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Musica in piazzaChi, passando per una fiera, s’è trovato a goder l’armonia che fa una compagnia di cantambanchi, quando, tra una sonata e l’altra, ognuno accorda il suo stromento, facendolo stridere quanto più può, affine di sentirlo distintamente, in mezzo al rumore degli altri, s’immagini che tale fosse la consonanza di quei, se si può dire, discorsi. Alessandro Manzoni |
Dalle «canzonacce» di bravi e monatti, al «maledetto batter di tamburi... maledetto suono di tromba» dei lanzi, la musica e il canto nei Promessi Sposi danno sempre un gran fastidio. Perfino il suono delle campane nella notte non è che un «rumore... minaccioso».
Il XVII secolo fu un secolo musicale quant’altri mai (per non parlar della danza); ma il ’600 manzoniano è del tutto muto. Per meglio dire, qui è da imputare la sordità dell’autore, in questo non diverso dal resto della classe colta del nostro paese, per lunga tradizione così priva di senso musicale. Solo un orecchio perfettamente sordo alle ragioni della musica poteva produrre l’atroce
Ei fu. Siccome immobile
certo il verso più brutto di tutta la poesia italiana; e solo una classe professorale altrettanto povera di armonia può esaltarsi di fronte al melenso Addio ai monti.
Ma ecco che la banda sta per suonare. Quel vecchio matto se n’è scappato turandosi le orecchie. Noi ci avviciniamo incantati ad ascoltare, in compagnia di Pinocchio.