Per completare quanto detto sopra sulla lingua ebraica, Riccardo Venturi ha inviato al gruppo una sistetica ma esauriente storia dello Yiddish, la lingua degli ebrei dell’Europa orientale
I
Durante la diaspora, come già detto, gli Ebrei crearono diverse nuove lingue. Ad esempio, esistono varietà «giudaiche» anche per lingue come l’arabo ed il persiano. Tale stato di cose è stato favorito dall’isolamento sociale delle comunità ebraiche e dalle numerose differenze culturali tra di essi e i non-ebrei con cui pure vivevano a contatto. In Europa si formarono quindi diverse lingue di questo genere, ma due sole di esse hanno travalicato i confini originari delle aree dove erano nate: il «giudeo-tedesco» e il «giudeo-spagnolo». Tali denominazioni, beninteso, sono adesso completamente inadeguate, dato che che queste lingue sono attualmente tanto lontane dal tedesco e dallo spagnolo standard, da dover essere considerate lingue pienamente autonome. La varietà «giudaica» dello spagnolo è quindi nota come «Ladino» (termine che non ha ovviamente niente a che fare con la lingua romanza alpina) o «Judezmo», mentre la varietà tedesca è detta «Yiddish» (in realtà una resa grafica ripresa dall’inglese; il termine autoctono è «Yidish», quello tedesco «Jiddisch», cioè il tedesco standard «Jüdisch» «Ebraico, Giudeo»). Come tutte le lingue «giudaiche», lo Yiddish è scritto in una variante modificata dell’alfabeto ebraico, il cosiddetto Quadratschrift («scrittura quadrata»; i caratteri ebraici devono rientrare regolarmente in un ipotetico quadrato, oppure fuoriuscirne in un solo loro elemento). L’alfabeto ebraico-yiddish, a differenza di quello ebraico classico, nota completamente le vocali e i dittonghi ma solo nell’elemento non ebraico; i prestiti ebraici sono notati nella grafia originale priva di vocali. Il ductus è da destra verso sinistra.
Lo Yiddish ebbe origine nel Medioevo. La sua storia inizia attorno all’anno 1000, quando dei colonizzatori israeliti, quasi certamente provenienti dalla Francia, si stabilirono nelle città di lingua tedesca del medio corso del Reno. Essi portarono con sé la loro lingua materna, una varieta «giudaica» dell’antico francese; ma tale lingua fu rapidamente abbandonata in favore del tedesco.
Nel giro di una generazione, da documenti risalenti all’epoca, il francese fu completamente dimenticato, anche se nel tedesco dei colonizzatori qualche parola romanza rimase senz’altro. Ad esempio, termini ancora oggi comunissimi come bentshn «benedire» o leyenen «leggere» sono in ultima analisi riconducibili al lat. benedicere, legere. È pure certo che i colonizzatori usavano altre parole di origine non tedesca, prime fra tutte, ed in numero considerevole, quelle ebraiche (ma si tratta di una caratteristica di tutte le lingue «giudaiche»). Per il resto, il tedesco parlato dagli Ebrei non differiva sostanzialmente da quello dei loro vicini Gentili, ed il passaggio dalla fase antica a quella media avvenne sulle stesse linee di fondo.
Più tardi, specialmente dopo il Concilio Lateranense del 1215, le comunità ebraiche furono sottoposte a severissime restrizioni che portarono alla formazione dei ghetti. Si suppone che, nel relativo isolamento del ghetto, lo Yiddish cominciò a modificarsi, a «rielaborare» il suo elemento base tedesco e, in pratica, ad assumere una fisionomia sempre più particolare.
