20 Febbraio 1999    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

Storie di parole italiane

Società civile

Il termine «società civile» è stato messo più volte alla berlina, insieme con «indagine conoscitiva» ecc. come una ripetizione e un inutile vezzo linguistico. Ma in questo caso è una condanna ingiusta.

Il pensiero classico relativo alla società poneva al centro della sua attenzione le relazioni statali: da Platone a Machiavelli la società è la polis, e la dottrina che la studia è la politica. L’economia, che ognuno di noi adesso vede come un fatto eminentemente sociale, era invece considerata preoccupazione privata: oikonomía, da oîkos, è la scienza che si occupa dell’amministrazione della casa. Essa poteva interessare la politica solo come scienza della tassazione e delle finanze statali. Così è in Aristotele, nell’Economico dello Pseudo-Senofonte e in tanti altri testi antichi.
A partire dalla metà del Settecento invece si cominciò a guardare, come ad un campo di indagine indipendente, all’insieme delle relazioni sociali che si sviluppano fra gli individui al di fuori dello stato; relazioni economiche, in senso moderno, ma non solo. Il testo classico è di Adam Ferguson, An Essay on the History of Civil Society, 1767; ma il termine era più vecchio; trovo citato, nelle note alla traduzione italiana del precedente, un Traité de la Société Civile, 1726, di un certo C. Buffier, a me sconosciuto.
La ricerca del Ferguson influenzò fortemente Adam Smith, e attraverso lui tutto il pensiero moderno; sia il filone liberale, che ha fatto della contrapposizione fra società civile e stato il centro della propria battaglia; sia il marxismo, che ne ha tratto la distinzione tra struttura e sovrastruttura. Anche la moderna antropologia culturale non sarebbe possibile senza questo concetto.


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