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Polemiche scolastiche


Quando si diventa adulti?

  1. A che età si diventa adulti?
    Pongo questa domanda in termini puramente pedagogici, anche se essa ha evidentemente un riflesso sulla questione politica dell’opportunità di abbassare l’età di voto ai sedici anni.
    Intendo per adulto un individuo in grado di assumersi, personalmente, la responsabilità delle proprie azioni (se qualcuno ha qualche altra definizione, me la comunichi). Per gli Ebrei, le femmine diventano adulte a dodici anni, i maschi a tredici. Secondo la società agricolo-patriarcale, che in Italia è definitivamente scomparsa con il ’68, questo avveniva in un arco di tempo variabile tra la pubertà e (al massimo) i ventun anni. L’età adulta poteva essere segnata da diversi eventi, tutti in ogni caso estremamente importanti: il primo lavoro, il matrimonio, l’esame di maturità, il servizio militare (questi due ultimi istituti sopravvivono tuttora, ma hanno completamente perso il loro carattere di rito di passaggio). Secondo le Mamme d’Italia, mai: anche a trent’anni e oltre, sono tutti dei bravi ragazzi, che si sono lasciati trascinare dalle cattive compagnie.
    Questa domanda mi è stata evidentemente suggerita da alcuni interventi su questo gruppo, a proposito delle difficoltà dell’apprendimento e dell’insegnamento. È senz’altro vero che, se il ragazzo non impara, la colpa è (almeno in molti casi, almeno in parte) dell’insegnante. Ma la recente massima, secondo la quale se il ragazzo non vuole imparare, è ugualmente colpa dell’insegnante, mi sembra un po’ più dura da mandar giù. La vecchia scuola, secondo la quale volere non sempre è potere, ma non volere è sempre una colpa, è ormai da buttar via?
  2. Ammesso che l’età adulta coincida con l’assunzione delle proprie responsabilità personali, è compito della scuola trasmettere questo valore morale? Oppure anche la scuola dovrà adottare la pedagogia delle Mamme d’Italia, secondo cui tutto è sempre colpa di qualcun altro?
22 Giugno 1997

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