Alla fine del XI secolo, inoltre, ebbe inizio un movimento migratorio di Ebrei verso le confinanti terre balto-slave, principalmente verso la Polonia e la Lituania. Tale movimento raggiunse l’apice attorno alla metà del XIV secolo, specialmente dopo la grande pestilenza europea del 1348-49; ma durò a fasi alterne ancora per due secoli. Gli Ebrei provenienti dalla Germania meridionale e da quella centrale si incontrarono e si fusero nei nuovi territori; il risultato linguistico fu una peculiarissima fusione di dialetti tedeschi meridionali e centrali che portò ad un nuovo linguaggio «giudaico», lo Yiddish orientale. Inevitabilmente, tale nuovo linguaggio cadde sotto l’influenza del polacco e di altre lingue slave, e presto si differenziò notevolmente dal vecchio Yiddish occidentale, che rimase sotto l’influenza predominante del tedesco. Lo Yiddish orientale non perse comunque mai del tutto il contatto diretto con il tedesco; per secoli i tedeschi rappresentarono una potente élite economica e culturale nelle città polacche e baltiche e, inoltre, esisteva tra gli Ebrei il decisivo fattore di coesione rappresentato dalla religione e dagli scambi che essa comportava. Successivamente, gli Ebrei tedesco-occidentali abbandonarono generalmente lo Yiddish in favore del tedesco standard.
A seguito dell’emancipazione della seconda metà del XVIII secolo, la vita e la cultura tradizionale degli Ebrei occidentali scomparve quasi del tutto e i dialetti Yiddish occidentali ebbero un rapido declino. A Praga non si parlava già più Yiddish alla metà del XVIII secolo. In Germania lo Yiddish si estinse quasi interamente, ad eccezione di aree periferiche dove riuscì a mantenersi fino all’avvento del nazismo; particolarmente notevole è a tale riguardo il dialetto Yiddish parlato in Alsazia-Lorena. Ma ad est, dove i modi di vita e la cultura ebraica tradizionale si mantennero pressoché inalterati, lo Yiddish orientale prosperò. Gli Ebrei, pur generalmente conoscendo alla perfezione la lingua o le lingue del paese dove vivevano, non furono assimilati. Tipico e particolarmente indicativo è il caso di Lazar Ludwig Zamenhof, il «doktoro Esperanto», nativo della città polacca di Bialystok (dove si parlavano comunemente quattro lingue: il polacco, il tedesco, lo Yiddish e il russo). Zamenhof, la cui lingua materna era lo Yiddish, conosceva alla perfezione anche le altre tre (oltre ad un congruo numero di altre lingue); e, a sentire quanto racconta, il primo impulso per la creazione della sua internacia lingvo gli venne proprio dallo «stabilire un ponte» linguistico tra le varie comunità della sua città natale.
II
Gli Ebrei, quindi, vivevano in gran parte tutti assieme nelle città polacche, ceche (come dimenticare il quartiere ebraico praghese di Josefuv, con la più antica sinagoga dell’intera Europa, che curiosamente si chiama Staronová, cioè, alla lettera, «Vecchio-nuova», e l’adiacente, antichissimo, stupefacente cimitero ebraico?) lituane, lettoni, russe, ucraine e di altri paesi, in quartieri-ghetto. Centinaia e, spesso, migliaia di famiglie erano costrette a vivere in spazi ristrettissimi ed i ghetti assunsero quella loro particolare, irripetibile fisionomia, con il primo esempio di sviluppo forzato in altezza delle abitazioni (l’unico esempio non «ebraico» si ha con il centro storico di Genova). L’intera vita sociale delle comunità ebraiche si svolgeva all’interno dei ghetti (e in particolare le donne potevano passare la loro intera vita senza mai uscire dai confini del quartiere); si vennero a formare leggende che contribuirono alla particolare «atmosfera da ghetto» così ben espressa, ad esempio, dal praghese Gustav Meyrink con le famose storie sul Golem, il mostro creato dal rabbino Löwe.
