Mercoledì 22 setembre 1999    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.
flautisti

Scuola di flauto

Come ho ditto, mio padre era un gran servitore e amicissimo della casa de’ Medici, e quando Piero ne fu cacciato, si fidò di mio padre in moltissime cose molte importantissime. Di poi, venuto il magnifico Piero Soderini, essendo mio padre al suo ufizio del sonare, saputo il Soderini il maraviglioso ingegno di mio padre, se ne cominciò a servire in cose molte importantissime come ingegnere; e in mentre che ’1 Soderino stette in Firenze volse tanto bene a mio padre, quanto immaginar si possi al mondo; e in questo tempo io, che era di tenera età, mio padre mi faceva portare in collo, e mi faceva sonare di flauto, e facevo sovrano, insieme con i musici del palazzo innanzi alla Signoria, e sonavo al libro, e un tavolaccino mi teneva in collo.

[Ma quando tornano i Medici, Benvenuto preferisce «mettersi all’orafo», con grandi dispiacere del padre; poi se ne va a Pisa.]

Mio padre in questo mezzo mi scriveva molto pietosamente che io dovessi tornare a lui, e per ogni lettera mi ricordava che io non dovessi perdere quel sonare, che lui con tanta fatica mi aveva insegnato. A questo, subito mi usciva la voglia di non mai tornare dove lui, tanto aveva in odio questo maledetto sonare; e mi parve veramente istare in paradiso un anno intero che io stetti in Pisa, dove io non sonai mai.

[Tornato a Firenze, Benvenuto si ammala]

Restatomi ammalato, istetti circa dua mesi, e mio padre con grande amorevolezza mi fece medicare e guarire, continuamente dicendomi che gli pareva mill’anni che io fussi guarito, per sentirmi un poco sonare; e in mentre eh’egli mi ragionava di questo sonare, tenendomi le dita al polso, perché aveva qualche cognizione della medicina e delle lettere latine, sentiva in esso polso, subito ch’egli moveva a ragionar del sonare, tanta grande alterazione, che molte volte isbigottito e con lacrime si partiva da me. In modo che, avedutomi di questo suo gran dispiacere, dissi a una di quelle mia sorelle che mi portassero un flauto; che se bene io continuo avevo la febbre, per esser lo strumento di pochissima fatica, non mi dava alterazione il sonare; con tanta bella disposizione di mano e di lingua, che giugnendomi mio padre all’improvisto, mi benedisse mille volte dicendomi, che in quel tempo che io ero stato fuor di lui, gli pareva che io avessi fatto un grande acquistare, e mi pregò che io tirassi inanzi e non dovessi perdere una cosi bella virtù.

Benvenuto Cellini


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