Trent’anni fa

Trent’anni fa la competizione era sul benessere.

I paesi più avanzati, da prendere a modello, erano quelli che garantivano migliori standard di vita alle loro popolazioni. Redditi alti, consumi, sicurezza, posto fisso. Era in atto una gara, tra est e ovest. Prima o poi i cittadini delle società dell’est, si diceva, si sarebbero stufati di vivere in realtà povere, in città che erano immense squallide periferie, senza gioia, senza il luccichio dell’Occidente. Avrebbero chiesto anche loro un pezzo di quel benessere a cui ogni uomo è destinato: ed allora, addio comunismo.

Krushev aveva sfidato su questo gli Stati Uniti: nel giro di vent’anni, disse, la nostra economia sarà al vostro stesso livello, anzi, vi supereremo. Il “mondo libero” rideva di queste spacconate.

Quanto ai cinesi, che con “un pugno di riso” mantenevano un’intera famiglia, erano oggetto di commiserazione un po’ razzista.

Oggi è tutto cambiato. La competizione è sulla povertà. Come certi supermercati dicono “mostrateci un concorrente che vende ad un prezzo più basso del nostro, e noi adegueremo immediatamente i nostri prezzi”, i nostri capitani d’industria sanno sempre mostrare ai loro dipendenti l’esempio di lavoratori stranieri che lavorano di più, per meno soldi, senza protestare, anzi, sono ben contenti. Meno soldi, più lavoro, meno sicurezza, meno benessere.

Istruzione, cultura? Costi inutili. Salute? Se te la puoi permettere. Ambiente? Macché: nucleare. Anzi: carbone! impariamo dai cinesi!

C’è sempre qualcuno più povero che ci mostra la strada: e dobbiamo sforzarci il più possibile per adeguarci al suo livello. Se no, perdiamo la sfida.

Ecco il nostro futuro: la gara a chi accetterà di diventare più povero.

Produttività

Spesso nelle discussioni non ci si capisce perché non ci si mette d’accordo sul significato delle parole.

Una delle difficoltà più grosse, è che a volte certe parole hanno un significato molto diverso da quello che viene attribuito nel corso della conversazione comune.

Una delle parole usate peggio è “produttività”.

Solitamente a questa parola viene dato un significato di questo genere: se c’è un raccoglitore di pomodori che in un’ora raccoglie dieci cassette di pomodori, e un altro che ne raccoglie dodici, il secondo è più “produttivo”.

Se poi quello che ne raccoglie dodici, invece di chiedere quattro euro all’ora, si accontenta di tre, allora è più “produttivo” due volte.

Questo ragionamento non ha niente a che vedere con il significato proprio del termine “produttività”.

La produttività del lavoro è il rapporto fra il valore finale del prodotto e il costo complessivo del lavoro. Valore del prodotto / costo del lavoro. Una frazione, il cui risultato dipende dal numeratore e dal denominatore.

Se un raccoglitore di pomodori raccoglie pomodori più in fretta per una paga inferiore, quello che l’ha assunto può vendere i pomodori ad un costo minore. Su questo si basa la concorrenza tra produttori di pomodori. Abbattere i costi, per abbattere il prezzo del prodotto finale. Minore costo del lavoro, minore valore del prodotto finale. La produttività non è aumentata. Cala il numeratore, cala il denominatore, il risultato può addirittura diminuire.

Quand’è invece che il risultato cresce? Quando cresce quello che c’è sopra la linea di frazione, più di quello che c’è sotto.

Quand’è che il valore del prodotto aumenta di più del costo del lavoro? Quando la produzione si sposta verso settori tecnologicamente più avanzati, in cui il valore del prodotto dipende molto di più dagli investimenti in capitale fisso (macchinari, innovazione, tecnologia ecc.) che dal costo del lavoro.

Naturalmente, per investire in macchinari, tecnologia ecc. bisogna avere manodopera adeguata. Un’azienda che investirà molto in tecnologia avrà fra i suoi dipendenti molti ingegneri, e pochi raccoglitori di pomodori. Molta manodopera qualificata e ben pagata, e poca manodopera poco qualificata e mal pagata.

L’Italia, com’è noto, importa raccoglitori di pomodori, importa colf e badanti, ma esporta manodopera qualificata. Esportiamo laureati, e poiché i laureati che esportiamo vanno all’estero per vivere meglio di come vivrebbero in Italia, per trovare migliori condizioni di lavoro, non peggiori, vuol dire che noi esportiamo i nostri migliori laureati.

Gli industriali piangono, ma è un fatto che in Italia la produzione di diplomati e laureati bravi è superiore alla domanda da parte delle aziende.

L’Italia ha scelto di puntare sul contenimento dei salari: cioè, sul lavoro meno qualificato. Cioè sul lavoro meno produttivo.

Ci siamo nessi in un’assurda gara con i paesi arretrati a chi paga meno i propri dipendenti, cioè a chi abbassa la produttività del proprio lavoro.