mi si possano fare. Il primo risguarda gli esempi. Perchè, si dirà, in una Sintassi dell’uso moderno dare spesso esempii di scrittori antichi, come sono, fra gli altri, Dante, il Petrarca e il Boccaccio? Qui bisogna intenderci bene. Gli esempii nella mia Sintassi non son portati, come in altri simili lavori, per convalidare la regola; ma soltanto per chiarirla, ossia per farla capire. Io mi sono proposto un uso che chiamo moderno e che credo buono, e quello insegno come tale: quanto poi all’esempio, o questo sia di Dante, o del Segneri, o del Manzoni, o, del Leopardi, o del Grossi, o anche foggiato lì per lì dal compilatore, tanto fa. Ma perchè allora ammetterne di antichi, nei quali spesso o la forma grammaticale o la costruzione offrono difficoltà? Ecco. Un po’ per la stima e la divozione che sento verso i nostri grandi padri, e per desiderio di adornare delle loro fulgide gemme questi aridi precetti; un po’ per seguire la tradizione di quasi tutti i grammatici, cominciando da Pietro Bembo, e terminando con quelli de’ tempi nostri, non esclusi gli stranieri. E forse anche ne verrà qualche vantaggio; chè se alcuno vorrà negli esempii avere una convalidazione, un’autorità in sostegno della regola, il più delle volte resterà contento; oltre di che ciò mostrerà sempre meglio come l’uso da me chiamato moderno abbia le sue radici molto profonde. Nè grave sarà il danno di qualche voce antiquata o poetica, poichè vi si soggiungerà in parentesi la moderna equivalente; e neppure quello della sintassi contorta, perchè la terza parte non lascerà dubbio fra la costruzione regolare della nostra lingua, e le licenze toltesi da alcuni scrittori.

Ad un altro appunto potrà forse dar occasione il trovarsi alcune regole od osservazioni ripetute in due, e talvolta in tre luoghi. Ciò è dipeso dal metodo che ho seguito, metodo più sintetico che analitico, e dal desiderio di non isparpagliare troppo la trattazione con soverchii richiami. Questo mi ha pure indotto a dare a ciascun capitolo una certa indipendenza dagli altri, facendo che vi si trovassero ripetute non solo alcune cose dette altrove (confortate per lo più da nuovi esempi o chiarite meglio); ma ancora parecchie cose già toccate nella Etimologia, come nella Etimologia stessa si trovano accennate varie cose spettanti alla Sintassi. In tal guisa i due volumi, mentre si compiono a vicenda, possono stare anche separati, giovando il primo per uno studio generale non molto profondo, e l’altro per un compimento e perfezionamento a chi già conosce la lingua. Donde altresì la ragione del titolo, chè Sintassi, quantunque sia realmente una parte della Grammatica, si distingue e contrappone in certa maniera all’intitolazione generale di Grammatica, posta sul frontispizio del primo volume. E quest’avvertenza renda anche ragione del diverso metodo che ho tenuto quanto agli accenti, che qui non ho voluto (come feci nell’altro volume) segnare sulle parole portate per esempio, supponendo che chi fa lo studio della Sintassi, sia ormai pratico abbastanza della vera pronunzia.

Altro non aggiungo, chè già troppo ho messo a prova, colla prolissità del volume, la solerzia e il coraggio del valente Editore G. C. Sansoni. Soltanto mi resta da sottoporre questo mio qualsiasi tentativo al giudizio dei critici dotti e imparziali, attestando che d’ogni correzione fattami resterò loro sempre gratissimo.


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