In molte grandi città dell’Europa orientale la popolazione ebraica costituiva la metà o più dei residenti; va da sé che esistevano intere città dove si parlava prevalentemente Yiddish. L’88% degli abitanti di Berdichev erano ebrei parlanti Yiddish, ma non è certo un caso isolato: le percentuali raggiungevano l’80% a Pinsk, il 57% a Odessa, il 55 % a Minsk, il 50% a Varsavia e Kishinev (l’odierna Chis’inãu, capitale della Repubblica di Moldavia), il 35% a Budapest e Bucarest e così via. Esistevano sobborghi ebraici, detti shtetlekh «cittadine», dove la popolazione era al 100% di religione ebraica e di lingua Yiddish, ed in questi casi si può parlare dello Yiddish come di una lingua avente una ben precisa connotazione territoriale, come tutte le altre lingue. In tali condizioni, la cultura specificamente ebraica era fortissima ed il numero dei parlanti lo Yiddish orientale cresceva stabilmente. All’inizio degli anni ’80 del XIX secolo, con l’inizio dell’emigrazione in America, in Palestina ed in altri paesi, lo Yiddish fu portato in tutto il mondo. Si giunge così al 1939; in quell’anno si stima che lo Yiddish fosse parlato come lingua materna da circa 12 milioni di persone, dei quali oltre 2/3 in Europa orientale.
Nel 1945 mancavano all’appello circa sei milioni di ebrei. Lo Yiddish era la lingua materna della maggior parte di essi, ed i sopravvissuti lasciarono in massa l’Europa per stabilirsi in America e nell’appena costituito stato di Israele. Nel volgere di sei anni lo Yiddish è stato quasi completamente sradicato dall’Europa orientale, ed anche i pochi che sono rimasti hanno teso all’assimilazione linguistica. Si può dire che, a parte qualche sparuta comunità di parlanti in Russia, lo Yiddish è attualmente parlato esclusivamente negli Stati Uniti d’America e in Israele.
Gli Ebrei russi, inoltre (sia che parlassero ancora Yiddish o, come nella maggioranza dei casi, fossero passati al russo), si sono trasferiti generalmente in Israele negli ultimi anni; negli USA le generazioni più giovani sono passate all’inglese, mentre in Israele, dove solo l’Ebraico è riconosciuto come lingua ufficiale, sembra che lo Yiddish sia destinato a scomparire in un paio di generazioni al massimo.
Lo Yiddish, però, non è ancora morto. Attualmente si ha ancora una considerevole produzione letteraria in tale lingua, e la stampa periodica è ancora diffusa negli USA ed in Israele. Esiste una norma linguistica riconosciuta letterariamente, ma, dal punto di vista fonologico, non si è mai arrivati alla codificazione di una pronuncia standard.
Lo Yiddish orientale è suddiviso in tre dialetti principali a seconda della pronuncia di certe vocali; i parlanti, quindi, seguono per natura le caratteristiche fonologiche del dialetto di appartenenza. Lo Yiddish letterario attuale segue le normative ortografiche stabilite dallo YIVO (Yidisher Visnshaftlekher Institut), una specie di «Accademia Yiddish» fondata a Vilnius nel 1925 e con sede a New York dal 1939.
Non esiste in lingua italiana nessun manuale o grammatica descrittiva della lingua Yiddish. Per chi fosse interessato, posso raccomandare i testi «canonici» sui quali l’ho studiata, abbastanza facilmente reperibili su ordinazione presso qualsiasi libreria commissionaria:
- Uriel Weinreich, College Yiddish, YIVO, New York, 1964 (Il manuale «standard» in lingua inglese);
- Solomo A. Birnbaum, Yiddish: A Survey and a Grammar, University of Indiana, 1975 (La grammatica descrittiva più completa dello Yiddish orientale, contenente inoltre una miriade di informazioni storiche, geografiche, statistiche ecc.)
- Solomo A. Birnbaum, Die Jiddische Sprache, Helmut Buske Verlag, München, 1978 (ristampa di una grammatica elementare pubblicata nel 1918; concisa ma completa, contiene un’estesissima raccolta di testi).
III
Per terminare, un testo Yiddish in trascrizione, seguito da una traduzione italiana di massima. Con 1 asterisco (*) sono indicati gli ebraismi, mentre con 2 asterischi (**) sono indicati gli slavismi.
