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Esami di stato 1998-1999
Noterelle di un presidente di commissione

Indice

  1. Meglio del peggio
  2. Senza giudizi
  3. La pagnotta del condannato
  4. Manica larga
  5. Pessimismo

1. Meglio del peggio

Inizio oggi una serie di annotazioni sul nuovo esame di Stato. Avverto subito che di questo nuovo esame intendo parlare, almeno in parte, bene. Finora infatti se ne è sentito dire per lo più male. Io temo però che questa sia una manifestazione del pigro conservatorismo italico, per cui non vale la pena di impegnarsi a cambiare alcunché, perché tanto tutto fa schifo.

Basta guardarsi indietro per vedere l’incubo da cui siamo finalmente usciti. La lotteria d’aprile. L’ipocrisia dei giudizi. La coazione a promuovere. L’aleatorietà delle valutazioni.

Ogni anno, per trent’anni di seguito - una generazione! - in tutte le scuole d’Italia, centinaia di migliaia di giovani, nei dintorni del loro diciottesimo compleanno, come ad un segnale, abbandonavano improvvisamente lo studio, e si mettevano a strologare sulla prima materia, la seconda materia, la terza materia... L’ingresso nella maggiore età era segnato dal rito iniziatico di una squallida scuola di furberia. A occhio, questi ex studenti formano oggi circa un quarto della popolazione italiana in età lavorativa, forse più. Un autentico genocidio culturale.

Il ministro Berlinguer non è una cima, ha forse tanti demeriti, ma ha sicuramente un merito, grandissimo. Finalmente si è rotto l’incantesimo per cui non c’è limite al peggio. No, con l’esame Malfatti si era veramente toccato il fondo. Qualunque cosa si facesse di diverso - compresa la pura e semplice abolizione dell’esame - sarebbe stato meglio. L’esame, così com’è ora, non è chiaro nelle finalità, né negli strumenti; nasce da un compromesso tra il falso efficientismo confindustriale e la verbosa demagogia irrsaiola. Ha tutti i difetti che volete (ne parleremo), ma non c’è dubbio che è meglio di quanto avevamo fino all’anno scorso. Molto meglio.


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2. Senza giudizi

La prima grande novità, ed è una novità così forte che all’inizio dà un po’ di vertigine, è la mancanza dei giudizi.

Dato che sono un sentimentale, lasciate che esprima la mia profonda nostalgia per un momento magico della scuola di un tempo.

I giudizi erano piccolissimi esercizi di stile, che avevano dato origine ad una loro propria retorica. Il dire e il non dire, il far capire e lo sfumare, qualche volta l’esaltare, più spesso il divagare... La scelta dei vocaboli, e l’oculata aggettivazione... le "attitudini" ("modeste" - "buone" - "spiccate")... l’"impegno", ("costante" - "discontinuo")... il "metodo di studio" (per lo più "inadeguato")... sopra tutto le "doti intellettuali" (spesso purtroppo solo "normali")... E poi, con fare apparentemente svagato, in realtà con un cenno di intesa al lettore, il lasciar cadere al punto opportuno quelle parolette in codice... "sufficiente"... "discreto"... con relative sfumature: "non lontano dalla sufficienza"... Aggettivi scelti con sofferta oculatezza, raccolti dal Presidente della Commissione con precisione entomologica per essere tradotti in colonnine di numeri su un foglietto di carta quadrettata (il più importante documento della Commissione, e l’unico a non essere compreso nella modulistica ufficiale) - e quel che è bello, di questi numeri a volte non si faceva nessun conto.

Nel giudizio si vedeva contemporaneamente il trionfo e l’impotenza della parola: l’immagine più autentica della scuola postgentiliana.

Ancora adesso, non si vuol credere che non ci siano più, e si va a cercare nelle pieghe del verbale il posto per scrivere qualcosa che non sia un rude numero. Ecco, l’ho trovato: l’attribuzione dei 5 punti supplementari deve essere "motivata", e ci sono ben cinque righe per scrivere. Perché mai ci devono essere quei 5 punti supplementari? Che se ne fanno gli studenti? Ma no, servono ai professori della Commissione, per cullarli ancora un po’ nell’illusione che l’andamento dell’esame dipenda non solo dalla brutale valutazione numerica di quello che il candidato è riuscito effettivamente a fare, ma dalla "sensibilità" e dalla "professionalità" del docente-psicologo che vede lo spirito al di là della materialità degli errori delle prove, e afferra la "personalità" del giovane nella sua "globablità"...

Fregnacce, ma l’importante è che tutto ciò sia "adeguatamente motivato"...


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3. La pagnotta del condannato

La metafora mangereccia indica il testo della prova di italiano: un malloppo di ben otto fogli, greve ed indigesto.

Fra tutte le novità dell’esame, questa è la meno nuova. Le varie "tipologie" (ma che parola!) non si discostano molto dalla vecchia prova: riempire qualche foglio, improvvisando argomentazioni su temi che non si conoscono o si conoscono superficialmente; l’importante è che ci sia in "inizio", una bella "chiusa" e che si stia attenti all’ortografia. Qualcuno può sinceramente dire di aver capito la differenza tra un "saggio breve" e un "articolo", e fra tutti e due e un bel "tema"?

