5 Marzo 2002    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

Storie di parole italiane

Ne(g)ro è una brutta parola?

C’è stata una lunga discussione sul termine negro. È parola da evitare in quanto segno di disprezzo e di razzismo, oppure no?

Moltissimi gruppi umani hanno sentito il bisogno di trovare un termine per definire tutti gli altri. I greci inventarono il termine barbaros, che passarono ai Romani. I cristiani, pagano. Gli Ebrei, goi. Gli Zingari, gagé. Gli Europei, essendosi trovati per motivi storici a contatto con diversi insiemi di popoli non europei, di volta in volta hanno impiegato diversi termini generalizzanti: saraceni, mori, turchi, indi, negri... Ora ci sono gli extracomunitari. Prima della grande ondata dai paesi balcanici, da noi gli extracomunitari erano senz’altro marocchini. Ricordo un processo che si celebrò qualche anno fa a Torino a carico di due giostrai che avevano insultato e picchiato un negro, chiamandolo marocchino. In tribunale (dicono le cronache giornalistiche) si giustificarono dicendo: «tutti i negri sono marocchini».

Il meccanismo sembra essere universale. Resta da stabilire l’origine di ogni singola parola. In italiano, la parola negro è nata con questa connotazione? Molti sostengono che il termine italiano moderno, nel senso di "uomo di pelle nera", derivi dallo spagnolo, sia passato poi all’inglese (su tutti i libri di scuola ci sono immagini di manifesti americani dell’Ottocento che pubblicizzano vendite all’asta di Negroes) e a molte altre lignue europee, fra cui l’italiano. Riconosco che l’argomento fondato sull’antico aggettivo italiano negro nel senso di "nero" non è definitivo. Infatti quell’aggettivo diventa di uso sempre più raro; nell’Ottocento lo si trova in Leopardi e Carducci, ma dalla metà del secolo in poi non credo che fosse usato al di fuori della lingua poetica - un sottoinsieme dell’italiano fortemente specializzato e lontano dalla lingua corrente. Oggi è evidente la divaricazione fra negro (aggettivo e sostantivo, riferito alle genti africane) e nero (aggettivo, e sostantivo, riferito al colore). Quando è nata tale divaricazione? È un fenomeno di importazione, o in modo affatto naturale si è avuta la convergenza tra l’italiano negro e il termine spagnolo, anzi, internazionale?

A conclusione di questa poche incerte parole, propongo due passi (piuttosto famosi per la verità, almeno il secondo) di Giacomo Leopardi: l’uno dallo Zibaldone, l’altro dal libello de’ Pensieri. Che ognun vi faccia le riflessioni che più gli garberanno.

Cosa curiosa, e notabile per chi vuol conoscere la storia, e dalla storia inferire il valore, delle opinioni degli uomini intorno ai diritti e ai doveri, si è che ne’ secoli passati, i Negri erano creduti d’una origine e quindi d’una famiglia stessa co’ bianchi, e pur quei medesimi che li tenevano per tali, sostenevano la ineguaglianza naturale di diritti tra i bianchi e loro, la inferiorità dei Negri, e la giustizia della loro servitù, anzi schiavitù ed oppressione: oggi i Negri sono conosciuti di origine, e però di famiglia, onninamente diversa dai bianchi, e quelli che gli hanno per tali, sostengono la loro uguaglianza sociale rispetto a noi, e la parità de’ loro diritti, e la totale ingiustizia del farli schiavi, o maltrattarli, o dominarli, e l’assurdità dell’opinione antica in tal proposito. (Pisa 14. Gen. 1828.).
Pensiero 66
Nel secolo presente i neri sono creduti di razza e di origine totalmente diversi da’ bianchi, e nondimeno totalmente uguali a questi in quanto è a diritti umani. Nel secolo decimosesto i neri, creduti avere una radice coi bianchi, ed essere una stessa famiglia, fu sostenuto, massimamente da’ teologi spagnuoli, che in quanto a diritti, fossero per natura, e per volontà divina, di gran lunga inferiori a noi. E nell’uno e nell’altro secolo i neri furono e sono venduti e comperati, e fatti lavorare in catene sotto la sferza. Tale è l’etica; e tanto le credenze in materia di morale hanno che fare colle azioni.

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