Il testo è un un breve racconto di uno dei massimi scrittori in lingua Yiddish, Yitskhok L. Peretz (1852-1915). Mi scuso per la cattiva qualità della traduzione, ma è la prima volta che mi cimento con un testo Yiddish tanto esteso...
DRAY MATONES*
A mol, mit yorn un doyres* tsurik, iz ergets nifter* gevorn a Yid.
Meyle*? A Yid iz nifter* gevorn – eybik lebn ken men nit – tut men im zayn rekht, brengt men im tsu kvures Yisroel.* Nokh stimes ha-goylel* – der yosem* zogt kadish* – flit di neshome* aroyf tsum mishpet*, tsum bes-din shel male*.
Kumt zi aroyf, hengt shoyn dort farn bes-din* di vog, oyf velkher men vegt di aveyres* un di mitsves*.
Kumt dem bar-minens saneyger*, zayn gevezener yeytser-tov*, un shtelt zikh, mit a klor vays zekl vi shney in der hant, bay der vogshol fun der rekhter zayt.
Kumt dem bar-minens kateyger*, zayn gevezener yeytser-hore*, un shtelt zikh, mit a koytik zekl in der hant, bay der vogshol oyf der linker zayt.
In vaysn klorn zekl zenen mitsves*, in brudik**-shvartsn zekl aveyres*.
Shit der saneyger* fun shney-vaysn zekl oyf der vogshol fun der rekhter zayt mitsves*, shmekn zey vi parfumes uun laykhtn vi shterndlekh in himl.
Shit der kateyger* fun brudikn** zekl oyf der vogshol fun der linker hant aveyres*, zenen zey shvarts vi koyl un a reyakh* hobn zey -samerodne** pekh un smole**.
Di vogsholn heybn zikh pamelekh**, aroyf un arop, a mol di, a mol yene.
Der yeytser-tov, vi der yeytser-hore, dreyen oys di zeklekh kapóyr: nitó mer! Un demlt geyt der shames* tsu tsum tsingl zen, vi es hot zikh opgeshtelt, rekhts tsi** links.
Kumt er un kukt azóy, un zet azóyns, vos iz nokh nit geshen zint himl un erd zenen bashaft gevorn.
Dos tsingl shteyt in samerodne** mit -oyf der hor!
TRE DONI
Una volta, generazioni e generazioni fa, da qualche parte morì un Ebreo.
Ahimé! Era morto un Ebreo – nessuno può vivere per sempre – , e fecero per lui quel che conveniva: gli fecero un funerale ebraico.
Dopo che la tomba fu riempita e l’orfano ebbe detto il «kaddish», l’anima vola in cielo per il giudizio alla Corte dei Cieli.
Quando arriva, la bilancia sulla quale i peccati e le buone azioni sono pesate sta sempre davanti alla Corte.
L’avvocato difensore del morto, un tempo il suo spirito benigno, arriva e prende posto alla destra della bilancia, con in mano una bisaccia candida come la neve.
L’accusatore del morto, un tempo il suo spirito maligno, arriva e prende posto alla sinistra della bilancia, con in mano una bisaccia sporca.
Nella bisaccia bianca e pulita ci sono le buone azioni, in quella nera e sporca ci sono i peccati.
Quando il difensore, dalla destra, versa le buone azioni fuori dalla bisaccia candida sulla bilancia, esse emanano un buon profumo e risplendono come piccole stelle nel cielo.
Quando l’accusatore, dalla sinistra, versa i peccati fuori dalla bisaccia sporca, essi sono neri come il carbone ed emanano un odore proprio come quello della pece o del catrame.
I piatti della bilancia si muovono lentamente, su e giù, ora uno, ora l’altro.
Lo spirito benigno e quello maligno rovesciano le bisacce: non c’è più niente! E allora l’usciere va verso l’ago della bilancia per vedere dove pende, se a destra o a sinistra.
Arriva e guarda, e vede una cosa che non era mai stata vista da quando erano stati creati la Terra e i Cieli.
L’ago sta esattamente nel mezzo, [senza pendere] di un capello.