Su it.cultura.linguistica.italiano un mesetto fa qualuno ha chiesto una definizione di “populismo”. Io ho provato a dare questo piccolo contributo, che oggi ripropongo qui:
Come spesso accade ai i termini politici, anche “populismo” assume nell’uso corrente significati diversi da quelli originari (populismo russo).
Per me i punti caratterizzanti sono quattro:
- Si indica come “popolo” un’entità indifferenziata, che ha un unico carattere, un’unica identità, identici valori. Chi non condivide quest’identità e questi valori è “nemico del popolo” (con tutte le varianti possibili: ebreo, komunista, intellettuale, radical-chic…) Nei confronti del “popolo” sono possibili solo due atteggiamenti opposti: identificazione totale, oppure esclusione.
- L’esistenza di “nemici del popolo” non è occasionale, ma
indispensabile. La categoria di “popolo” è così vaga che non può essere
definita in sé stessa, ma si costruisce e si rafforza nella continua e
forte contrapposizione contro gli “altri”. “Noi” e “loro” è categoria
fondamentale del populismo. Se “loro”, i nemici, non sono a
disposizione, il populismo non ha mai difficoltà ad inventarsene.
Una variante del “nemico del popolo” sono i “ricchi”: sfuttatori, privilegiati… Questo non esclude d’altra parte che alcuni ricchissimi possano essere visti come amici, anzi, venerati come espressione dell’autentica natura del popolo e della sua forza creativa – nei loro confronti, i “nemici” sono sfigati invidiosi.
(I veri populisti non si preoccupano mai della coerenza logica delle loro scelte. La logica è roba da intellettuali. Il “popolo” ragiona col cuore – o i coglioni – non col cervello.) - Poiché il “popolo” esprime in modo uniforme ed immediato la propria volontà, le mediazioni politiche ecc. sono un ingombro insopportabile. È il principio dell’“anti-politica”, che privilegia azioni dirette: fatti e non parole, prima picchiare e poi domandare, datecelo nelle mani che facciamo giustizia noi… Estesa all’ambito nazionale, l’anti-politica si esprime nel disprezzo verso le istituzioni e le procedure della democrazia parlamentare, tutta roba da spazzare via con una sana e vitale ventata di rivolta.
- Poiché le istituzioni sono un inutile impiccio, e la politica è sempre una cosa sporca, il populismo si esprime nella delega totale della volontà del “popolo” ad un Capo carismatico, che da una parte è “uno come noi”, ma dall’altra anche un uomo eccezionale che ha sempre ragione ecc. È lui il politico anti-politico, che farà piazza pulita del vecchio e superato apparato dei parolai inconcludenti. Del Capo si ammira il “fare”: qualunque azione possa essere interpretata come manifestazione di una superiore capacità di azione o di dominio, viene ammirata, senza alcuno scrupolo di tipo morale. Fra le virtù del capo, spesso si annovera l’aggressività sessuale, che è oggetto di un autentico culto.(1)
Una caratteristica interessante del populismo è che si tratta di un atteggiamento che non coinvolge solo i ceti popolari e le persone di modesta istruzione, ma spesso esercita un irresistibile fascino anche presso settori colti. L’intellettuale si sente in colpa di essere tale, teme la “torre d’avorio”, prova un’irresistibile nostalgia verso la semplice purezza delle persone umili, nei confronti delle quali l’istruzione appare come una ignobile caduta ed una manifestazione di sordido egoismo. Questo senso di colpa e di inferiorità si manifesta nell’adesione fanatica al capo carismatico, agli ideali più scombinati; per l’intellettuale convertito al populismo il non dover più pensare, l’affidarsi con fede cieca al fabbricatore di slogan è un sollievo ristoratore; condividere gli stessi entusiasmi della folla osannante e sbavante è una macerazione che porterà alla fine l’anima purificata alla totale confidente adesione all’oggetto desiderato. I danni che questa categoria di intellettuali può provocare sono incalcolabili.
Prima versione: Maggio 2009
(1) Quando pubblicai la prima versione di questo articolo, qualcuno mi disse che era una descrizione troppo modellata sulla figura di Silvio Berlusconi.
In realtà avevo tenuto presente tutt’altro personaggio – e di ben diversa levatura: Benito Mussolini.
Ormai non ha giù nessun interesse un paragone tra queste due figure di leader populisti. Oggi ce ne sono altri, che – almeno – su questo punto – sembrano seguire modelli diversi.
Ma tutto il resto dell’analisi, sul populismo in generale, sul leader populista in particolare, mi sembra clamorosamente confermata.
Soprattutto oggi, che l’ultimo bastione dell’anti-populismo, il PD, è stato trionfalmente espugnato.
Aprile 2015
Sono in totale disaccordo con quanto scritto dal sig. Maurizio Pistone relativamente ai punti 3 e 4. Il popolo è portatore in interiore homine di una somma di esperienze maturate nella storia, che lo fanno attento e sensibile alla vita pubblica. Non è mai contro “la” politica ma sempe contro “una” certa politica, quella volta a privilegiare spudoratamente gli ottimati politici ed economici (la casta) e a tenerlo in stato di subordinazione. Non delega la sua rappresentanza ad un capo carismatico che poi può fare quello che vuole. Del capo coglie soltanto che è quello che – al momento, si badi – impersonfica il suo desiderio di giustizia economica e sociale ed è pronto ad abbandonarlo se il suo commpoprtamento di discosta da questo obiettivo.
Sante Bardini