Anche la "tipologia A" (ma non si dovrebbe, almeno qui, badare alla lingua italiana?) in sostanza non è stato altro che un "tema" con una "traccia" già prefissata in modo dettagliato. A questo si aggiunga la scelta prudente dell’autore, che è del ’900, ma del primo, primissimo ’900, visto che in molte classi si è svolto anche quest’anno un programma che arriva sì e no a Pirandello; e poi la banalità delle domande, fra cui quella, veramente scema, della "parafrasi" - ma come si fa a fare una parafrasi di Ungaretti?

E lasciamo perdere le altre "tipologie".

Ma in questa indigesta pietanza, come ben si conviene alla pagnotta del carcerato, era nascosta una lima, che ci aiuterà a corrodere le sbarre retoriche della scuola italiana: "in non più di quattro o cinque colonne..." Non più di!

Per chi, come me, a scuola andava male in italiano, soprattutto per la congenita incapacità a fare i "temi" (sarà per questo che insegno italiano?) è come una dolce e tarda vendetta. Mai più guardare con impotente invidia la compagna prima della classe che riempie disinvolta sei otto dieci facciate protocollo! "Non più di quattro o cinque colonne!" Finalmente ho dei solidi argomenti per consolare l’imbarazzata fanciulla che mi sventola sotto il naso le sue misere paginette piagnucolando: "Professore, non sarà troppo poco?" "Non più di quattro o cinque colonne!"

Buttiamo pure via il restante ciarpame delle "tipologie", e teniamo questa luminosa guida: «la somma dell’arte dello scrivere non è nell’aggiungere, ma nel togliere. Non più di quattro o cinque colonne!»

Chi sa se questa massima sarà recepita un giorno dallo stesso Ministero che ce l’ha l’ha inviata? Chi sa se le prossime circolari ministeriali provveditoriali presidenziali saranno formate da "non più di" quattro o cinque paragrafetti chiari e netti?


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4. Manica larga

Su it.scuola Heidrun Aschacher ha scritto:

Con questa convinzione di fondo, nella mia commissione sono stati dati, più di una volta, 27 punti all’orale per consentire al candidato di raggiungere il minimo, anche se meritava a malapena la sufficienza (22 punti).

Facciamo un po’ di conti.

Se per avere la sufficienza gli servivano 27 punti all’orale, vuol dire che tra credito e punteggio degli scritti arrivava a 33. Supponendo un 9 di credito (cioè la stretta sufficienza allo scrutinio finale), viene 24, cioè 3 X 8 agli scritti. Tre belle insufficienze. Forse non è esattamente così, ma togli di qua, metti di là, alla fine il conto è sempre quello.

Dunque, aggiungendo un orale «a malapena» sufficiente (a malapena...), un esame decisamente negativo. A questo punto il 27 all’orale, e quindi la promozione, appare un vero regalo.

Intendiamoci: si è sempre fatto così. E, poiché qui nessuno è vergine, anche nella mia commissione vi sono state delle promozioni, diciamo, insperate. E infine, in Italia non va in prigione nemmeno chi ruba, figuriamoci se si vuol dare la croce addosso a chi regala.

Ma la grande differenza rispetto all’anno scorso, è che adesso la cosa è palese. La pubblicità dei punteggi parziali prima della prova orale è forse la novità più rivoluzionaria dell’esame. Fino all’anno scorso, si scrivevano dei giudizi, che tanto poi nessuno andava a leggere, e allo scrutinio era indulgenza plenaria. Adesso non si può più fare. Dove son regali, son regali, e tutti li possono leggere, nero su bianco, all’albo dell’Istituto.

È giustizia? È misericordia? Mah. Sicuramente, anche come componenti di una commissione d’esame non dovremmo dimenticare che siamo in primo luogo educatori; e veniamo giudicati non tanto per la manica, stretta o larga (neanche i ragazzi ci credono più a questa categoria infantile), ma per i nostri comportamenti, più o meno coerenti, più o meno comprensibili. E l’anno prossimo, i ragazzi si regoleranno in base a questi nostri comportamenti.


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5. Pessimismo

Quest’anno ho fatto il Presidente. Questo mi ha liberato dall’incombenza di interrogare. Ma non mi ha liberato dalle domande della simpatica collega, Commissaria di Italiano, che ha avuto modo di intrattenere i malcapitati sui seguenti argomenti:

Ho tremato quando il discorso è scivolato pericolosamente su Eugenio Montale. No, l’abbiamo scampata.

In questo il nuovo esame non mi è sembrato diverso dal vecchio.

P. S.: Avrete capito che nella scuola in cui sono capitato non si era fatto il ’900. Pazienza, è un Liceo Artistico, lì fanno solo tre ore settimanali comprensive di italiano e storia... E negli altri Istituti?


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