Piaccia o no, la regoletta è semplice e si trova in qualunque testo scolastico. Alcune parole possono perdere un pezzetto alla fine sia davanti a vocale sia davanti a consonante: uno diventa un gatto e un amico. In questo caso abbiamo un troncamento, e non si usa l’apostrofo. Altre possono essere tagliate solo davanti a vocale: una rimane una gatta, ma diventa un’amica. Questa è l’elisione, e ci vuole l’apostrofo.
Nel caso di qual, espressioni come nel qual caso, in un certo qual modo ci obbligano, secondo quasi tutti gli autori, e secondo l’uso corrente, a concludere che si tratta di troncamento; e quindi: qual è, senza apostrofo.
Mi ero proposto di non intervenire in simili questioni, cioè in dubbi che possono essere risolti agevolmente consultando una qualunque grammatica elementare della lingua italiana. Ma qui faccio eccezione per rendere un omaggio a Luciano Satta, che ha mostrato come, anche su questioni banali e un po’ aride come quella di troncamento/elisione, si possano scrivere cose intelligenti ed interessanti.
Anche gli aggettivi e pronomi tale e quale diventano tal e qual sia dinanzi a vocale sia dinanzi a consonante, sia al maschile sia al femminile. Ma sono elisioni o troncamenti ? Cioè, è ancora frequente l’uso di far cadere le vocali finali di queste due parole davanti ad altra parola che cominci per consonante?
Possiamo rispondere sì per tale, giacché, senza contare l’espressione fissa il tal dei tali, si usa dire ancora « Nel tal giornale c’è il tal fotoservizio ». E allora scriveremo tranquillamente senza apostrofo tal amico, tal impresa e così via.
Ma qual è piuttosto raro davanti a consonante, e suona antiquato. Perciò alcuni grammatici consigliano di restaurare la forma qual apostrofata: qual’e. La presenza di due vocali uguali non fa tollerare in questo esempio che si scriva quale è, salvo che non si voglia dare a quale un risalto particolare. Ma davanti ad altra vocale l’imbarazzo dell’apostrofo può essere eliminato scrivendo quale per intero: quale amore, quale odio. In ogni modo noi siamo a favore di qual è, senza apostrofo; torneremo sulla faccenda tra poco, nelle nostre consuete osservazioni. [...]
Ma vediamo in breve come se la cavano gli scrittori con l’apostrofo, e quindi con l’elisione e il troncamento. Essendo l’apostrofo un segno dei meno appariscenti, può accadere che molti errori siano in realtà sviste tipografiche e niente più; tuttavia li citeremo, nel dubbio assolvendo l’autore.
La disputa se si debba scrivere qual’è o qual è non è risolta né dalle grammatiche, né tanto meno dalla letteratura. Sono per l’apostrofo, fra gli altri, Federigo Tozzi, Mario Tobino, Tommaso Landolfi, Paolo Monelli, Bonaventura Tecchi. Non apostrofano invece Vasco Pratolini, Giuseppe Berto, Alberto Moravia, Goffredo Parise, Libero Bigiaretti.
Ripetiamo alla buona i termini della polemichetta; e prendiamo gli argomenti di due studiosi: Franco Fochi (fautore dell’apostrofo) e Bruno Migliorini (che non ce lo vuole).
Dice il Fochi che per quale « il troncamento è cosa del tutto finita, che appartiene alla storia, e non più all’uso della parola ». Egli prosegue citando il qual maraviglia di Brunetto Latini a Dante, che oggi più nessuno direbbe; e osserva che qual resta soltanto nel detto scherzosamente solenne Tal morì qual visse, in una o due espressioni come per la qual cosa. Ricordate le combinazioni con certo – in certo qual modo, un certo qual garbo, una certa qual mansione – egli insiste: « Ma ecco che qui mansione, di tre sillabe, preferisce la forma intera: "una certa quale mansione". E l’effetto aumenta con l’allungarsi del nome: "un certo quale spiritello", "una certa quale condiscendenza", ecc. ».Insomma, secondo il Fochi, essendo il qual tronco una cosa storicamente morta, c’è solo il quale da elidere; perciò, apostrofo.
E sentiamo Bruno Migliorini: « Che si scriva un uomo e non un’uomo, un enorme peso e invece un’enorme ingiustizia è una distinzione non fondata sulla fonetica ma sulla schematizzazione dei grammatici. Distinzione artificiale è perciò quella fra "troncamento" e "elisione", ma una volta che questa distinzione si accetti, ne discende come un corollario ineluttabile che si debba scrivere senza apostrofo tal è, qual è... ».
L’argomento del Fochi fa riflettere, è vero. Ma ha qualche punto debole. Anzitutto l’esempio un certo quale spiritello non è acconcio; diciamo quale spiritello e non qual spiritello solo perché è buona norma non troncare davanti a parola che cominci con s impura.
Inoltre il Fochi cita onestamente alcuni esempi di sopravvivenza di qual.
Aggiungiamo, pignoli, il diffuso « Qual buon vento ti porta? »; e quattro citazioni di scrittori: « E qual rispetto dal concessionario... » (Domenico Rea); « ...senza qual sacro pudore » (Riccardo Bacchelli); « Qual testimone veridico... » (Carlo Emilio Gadda); « ... qual più qual meno » (Virgilio Lilli). Queste nostre quattro citazioni, ne siamo certi, possono aumentare, anche se non di molto. E allora, è proprio morto il qual?
Ma il nostro discorso è un altro. Franco Fochi sostiene che si deve scrivere qual’è ma non condanna come errore qual è; insomma egli ha messo o rimesso di moda un’altra duplice grafia del patrio idioma. Con tutte le parole che si possono scrivere in due, tre, quattro modi, non ce n’era davvero bisogno. [La prima scienza pp. 72−75]