19 Dicembre 1999    scrivimi@mauriziopistone.it    strenua nos exercet inertia    Hor.

Mi mancano le parole

Come si dice in inglese «parla come mangi»?

Chi ha detto che invecchiando non si cambia più? Sto scoprendo in me sentimenti che non avrei mai creduto di avere. Amo gli Americani. Amo la lingua inglese.

Com’è straordinaria la facilità con la quale gli Americani danno alle cose che inventano i nomi più semplici e schietti della loro lingua. Tutto il vocabolario informatico è una festosa girandola di parole del linguaggio quotidiano, parole usate con la massima semplicità da chi progetta tecnologie rivoluzionarie sorseggiando fra amici una tazzina di caffè (Java) e offrendo amabilmente biscottini (cookies). Chi più sa, più ama farsi capire.

Com’è fastidiosa e ridicola invece la supponenza dei nostri accigliati informatici di provincia, che guai se usano una parola che non sia del loro oscuro gergo! Esclamano fàil, grugniscono hub, masticano scannerizzare, con l’aria di dire chissà che... Che differenza c’è tra il loro povero simil-inglese e il latinorum di Don Abbondio, tra il loro linguaggio da «fate parlare chi sa» e il finto latino dei finti medici di Molière?

Non sono loro i figli di quegli impiegatucci che imbrattavano inutili carte, scribacchiando in «data odierna» invece di oggi e «nulla osta» invece di si può fare?

La prossima volta che accendete il calcolatore, tendete l’orecchio. Se riuscite a far tacere la stucchevole musichetta che copre il catarroso risveglio di Windows, sentirete una vocina che vi dice, in tutte le benedette lingue dell’Universo: «Parla come mangi!»


Note


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