2 Marzo 2002    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

Questioni di grammatica italiana

Non sarebbe ora di riformare l’ortografia italiana?

L’ortografia della lingua italiana, come credo di ogni altra lingua, è estremamente variabile nel tempo. Che la grafia dell’italiano del ’600 fosse non solo molto diversa dall’attuale, ma anche notevolmente variabile, è evidente. Casi molto noti sono l’uso irregolare degli accenti; la presenza di h etimologiche in anchora, in huomo ecc. A questi si potrebbe aggiungere l’uso delle maiuscole; la punteggiatura; e non parliamo qui delle abbreviazioni.

Le convenzioni ortografiche che utilizziamo sono state messe a punto piuttosto recentemente; alcune (la distinzione fra accenti acuti e gravi, i plurali delle parole in -cia e -gia) soltanto intorno alla metà del ’900; ed in alcuni casi (il tipo di accento sulla i e sulla u) sono ancora incerte.

Naturalmente l’ortografia non è una scienza esatta; anzi, essendo pura convenzione, non è neppure una scienza. È appunto una convenzione; e come tutte le convenzioni, serve a finalità eminentemente pratiche. Non ci si può ogni volta rompere la testa a chiedersi «come si scrive»? Si stabilisce che si scrive così, e per un po’ non si cambia.

Ma allora non potremmo scrivere ognuno come gli pare?

Ci sono alcune buone ragioni per preferire una convenzione, per quanto arbitraria, al puro arbitrio individuale. In primo luogo, l’industria editoriale, come tutte le industrie moderne, ha bisogno di una grande uniformità, di un notevole numero di norme. Non si troverà più scritto provincie con la i, per lo stesso motivo per cui è molto difficile trovare un foglio di carta di formato diverso dall’A4 e soci. I testi possono passare da un’edizione ad un’altra; un libro può avere diverse edizioni, può essere citato in un altro libro, in un articolo di giornale, può passare ad una diversa casa editrice ecc. Sarebbe una complicazione intollerabile se ogni volta il testo fosse modificato, per adattarlo ai gusti di quel particolare editore, redattore, correttore di bozze ecc. Ortografia arbitraria ed irregolare sono sempre sinonimo di scarsa circolazione del libro, di una modesta alfabetizzazione della popolazione – come era appunto nel ’600.

Ma è forse più importante un’altra considerazione. Quando leggo un testo, devo potermi concentrare sul significato, sulle parole, sulle frasi. Tutto ciò che distoglie la mia attenzione dal senso, rappresenta un ostacolo fastidioso. La forma editoriale del testo: l’impaginazione, la forma dei caratteri, la punteggiatura, l’ortografia, in questo senso devono essere trasparenti; cioè io devo leggere senza accorgermi di queste cose. Leggere un testo con un’ortografia che cambia continuamente, oppure che è completamente diversa da quella di un altro testo che ho appena messo via, comporta la stessa fatica che proverei leggendo un testo scritto su pagine ognuna di un colore diverso, oppure con una dimensione di carattere che cambia da una riga all’altra ecc. Quelli che scrivono ke invece di che, x invece di per, 6 invece di sei, forse si credono di fare una gran bella figata, ma devono rendersi conto che costringono il lettore ad un costante sforzo di decifrazione della loro prosa. Magari si abituano a questo stile, ma poi saranno loro a fare una gran fatica a leggere un testo scritto in grafia convenzionale: come quella ragazza, ormai leggendaria, che credeva che il luogotenente di Garibaldi si chiamasse Nino Biperio.


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