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3. I voti all’esame di Stato

Qui comincia una breve relazione sul modo di dar voti all’orale nelle commissioni d’esame d’Australia

Oggi 5 luglio abbiamo finito la parte di esami dell’Istituto Rosa Russo Jervolino d’Australia. Per cinque giorni abbiamo interrogato, e, ben grigliati come eravamo, anche valutato.

Come si danno i voti all’orale? Nelle Commissioni in cui sono io presidente, l’operazione viene solitamente fatta con una certa elasticità, ma non, credo, con leggerezza. Talvolta si usa un metodo che più tradizionale non si può: ogni Commissario esprime una valutazione in decimi relativamente alla sua materia, poi si fa la media, si riporta in trentacinquesimi, e si vede se va bene. In genere il voto finale corrisponde a questo risultato aumentato di uno o due punti (il candidato si è impegnato nell’Area di Progetto e altre considerazioni del genere). Altre volte si è partiti direttamente da proposte di voto in trentacinquesimi, e su queste si è votato.

(E le griglie? Ah già, le griglie! e chi s’è più ricordato delle griglie!)

Non so se questo è il modo migliore, voi dell’emisfero boreale come vi regolate?


Qui si fanno alcune considerazioni sul dar numeri all’esame

Si è discusso sul didaweb sulla questione dei voti. La discussione è partita male, da un quesito relativo ad una prova scritta consegnata in bianco (si dà zero o uno?) ed è proseguita peggio, con un accanimento che ricorda quello relativo alla faccenda dell’anno zero, accompagnato da polemiche piuttosto aspre che non sto a riportare. Ma in quella discussione secondo me si è dimenticata una cosa. Il fatto di dare voti all’esame di Stato è ben diverso dal dare i voti durante l’anno. Durante l’anno si danno voti come momento inserito all’interno di una attività didattica; il voto serve come valutazione, stimolo, argomento di discussione, fìdde-bècch tra docente e discente. Il voto è un numero (la legge e il registro vogliono così), ma potrebbe anche essere espresso in modo diverso. Il voto è motivato, ed è analitico: «hai preso questo voto per questo questo e quest’altro motivo». E si spera che il voto assegnato abbia poi un riscontro nel lavoro che lo studente farà in seguito.

(«Voi studiate per il voto o per imparare?» Coro: «Per il voto!» - quando va bene. Quando va male, non studiano e basta).

All’esame di Stato non si va per insegnare. Si va per certificare un determinato risultato. È una certificazione che ha valore legale. Un titolo di studio, un pezzo di carta, come lo chiamano le Mamme d’Italia. Promosso sì/no, e se sì, quanto pesa la promozione. È vero che c’è un processo analitico per arrivare al voto finale (si sommano numeri), ma questo processo analitico non serve al candidato per capire come deve procedere nello studio - quello è finito. Serve alla trasparenza. Il vecchio esame aveva una misteriosità oracolare - trentasei! quarantadue! sessanta! - senza l’obbligo di dire come e da dove venivano fuori questi responsi. Oggi almeno si deve dire, passo passo, come si è arrivati a quel numero. Prima prova: tanto. Seconda prova: tanto. Terza prova: tanto. Colloquio: tanto. Totale: tanto. Non è un fatto di oggettività. È un fatto di trasparenza. Ed è anche un vincolo per la Commissione, che si astenga da fantasiosi voli valutativi: se la prima prova è così così e così ecc. alla fine non può venir fuori un voto cosà. Invece, col vecchio sistema, capitava di tutto (di tutto continua a capitare anche adesso, ma ne parleremo poi).

(Le discussioni sulle valutazioni oggettive mi fanno sempre venire in mente una vecchia barzelletta sui mercati di villaggio del vecchio West. Come si pesano i maialini nel vecchio West? Si prende un asse di legno, lo si mette in equilibro su un cavalletto. Poi si lega un maialino ad un’estremità dell’asse, e si cerca una pietra che dall’altra parte contrappesi esattamente il maialino. Infine tutti i presenti si mettono a discutere su quale possa essere il peso della pietra).

(E le griglie? Ah già, le griglie! con le griglie invece di una pietra sola si mette un sacco di pietruzze. Si contano le pietruzze e si discute a non finire per stabilire il peso di ciascuna pietruzza).

Ebbene, non c’è niente da fare. Maialini o pietruzze, l’unica cosa che deve venir fuori da un esame di Stato è un numero. Siamo in grado di fornire questo numero? («Su, mettiamoci un po’ in discussione»). C’è poco da discutere. Se non siamo in grado di farlo, non dobbiamo entrare a far parte della Commissione. Ci sono tanti modi per stare alla larga (qualche anno fa fui nominato Presidente in una scuola privata, e subito cominciarono a fioccare le raccomandazioni; mi rivolsi ad uno psichiatra di mia conoscenza e mi feci certificare una lieve pazzia passeggera). Se entriamo in Commissione, non possiamo esimerci dal compito. Possiamo metterci in discussione fin che vogliamo, possiamo corazzarci di griglie, ma alla fine deve venir fuori quel benedetto numero. Griglie o non griglie, zero o uno, il risultato deve essere quello - solo quello. E allora cerchiamo di farlo nel modo più onesto possibile.

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5 Luglio 2001

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