Gorbačëv, ieri e oggi

La morte di Gorbačëv ci spinge ad alcune considerazioni, ed a confronti con il presente. Considerazioni, spero che sia chiaro, ispirate al più rigoroso materialismo.

Gorbačëv e Putin

Attribuire a Gorbačëv la responsabilità della fine dell’Unione Sovietica, è puerile. Le grandi trasformazioni storiche non sono il prodotto della politica, sono eventi che hanno cause profonde e complesse. Il compito della politica è governare queste trasformazioni, e indirizzarle verso una soluzione.

Il grande merito di Gorbačëv è stato quello di dare alla fine di quel sistema economico e sociale il carattere di una trasformazione pacifica. Considerando l’enorme potenziale militare dell’URSS, gli eventi avrebbero potuto prendere una piega ben diversa, con conseguenze catastrofiche difficilmente immaginabili. In Romania, dove l’influenza sovietica era da tempo debole, e quindi la capacità direzionale di Gorbačëv non poteva arrivare, il crollo ebbe l’aspetto di una guerra civile – violenta, ma fortunatamente breve. Ma pensiamo cosa sarebbe successo se a Mosca in quegli anni ci fosse stato, al posto di Gorbačëv, un uomo come Ceauşescu.

Il crollo del sistema partì dalla periferia, dove la crisi del sistema assunse caratteri peculiari. In Polonia riacutizzò l’antichissima contrapposizione etnico-religiosa fra l’antica nazione cattolica e la Russia ortodossa… ehm, scusate, socialista. Nella Repubblica Democratica Tedesca emerse soprattutto l’aspirazione ad uno stile di vita diverso, anche dal punto di vista dei consumi, aspirazione acutizzata dalla “vetrina” di Berlino Ovest.

Al centro, l’elemento scatenante fu la consapevolezza di quanto l’apparato militare sovietico che aveva vinto la Seconda Guerra Mondiale fosse ormai diventato obsoleto: la sconfitta nella competizione missilistica con gli USA, e il fallimento della guerra in Afghanistan.

Le conseguenze, alla periferia e nel centro, sono state di tipo opposto. I paesi dell’ex Patto di Varsavia hanno avuto un atterraggio morbido nelle grandi istituzioni internazionali confinanti: l’UE e la NATO. È stato un evento inevitabile, e fondamentalmente positivo, poiché ha permesso una rapida stabilizzazione della crisi. La storia non si ferma mai, ed oggi quei paesi devono affrontare i problemi tipici di tutte le moderne società industriali. Ma questa è un’altra storia.

Molti attribuiscono la svolta nella collocazione internazionale di questi paesi, e la conseguente tensione con la Russia post-sovietica, alla volontà espansiva dei centri di potere occidentali. Purtroppo, il marasma culturale in cui è caduta la nostra sinistra, con la perdita dei suoi principali punti di riferimento, ha creato un vuoto, che progressivamente si è riempito, e continua a riempirsi, con i miti caratteristici del pensiero della destra, a partire dal più tossico di tutti, il cospirazionismo: l’idea che i destini del mondo siano determinati dalle oscure trame di perfidi burattinai. Per non parlare della mitica eterna contrapposizione tra le due grandi entità metafisiche dell’“Occidente” e dell’“Oriente”.

In Russia, le conseguenze sono state purtroppo, e forse inevitabilmente, più pesanti. La fine del Patto di Varsavia ha portato alla fine della centralità internazionale della Russia: un evento paragonabile solo alla fine dell’Impero Austro-ungarico e del Reich guglielmino; e sappiamo quali frustrazioni ciò abbia prodotto in un’intera generazione di tedeschi, e con quali conseguenze. Il collasso del sistema industriale, gestito male, in nome di una pura e semplice “efficienza”, ha portato ad un radicale mutamento del tenore di vita, con la perdita di tutte le sicurezze esistenziali che il socialismo “dalla culla alla tomba” sapeva garantire. È un fenomeno simile alla deindustrializzazione dell’Inghilterra in età thatcheriana, ma con conseguenze umane ancora più devastanti. La Russia si scopre oggi un paese poverissimo: un deserto punteggiato di pozzi per l’estrazione di idrocarburi.

Il senso di frustrazione dei russi è pienamente comprensibile. Per loro, e per nostra, sfortuna, la Russia ha trovato l’uomo capace di incarnare questa frustrazione. Così in Germania e in Austria negli anni ’20 e ’30 con Hitler, Putin è riuscito a convogliare tutto il malessere sociale verso l’esterno. Il mito di una Russia “pugnalata alle spalle” e circondata dall’”abbaiare” della NATO, è talmente forte da aver contagiato perfino l’inquilino di un Colle piuttosto alto.

Oggi quello che rimane della gloriosa Armata Rossa si sta suicidando nelle immense pianure a nord del Mar Nero. Per ironia della sorte, non molto distante da quelle pianure che videro la catastrofe di quell’altra armata, ottant’anni fa. Speriamo, con conseguenze meno devastanti.

2 commenti su “Gorbačëv, ieri e oggi”

  1. Io sono di destra e tu di sinistra… anche la Cultura lo è sempre stata. Spero solo che in questa mandata un po’ rivolga lo sguardo all’altro lato.
    Ci spero tanto ma ci credo poco.
    L’ultima volta che ci siamo sentiti fu sulla tua “Vita Karoli di Eginardo”.
    Sparito da icli da oltre due anni son tornato alcuni mesi fa e ho rivisto molte vecchie conoscenze, e ho chiesto di te. In molti mi hanno dato stille di informazioni, spiacenti tutti del non più sentirti da lungo tempo.
    Donde l’invito a volerti concedere al piacere delle vecchie compagnie,
    just a few days!
    Se mi vuoi rispondere fallo su icli: non sono registrato ad alcun social.
    Bruno Campanini

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  2. Anni fa lavorai con Svetlana Aleksievic^, vincitrice del premio Nobel per la letteratura nel 2015, i cui libri, ovviamente, non sono pubblicati in Russia e Bielorussia.

    Tra le varie cose che diceva, ricordo quest’agghiacciante affermazione: “Spero che l’Occidente non si comporti con Putin come si comportò con Hitler negli anni Trenta”. All’epoca raccontai questa cosa ad alcuni amici, che sorrisero dicendo che era un’esagerazione.

    Purtroppo non lo era, e ora siamo a un passo da qualcosa di molto brutto.

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